Il vuoto lasciato dai furbetti del cartellino si è subito riempito con quelli del cadreghino.

 

Il Garzanti definisce così il cadreghino: “posto, incarico che conferisce un certo potere”. Però, quando è eccessivo, incontrollato e irresponsabile diventa strapotere, e questo il dizionario non lo dice.

 

A dirlo invece è Montesquieu che “tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati”.

 

Legislativo, esecutivo e giudiziario, per intenderci.

 

Ma poi si scende in cucina, nella quotidianità delle faccende domestiche, e i poteri si confondono, si intersecano, sbiadisce la linea di demarcazione tra l’uno e l’altro e si afferma lo strapotere del cadreghino.

 

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Chi ci sta seduto non ha bisogno di fare le leggi, ce ne sono fin troppe, è sufficiente fare come Giolitti, interpretarle per gli amici e applicarle per tutti gli altri.

 

Quanto alle decisioni pubbliche da eseguire, no problem! il furbetto del cadreghino le scrive e i somari democraticamente eletti dal popolo sovrano le sottoscrivono.

 

Tutto questo semplifica le sentenze con le quali il furbetto del cadreghino separa il bene dal male, fischia i rigori e mostra i cartellini gialli e rossi.

 

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Sanremo, con i furbetti in mutande e in canoa, ha inaugurato la stagione del cartellino e adesso si candida a fare il bis con i furbetti del cadreghino dopo un decennio di letargo burocratico sotto sindaci manager che non si sa bene se siano stati prestati alla politica oppure se sia stata la politica ad essere prestata a loro.

 

La nomination arriva dal Fatto Quotidiano che da un paio di anni si occupa della questione “The Mall”, l’outlet di valle Armea di matrice toscana, sulla quale i furbetti del cadreghino hanno scritto pagine di pura e ardita creatività cimentandosi nella interpretazione “giolittiana” della legislazione urbanistica e commerciale ligure.

 

Interpretazioni come il diamante, sono per sempre, mentre le maggioranze pecorili chiamate a votarle percorrono come meteore scenari di cartapesta.

 

L’elenco è lungo e viene da lontano, addirittura dalle scaramucce libertarie e giustizialiste dei duri e puri usciti come indipendenti dal gruppo comunista per combattere contro la calviniana speculazione edilizia e per dare un tetto alle plebi sanremesi sfrattate e sfruttate dall’arroganza del Potere DC.

 

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A questo punto mi viene in mente l’interpretazione burocratica data alla demolizione del convento delle Suore Cappuccine di piazza San Bernardo per sostituirlo con 7500 metri cubi residenziali (40 appartamenti su 7 piani più 2 piani sotterranei di parcheggi).

 

Non per mettere sotto la lente di ingrandimento il parere favorevole alla regolarità tecnica reso dal dirigente dell’urbanistica o gli otto pareri resi da altrettanti uffici comunali interessati (fabbricati, scuola, ecologia, edilizia privata, patrimonio, difesa del suolo, viabilità e beni ambientali).

 

Neppure per mettere in dubbio le ragioni tecniche illustrate nelle controdeduzioni alle quattro osservazioni presentate dai signori Nicola Longo, amministratore di un condominio lì vicino e Daniela Cassini quale presidente della associazione politico-culturale “Sanremo Insieme” e dalle Associazioni “Cittadini per Sanremo”, “Coordinamento di Associazioni per la valorizzazione del patrimonio culturale”, “Comitato Cittadini per Sanremo” e “Famija Sanremasca Arti e Tradizioni”.

 

E men che meno per sposare le ragioni di chi è favorevole o di chi è contrario all’iniziativa.

 

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Lo penso, invece, perché quella è una variante al Piano Regolatore e come tutte le varianti ha carattere discrezionale.

 

In altre parole, l’Amministrazione non è vincolata ad approvarla in presenza dei presupposti tecnici e giuridici esposti dai burocrati ma nella interpretazione dell’interesse pubblico prevalente e nel suo bilanciamento con quello privato è libera di decidere, ovviamente motivando la propria decisione.

 

La libertà, però non è di chi istruisce tecnicamente e amministrativamente la pratica ma è di chi la vota, sua è la responsabilità davanti a coloro che lo hanno eletto in Consiglio chiamandolo a esercitare una facoltà discrezionale in nome del pubblico interesse, a loro dovrà risponderne.

 

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In questo caso i cadreghini che fanno la differenza sono stati addirittura tre, quanti erano i furbetti che il 19 settembre 2013 in Consiglio quando c’era da metterci la faccia in seduta pubblica, hanno votato contro la variante salvo poi, una volta seduti sul cadreghino di assessore, votare a favore in seduta segreta di Giunta, dove la faccia non la si perde.

 

Rischio che i burocrati non corrono, loro interpretano la parte dei ventriloqui che fanno parlare le marionette.