Scorrevo sul sito ufficiale il resoconto della seduta del Consiglio regionale di martedì 21 novembre scorso per conoscere la risposta data dall’assessore Berrino alla interpellanza n. 73 di Giovanni Battista Pastorino e Francesco Battistini sul diritto alle progressioni orizzontali in capo ai dipendenti trasferiti dalle Province e mi è caduto l’occhio su quella precedente e sono rimasto di stucco.

 

Si tratta dell’interpellanza n. 72 di Alice Salvatore, Marco De Ferrari, Fabio Tosi, Andrea Melis, Gabriele Pisani “sulla gestione illecita di abbancamento di rifiuti in località Valle Armea, Rio Chintagna, Ciuvin - Comune di Sanremo (Imperia)” che descrive il set di un film fantasy talmente immaginario che lo stesso Peter Jackson lo avrebbe rifiutato se glielo avessero proposto per girarvi la serie del “Il Signore degli Anelli”.

 

Cose da pazzi, che mi mettono in allarme per il livello di chi dopo la mia generazione si è infiltrato nelle istituzioni pubbliche nei ruoli burocratici e onorari, comunali, regionali e statali.

 

Risparmio il copia-incolla a chi legge perché dopo poche righe, se quella fosse la realtà, cliccherebbe sulla crocetta in alto urlando: “Vergogna!”

 

Mi limito invece ai fatti e alla morale che se ne trae.

 

I fatti sono tre, il primo lo ricordo bene perché nel 1981 lavoravo al Consorzio Sanremese per le deleghe in agricoltura e gli altri due perché nel secondo la patata bollente me l’hanno messa in mano il Prefetto, il Pretore, il Presidente della Provincia, il Genio Civile e l’Unione Industriali, mentre il terzo l’ho seguito da osservatore seduto sull’Aventino dopo essere stato colpito e affondato da aspirante sindaco.

 

Il primo: la proprietaria di terreni agricoli in forte pendenza, situati sulle sponde di un ruscello, ha infilato il rigagnolo in un tubo di acciaio di un metro e quaranta di diametro, ha depositato pietrame, ghiaia e detriti tutto intorno e poi sopra ci ha messo la terra vegetale degli orti sui quali stavano costruendo il Mercato dei Fiori.

 

Lo ha fatto nei primissimi Anni Ottanta in base a regolare concessione edilizia con tanto di assenso del Genio Civile e della Regione e la cosa è morta lì.

 

Il secondo fatto, come dicevo, lo ho vissuto anni dopo da assessore all’urbanistica nel quinquennio tra il 16 settembre 1984 e il 16 settembre 1989 quando Sanremo era sepolta da cumuli di detriti, di macerie e di terre e rocce da scavo abbandonati nottetempo lungo i corsi d’acqua e sul litorale da impresari e artigiani edili che non sapevano dove sbattere la testa in assenza di una discarica nella quale, pagando il dovuto, potessero liberarsene.

 

I pescicani invece, quelli che hanno costruito l’autostrada, la ferrovia in sotterraneo e la circonvallazione in galleria non si sono mai posti il problema, con la forza che derivava loro dall’importanza dell’intervento, ed è così che sono nati sul mare l’enorme rilevato di Pian di Poma, a Ospedaletti “Baia Verde” e a Riva Ligure il rilevato di Prati Inferiore mentre nell’entroterra si formava il rilevato ex-Trasca.

 

Nella merda si trovavano tutti gli altri e i procedimenti pretorili che li colpivano pesantemente si contavano a dozzine mentre la Prefettura, il Genio Civile, l’Unità Sanitaria Locale e l’Intendenza di Finanza da anni erano mobilitati per riportare ordine al caos generale.

 

I sanremesi non più giovani ricordano certamente, anche se i tempi sono ormai lontani, i frequenti blocchi stradali con camioncini e motocarri pieni di detriti e la minaccia dei sindacati degli edili di versarli davanti all’Ariston i giorni del Festival.

 

La patata bollente il Prefetto Spirito poteva affidarla al suo collega Prefetto Pastorella che per un anno aveva commissariato il Comune dopo l’affare dell’appalto del Casinò, mi sono detto, e invece no, ha aspettato che arrivassi io ed è toccata a me prenderla in mano.

 

Le spese di allestimento di una discarica viaggiavano sui due miliardi, la capienza stimata sul mezzo milione di metri cubi e la durata un paio di anni, elementi che rendevano aleatorio l’investimento e che avevano fatto rinculare tutte le imprese locali.

 

In più c’era la difficoltà di trovare la località adatta, accessibile e immediatamente disponibile col consenso dei vicini, località che nessuno aveva a disposizione.

 

Alla fine, tira e molla, tra tutti in Amministrazione siamo riusciti a convincere e mettere insieme due imprese edili che si sono associate per progettare una discarica su terreni che in parte avevano in proprietà e in parte erano della famosa imprenditrice agricola che nella zona più a monte aveva coperto il rigagnolo che si immetteva nel celebre rio Chintagna-Ciuvin mentre su terreni situati nella valle di quest’ultimo corso d’acqua, affluente del torrente Armea,  lei aveva già ottenuto, tra il 1983 e il 1985, tre successive autorizzazioni regionali come discarica di inerti nel periodo transitorio del passaggio delle competenze  dallo Stato alla Regione e aveva ottenuto la variante in ampliamento della precedente concessione edilizia comunale.

 

La formula magica, identica a quella adottata dal Comune con l’U.C. Flor per realizzare il Mercato dei Fiori, era quella della “concessione e gestione di opera pubblica” rilasciata alle due imprese associate in base a convenzione e relativa tariffa e il conto economico quadrava lasciando un buco di un miliardino di lire  da coprire, come la pelle dell’orso, grazie al futuro utilizzo della superficie del rilevato una volta saturata la discarica perché le sole entrate con quelle tariffe e quei clienti lasciavano un passivo di quell’importo.

 

Naturalmente la competenza ad autorizzare la discarica era della stessa Regione che per tre volte consecutive ne aveva già autorizzato un pezzo e dunque tutto questo nostro lambiccare era subordinato all’approvazione di Genova.

 

Il terzo fatto è l’approdo in consiglio comunale dell’intero pacchetto così istruito, evento che si è verificato -direi- un paio di mesi dopo il mio ritiro sull’Aventino, quindi il pacchetto sarà spedito in regione a Genova verso giugno 1990.

 

Nel frattempo, visto che l’approvazione regionale tardava a venire, il Sindaco è stato invitato a impartire ordini urgenti come Ufficiale di Governo alle due imprese associate che li hanno eseguiti e hanno ammassato nei due anni successivi mezzo milione di metri cubi e ricavato un piazzale di 40.000 metri quadrati.

 

I due sventurati impresari associati quando nel 1992 si sono presentati in Comune per ritirare la pelle dell’orso, cioè collaudare la discarica e concordare le nuove strade da realizzare sopra in base alla convenzione, e poi restituire ai proprietari le loro aree con una destinazione d’uso sufficiente a pareggiare i conti si sono sentiti dire che non era ancora arrivata da Genova l’autorizzazione chiesta due anni prima, nel giugno del 1990, e bisognava aspettare il progetto approvato dalla Regione per le verifiche di conformità.

 

Le due imprese le aspettano da 25 anni per chiudere i lavori e spartirsi i debiti, da 30 anni i cittadini aspettano il ripristino delle strade preesistenti e la realizzazione di quelle promesse e i proprietari delle aree, per parte loro, dal 1980 nutrono aspettative che hanno attraversato il PRG e due PUC, quello di Bottini del 2003 e quello di Biancheri del 2015, uno più punitivo dell’altro.

 

La morale è che, a quanto risulta dall’interpellanza in Regione, da quella in Parlamento e da alcune ordinanze che, a quanto si legge, l’Amministrazione Biancheri avrebbe notificato alle imprese, gli infiltrati nelle istituzioni pubbliche nei ruoli burocratici e onorari, comunali, regionali e statali sono alla frutta.

 

Funzionari che non leggono le carte e quando le leggono non le capiscono, amministratori che si fidano dei funzionari e si bevono le leggende metropolitane servite negli apericena e che pasteggiano coi gossip online e finiscono col portare al pascolo intere mandrie di bufale.

 

Ci metto dentro tutti, compresa la Regione che dice di non saperne nulla quando spetta a lei per legge chiudere il procedimento aperto nel 1992, il Prefetto che fa il pesce in barile e soprattutto il Comune che invece di mettere in mora Genova ingiunge di ripristinare i luoghi alle due imprese che hanno messo in sicurezza una decina di frane e di paleofrane in zona sismica 3 dove lo Stato ha così potuto costruire il Carcere passando sulle strade private,  alla imprenditrice agricola dei primi Anni Ottanta  e agli altri proprietari ai quali da trent’anni ha confiscato 44.000 metri quadrati di terreno.

 

E’ a questo punto, Signori miei, che ogni volta di fronte a storie di ordinaria idiozia come questa subentrano in me una grande pena e una tristezza infinita.

Per le generazioni future.