Non credo che al mondo esistano molti altri posti dove il “genius loci” mostra tante facce come a Sanremo.

 

Forse troppe, i contemporanei le ignorano quasi tutte e le poche che conoscono spesso le sovrappongono e le confondono.

 

Testimonia questa straordinaria caratteristica il caleidoscopio dei social dove si compongono e scompongono gruppi di appassionati del dagherrotipo che postano immagini ingiallite dal tempo della Sanremo d’antan ritrovate nei più impensati ripostigli, negli “staggi” e nelle soffitte o prese dagli archivi di fotografi e di collezionisti.

 

Non ne perdo una anche se etnicamente provengo da un altro pianeta ma più ne vedo e più cresce in me il desiderio di interrogare il “genius loci” affinché nella mia mente le metta nel cassetto monotematico giusto.

 

Di recente l’associazione cittadina, storica vestale delle memorie patrie, lo ha fatto con i ruggenti anni Trenta ai quali ha dedicato una intera retrospettiva monografica di quando Sanremo non ha indossato per opportunità la maschera del regime ma in piena convinzione ha saputo adattare lo spirito del luogo allo spirito dei tempi.

 

Ma dopo quella bellissima esperienza nel Forte di Santa Tecla la Città quante altre potrebbe viverne, tutte con al centro l’identità “sanremasca” ma ciascuna con la propria specifica collocazione spazio-temporale?

 

Penso, ad esempio, a Sanremo nel mondo e alle tante sfaccettature di un prisma.

 

Quella sul mare, per citarne una a caso, impegnata nel cabotaggio e nelle rotte transoceaniche, nella pesca e nei commerci, con storie di contrabbando, di emigrazione e di esilio, e con una attività che ha lasciato tracce e impronte indelebili nei luoghi di approdo, specialmente in Sud-America.

 

Ma non è la sola, perché la globalizzazione ha cancellato lo spazio orizzontale ma ha lasciato indenne quello verticale nel quale affondano le radici dei sanremaschi portatori di una identità indelebile trapiantata nei luoghi più impensati della terra.

 

Ma, però, alla fine l’aspetto più affascinante resta sempre quello domestico ed è lì che l’ammirazione dei “furesti” si mischia al loro stupore per l’insensibilità e l’indifferenza degli indigeni che abitano nel Paradiso terrestre, però a loro insaputa, e fanno di tutto per trasformarlo in un inferno.

 

Gli addetti ai lavori definiscono “pressione antropica” questa forma di autolesionismo che annulla le diversità, appiattisce le vette e i picchi, allinea i divergenti, cancella le differenze e trasforma tutto in una melassa amorfa nella quale il “genius loci” affoga.

 

La vittoria del gambero di fiume a Pigna nella battaglia legale contro una centrale idroelettrica che voleva estinguerlo dovrebbe essere per Sanremo un esempio da seguire per la sopravvivenza dell’habitat del suo cugino di mare e di cinquecento altre specie animali che ivi sono ospitate come in una incubatrice naturale.

 

Mi riferisco alle praterie di posidonia presenti nei due S.I.C., siti di interesse comunitario protetti, ma un tempo diffuse ovunque nel mare di Sanremo fino alla profondità dei fondali che consentiva la fotosintesi clorofilliana, perché si tratta di una pianta terrestre che vive in mare, unica nel suo genere e proveniente dalla preistoria.

 

Una volta le mareggiate lasciavano a terra enormi quantità di foglie caduche della pianta e col loro profumo contribuivano a creare l’ambiente della “marina”, quello dei raccoglitori di “sin”, di patelle, di arselle e della qualità migliore di esca, i “bibi”.

 

Poi la pressione antropica si è manifestata sotto forma di sciabiga, la famigerata pesca a strascico che ha sradicato intere praterie di posidonia lasciando i fondali vuoti e deserti.

 

Oggi sono tanti i segnali rivelatori di un timido ritorno a quell’ambiente naturale e umano, ma la minaccia arriva da terra e sarebbe bello e soprattutto utile mostrare al mondo in una mostra retrospettiva questa faccia del “genius loci” sanremasco quando Portosole non c’era e neanche Marina di Capo Pino e neppure Pian di Poma, le spiagge erano libere, gli arenili e le scogliere accessibili e Sanremo era anche quella.

 

Sarebbe bello e utile perché indietro si può sempre tornare almeno in parte e soprattutto per fermare coloro che invece vorrebbero andare avanti e divorare l’ambiente naturale e affogarlo nella melassa artificiale.