No rendering, please!

 

Lungi da me l’idea di riesumare antiche reminiscenze liceali sull’empirismo ma questa storia dei trompe l’oeil matuziani dati in pasto giornaliero agli scribacchini locali per la gioia delle popolazioni indigene ha veramente frantumato i testicoli.

 

Il giochino di mettere l’apparenza al posto della sostanza, di guardare alla forma anziché alla materia, di preferire l’immagine rispetto alla realtà è vecchio come il cucco, fin dai tempi di Parmenide e della scuola eleatica.

 

Però adesso a Sanremo si sta esagerando dopo l’indigestione di rendering piattati da uno stellato Master Chef di Reggio Emilia in coda al PUC e serviti, con contorno di aerofotogrammetrico in salsa foto shop, sotto forma di “Studi a scala urbana delle aree strategiche” nella Relazione Tecnica del Documento degli Obbiettivi (0.1.01) in un menu lungo ben 96 pagine.

 

Tutto è filato liscio finché l’almanacco emiliano ha fatto da cambusa per i gazzettieri a corto di notizie, loro prelevavano qualche galletta del marinaio e spacciavano il pastone al popolino come bagnun o cappon magro.

 

Ma adesso l’esempio ha fatto scuola e gli specchietti per le distratte e spensierate allodole sembrano funzionare.

 

Così oggigiorno i rendering imperversano ed è venuto il momento di fare chiarezza su questo diluvio grafico, anche perché l’illusione ottica viene veicolata con suggestivi neologismi tipo “leasing in costruendo” formula con la quale Noè ha costruito l’arca facendola pagare salata alle generazioni successive.  

 

Giovedì 17 maggio 2018 è toccato al mitico “Palazzetto dello Sport” a Pian di Poma, un pulcino uscito dall’uovo pressostatico parrocchiale di via Barabino sotto il quale dall’aprile 1982 pargoli e chierichetti dell’ANSPI imparavano basket da Mauro Bonino.

 

La chioccia era stata la Parrocchia di San Rocco, oberata dai debiti per colpa del Comune e della Provincia che non hanno rispettato gli impegni presi nel 1982 al momento della costruzione dell’impianto su un suo terreno di 2.500 metri quadrati.

 

Il Parroco, autorizzato dalla Curia, era stato costretto a vendere il parco giochi ai proprietari di un albergo situato nei pressi che inizialmente volevano farne un parcheggio a raso per i loro clienti ma che poco dopo hanno cambiato idea e optato per un bell’alveare umano di sei piani più due interrati in cambio di una palestra a Pian di Poma in omaggio al Comune.

 

Com’è, come non è, la pratica dopo il travagliato via vai a Genova è finita in vacca non ostante il salvagente del celebre articolo 23 del PUC che Zoccarato nel giugno 2013 e poi  Biancheri nell’ottobre 2015 hanno lanciato ai due albergatori in nome dell’interesse pubblico prevalente del Comune ad avere gratis la palestra al prezzo di un palazzone “pugno in un occhio” costruito bord-de-mer in area esondabile del torrente Foce e in zona urbanistica di completamento preclusa a nuovi insediamenti residenziali.

 

Delle ceneri di questa avventura è rimasto però l’imperativo categorico: “La Palestra s’ha da fare! Se non ora, quando?” che oggi Palazzo Bellevue sarebbe orientato a soddisfare indebitandosi per 15 milioni da restituire in 20 anni, a dimostrazione che al peggio non c’è mai fine.

 

Due le osservazioni, la prima quella dell’uomo della strada e la seconda l’opinione di uno che “se ne capisce”.

 

L’uomo della strada si chiede: “Siamo sicuri che un investimento del genere rappresenti la priorità per Sanremo?” e il suo pensiero va a viabilità, parcheggi, case popolari, messa in sicurezza idrogeologica e alla costosa risoluzione di tante criticità cittadine.

 

Lui sarà anche uno sporco populista, ma per un “quivis ex populo” non è possibile trascurare che fino a oggi nessun cestista in erba è rimasto deluso in mezzo a una strada e che, in caso di bisogno, ci sono sempre le palestre scolastiche o gli spazi del mercato dei fiori all’Armea a disposizione con una spesa che si potrebbe coprire con un paio delle 20 cambiali da firmare a Pian di Poma.

 

Senza dimenticare, infine, le varie gare deserte per la gestione degli impianti sportivi e i contenziosi che periodicamente sorgono con spericolati affidamenti.

 

Chi se ne capisce, invece, corre a consultare le carte che ne parlano, cioè il P.U.C. adottato nell’ottobre 2015 da Biancheri e il parere vincolante che su di esso ha dato la Regione il 16 marzo 2018.

 

Il cerbero genovese ha sentenziato che l’espediente di esonerare il “Palazzetto dello Sport” dall’obbligo di compatibilità col P.U.C. in nome dell’interesse pubblico per quella permuta del 2013 non può funzionare e così ha fatto rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta dell’articolo 23 con la prescrizione di “adeguare ai rilievi sopra formulati” il tenore della norma in questione.

 

E i rilievi si traducono nella bocciatura senza appello della domanda n. 137 di modificate il P.T.C.P. e di riclassificare l’area interessata come ambito di consolidamento di attrezzature e impianti (A.I.CO.) mentre attualmente il suo regime è quello di tessuto urbano (T.U.).

 

La motivazione è questa: “in quanto le previsioni di PUC volte a incrementare la dotazione di servizi pubblici non appaiono in contrasto con il regime vigente”, il quale, come dispone l’articolo 38 delle Norme di Attuazione del P.T.C.P., fa prevalere “sugli obbiettivi propri del Piano Paesistico” quelli che riguardano le zone urbanistiche sature e “le più generali problematiche di ordine urbanistico”.

 

Come dire, in parole povere, che lì non c’è spazio per nuove attrezzature e impianti sportivi ma piuttosto vi è la necessità di intervenire con norme urbanistiche adeguate alla bonifica di un insediamento ormai irreversibilmente compromesso.

 

Finchè si risponde con l’ennesimo rendering a queste due osservazioni la furbata non costa nulla ma quando si coinvolgono privati in procedimenti formali fondati sull’equivoco allora il rischio di pagare il conto è elevato, per Palazzo Bellevue non sarebbe la prima volta che succede e il pensiero corre al mitico “Palazzetto dello Sport” al Campo Ippico che con Borea era sempre in procinto di partire e non ha mai preso il via.

 

Per sogni, per chimere e per castelli in aria l'anima ho milionaria” canta Rodolfo nella Bohème, ma questa non è un’opera lirica e poi al netto dei debiti il Comune di Sanremo certe avventure spericolate non può più permettersele.