Area 24 addio!!! Piangere sul latte versato sono capaci tutti.

 

Dieci anni fa sull’Evo della Riviera io invece piangevo prima che lo versassero.

 

Oggi, dieci anni dopo, leggo che Area 24 per evitare il fallimento viene messa in liquidazione e con i proventi si concorda l’astronomico debito con CARIGE che oltre ad essere creditrice privilegiata è anche socio e quindi corresponsabile del fallimento.

 

Il peggio del peggio del peggio.

 

E il bello che non se ne vanno a casa, li votano e loro continuano!!!!!!

 

 

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Con la rivisitazione di Area 24 prosegue la mia personalissima traversata nel deserto della “Incompetent Connection” di casa nostra, una catena di errori epocali che ha come unico comune denominatore l’inadeguatezza dei suoi protagonisti.

 

Però a differenza di quanto si verifica nella saga di Tolkien, in quella nostrana le avventure degli “hobbit del Ponente” non hanno inizio da un primo anello per passare poi a quello successivo e così via, e soprattutto non seguono una rotta precisa, ma ogni singolo episodio appare e scompare a caso con l’accendersi e con lo spegnersi occasionale di un raggio di luce sulle vivaci quanto effimere emozioni che in quel preciso momento ha suscitato nell’opinione pubblica.

 

Oggi è il turno del peccatore, appunto Area 24, ieri sotto i riflettori c’era il peccato più recente da lei commesso, l’affare Millenium, e domani?

 

Impossibile dirlo, dipende dai capricci del “Tecnico delle Luci”.

 

Le quali da alcuni giorni illuminano un sentimento di rigetto radicale della formula escogitata un decennio fa dal terzetto Bissolotti-Sandro Scajola-Biasotti per dare una soluzione all’allora incombente problema dell’utilizzo delle aree dismesse dalla ferrovia tra Ospedaletti e San Lorenzo al mare.

 

A mio avviso la chiave di lettura per entrare in una questione del genere non può che essere doppia, come per i caveaux delle banche, e se non si usano tutte e due le chiavi contemporaneamente la porta non si apre.

 

La politica, o ancor meglio la cultura, rappresenta la prima chiave, mentre la seconda è quella della buona amministrazione, tecnica ed economica.

 

 

 

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Nella graduatoria in ordine di importanza penso che gli aspetti culturali meritino il primo posto non per retorica ma interpretando il pensiero dei tanti Don Chisciotte che fin dall’Unità d’Italia e per un secolo e mezzo hanno cullato il romantico sogno di arrivare un giorno a restituire alla nostra Riviera il suo mare e di portare lontano dalla costa quella cintura di ferro che la “ragion di Stato” aveva calato sul litorale come una spada.

 

Circostanza, quest’ultima, che rientra nell’elenco delle cose non dette in occasione delle solenni celebrazioni del 150° anniversario e che invece dovrebbe essere ricordata come il più autentico contributo di questa terra alla causa nazionale ancor prima di offrirle Giuseppe Garibaldi, il suo figlio migliore.

 

Come dimenticare che il pennarello col quale è stato disegnato sulla cartina geografica il tracciato della “Ferrovia delle Riviere Liguri” lo tenevano in mano Cavour e La Marmora, il suo Ministro della Guerra, dopo averlo concordato con Napoleone III a Plombières?

 

Un tracciato che congiungeva le sponde di due fiumi lontani, a ponente il Var che all’epoca segnava il confine del Regno Sardo con la Francia, e a levante il Magra che lo divideva dal Ducato di Modena e Piacenza, tracciato che sacrificava ogni altro diritto o interesse locale a obbiettivi diplomatici e militari prevalenti e dominanti.

 

L’ordine era che bisognava fare in fretta e spendere poco e per limitare al massimo le gallerie e i viadotti la quota zero tra la via Aurelia e il mare costituiva l’unica soluzione possibile anche se era una scelta barbara e devastante per il delicato e prezioso ambiente della Liguria e per il suo delizioso paesaggio.

 

Un po’ come Urbano VIII Barberini che a ragioni di prestigio e militari sacrificò gli antichi bronzi romani del Pantheon facendoli fondere perché il Bernini con quel metallo ricavasse il baldacchino in San Pietro e la batteria di cannoni a protezione di Castel Sant’Angelo.

 

Solo che quel Papa trovò sulla sua strada un Pasquino a coniare il celebre detto “quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini”, mentre di storiche pasquinate sullo scempio che si sta consumando tra Ospedaletti e San Lorenzo al mare non ce ne sono ancora in circolazione.

 

L’Eco della Riviera non è una statua parlante e chi scrive non ha certo il dono dei popolani di Roma che riuscivano a far parlare quella di Pasquino, però qualcosa sulla barbarie che si sta consumando sulle aree ferroviarie dismesse bisogna pur dirla.

 

 

 

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Quando il 30 settembre 2001 con l’inaugurazione della tratta ferroviaria trasferita a monte e finalmente realizzata a doppio binario si avverava quel sogno romantico cullato 120 anni e iniziato a Sanremo il 12 febbraio 1872 - il medesimo giorno del taglio del nastro dell’antica linea preunitaria - sull’agenda della politica che vola alto e della Cultura con la C maiuscola erano scritte tre irrinunciabili esigenze.

 

 

 

La prima era la restituzione delle aree dismesse, la seconda il mantenimento della loro unitarietà e consistenza e la terza il loro recupero e valorizzazione.

 

 

 

Sul primo punto c’è poco da dire perché tutto era già stato scritto vent’anni prima in una convenzione tra il comune di Sanremo e le Ferrovie dello Stato alla cui stesura, tra l’altro, ho attivamente partecipato.

 

Ora si trattava soltanto di parare i colpi di coda del drago a sette teste nel quale le Ferrovie dello Stato si erano trasformate nei vent’anni successivi.

 

Un drago rappresentato da un’azienda demaniale in un primo momento diventata ente pubblico economico, quindi privatizzata, smembrata e convertita in società per azioni e da ultimo sottoposta allo scorporo del proprio patrimonio immobiliare non più strumentale e strategico all’esercizio del trasporto su binario.

 

La “quadra” è stata trovata due anni dopo - nel dicembre 2003 - col passaggio delle aree dismesse da Ferrovie Real Estate s.p.a., una delle teste del drago, alla Regione Liguria e nella successiva girata qualche mese dopo da questa ai destinatari finali che erano gli otto Comuni costieri attraversati dalla linea ferroviaria dismessa.

 

E qui, purtroppo, ha inizio la disastrosa sequela di errori epocali che ha portato allo scempio attuale.

 

Senza farla troppo lunga basti dire che il terzetto del quale parlavo agli inizi composto da Bissolotti, Sandro Scajola e Biasotti quasi due anni prima, nel marzo del 2002, aveva tenuto a battesimo la società Area 24 s.p.a. proprio per realizzare la seconda delle tre irrinunciabili esigenze, quella del mantenimento della unitarietà del patrimonio ferroviario dismesso, evitandone la frantumazione e lo spezzatino, e ovviamente quella della salvaguardia della sua originaria consistenza.

 

Obbiettivo che si sarebbe dovuto raggiungere intestando ad Area 24 l’intero compendio immobiliare presente nei sette Comuni minori e riservando al comune di Sanremo la proprietà di quello esistente sul suo territorio però con l’impegno di concederlo subito dopo ad Area 24.

 

 

 

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Il risultato attuale è sotto gli occhi di tutti: Area 24 per turare i buchi nel proprio bilancio e mantenersi in vita vende l’argenteria e si avventura in operazioni immobiliari e finanziarie sempre più spericolate.

 

Non aggiungo altro, se non una piccola sottolineatura dell’aggettivo “spericolate”: la società Area 24 nel vendere il sottosuolo ad Arma si è obbligata nei confronti della banca e in solido con Millenium per 6 milioni di euro garantiti da una ipoteca iscritta su un immobile attualmente realizzato da quest’ultima solo al 40 % della sua consistenza: chi risponde della differenza visto che Millenium è insolvente, e con quali beni visto che Area 24 non ha un soldo in cassa?

 

 

 

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Ma è sulla terza esigenza che il fallimento politico e culturale si sta rivelando in tutte le sue drammatiche dimensioni, quella del recupero e della valorizzazione del compendio immobiliare acquistato dalle Ferrovie.

 

Logica e buon senso – ma soprattutto le ragioni del cuore per chi ama sinceramente questo meraviglioso pezzo di Liguria – imponevano che il compendio immobiliare una volta acquistato e segregato in capo a un soggetto unico, autonomo e autosufficiente fosse sottoposto ad uno screening culturale effettuato in forma organica per riuscire ad individuare e rimuovere le superfetazioni e gli anacronismi, definire con puntigliosa precisione gli aspetti paesistici, ambientali e storici da recuperare e quindi impostare una strategia complessiva di valorizzazione.

 

Che non vuol dire imbalsamare le cose ma neppure strapparle dal loro contesto naturale per poi disgregarle e smarrirne non solo il significato ma perfino la memoria.

 

Tutto questo - intendo l’esigenza di recupero e di valorizzazione - è stato contrabbandato fin dall’agosto 1999 in un P.R.U.S.S.T., acronimo di programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, sotto il pomposo titolo di “Riuso della ex-ferrovia del Ponente ligure da Ospedaletti a San Lorenzo al mare e interventi di riqualificazione urbana, paesistica e ambientale”, titolo che oggi ancor prima che bugiardo suona ridicolo e irridente.

 

Non starò qui a fare la storia di un bidone che è molto più grosso di quello di Millenium perché invece dei soldi il Ponente ci aveva messo dentro le residue sue speranze di resurrezione e di rilancio, e mi limiterò a fornire al riguardo qualche dato illuminante.

 

Intanto un chiarimento : il P.R.U.S.S.T. - contrariamente all’opinione comune e a una leggenda metropolitana fatta circolare ad arte - non è un piano urbanistico e neppure un programma operativo di interventi sul territorio ma ha natura semplicemente finanziaria perché si limita a premiare le idee iscritte nella graduatoria vincente approvata il 19 aprile 2000 con un decreto del Ministero dei lavori pubblici, e lo fa sotto forma di contributo erogato a ciascun soggetto promotore, nel nostro caso alla Regione Liguria, fino all’importo massimo di 4 miliardi di vecchie lire sui costi relativi all’assistenza tecnica per predisporre sé stesso e per progettare le opere e le infrastrutture pubbliche inserite al suo interno.

 

Contributo chiesto e ottenuto dalla Giunta di sinistra presieduta da Mori e incassato e speso da quella di destra presieduta da Biasotti che il 16 aprile 2000 era nel frattempo subentrata.

 

L’idea di recupero e di valorizzazione della ex ferrovia del Ponente ligure secondo le previsioni dell’Accordo Quadro che sarà stipulato il 18 marzo 2002 al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si articolava in 48 interventi da effettuare tra Ospedaletti e San Lorenzo al mare.

 

Il “Piano finanziario” del P.R.U.S.S.T. stabiliva chi ci avrebbe messo i soldi chiudendo con il saldo astronomico di € 658.830.463,20 dei quali € 400.151.663,25 per interventi pubblici e € 258.678.799,96 per interventi privati.

 

Dentro c’è di tutto e di più, un mix di idee bizzarre e velleitarie a coprire una corposa sostanza altrimenti inconfessabile, quella delle operazioni edilizie di San Lorenzo al mare, di Aregai a Santo Stefano al mare, della regione Prati a Riva Ligure, di Portosole a Sanremo e di Baia verde a Ospedaletti.

 

Per farmi capire meglio cito a caso qualche barzelletta di copertura, come quella del riuso delle acque reflue urbane da immagazzinare nelle gallerie, o quelle a Sanremo della riqualificazione del Porto Vecchio, del collegamento tra i due lungomare sotto l’Imperatrice, del raddoppio del depuratore, dello scolmatore del San Romolo, della sistemazione della Biblioteca, e poi la cabinovia tra Aregai e Cipressa e via farneticando.

 

Insomma, nessuno dei 48 interventi previsti aveva realmente a che fare con la terza esigenza, quella del recupero e della valorizzazione delle aree ferroviarie dismesse, con un’unica eccezione, quella dell’intervento n.° 1 relativo alla pista ciclabile che la Regione aveva trattenuto a sé stessa come “soggetto proponente”.

 

 

 

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Ed è a questo punto che per entrare nella galleria degli errori bisogna usare l’altra chiave di lettura di cui parlavo agli inizi, quella della buona amministrazione, tecnica ed economica.

 

 

 

Su questo terreno non mi stancherò mai di dire che le bestialità non si contano, prima tra tutte quella di caricare sulle spalle di una società di scopo priva di redditi propri e a bassa capitalizzazione un debito iniziale di € 2.559.165,32 pari alla differenza tra il prezzo delle aree e l’importo attualizzato dell’anticipo che il comune di Sanremo aveva versato alle Ferrovie attingendo annualmente e per dieci anni al fondo ante riparto dei proventi del Casinò.

 

 

 

Ma la lista è lunga ed ha origine nella sordità dei tre soci, comune di Sanremo, Regione Liguria e CARIGE a rispondere alle più elementari esigenze della loro società strumentale per poter sopravvivere e operare, cioè un minimo di liquidità a basso costo, la copertura delle passività residuali degli stralci delle opere pubbliche man mano realizzate, il rimborso delle spese tecniche e amministrative e un contributo annuale per quelle ordinarie di esercizio.

 

Sordità che si trasforma in colpevole negligenza man mano che l’unico dei 48 interventi del P.R.U.S.S.T. – la pista ciclabile – va avanti con costi di gestione e di manutenzione privi di copertura e senza che i tre soci se ne preoccupino.

 

Anzi uno di loro, il comune di Sanremo, prima si fa addirittura anticipare da Area 24 i fondi per il trasferimento delle condotte fognarie sotto la pista ciclabile a Pian di Poma contribuendo così ad accrescerne l’indebitamento, e poi la infila nella grana dei parcheggi a pagamento sul lungomare delle Nazioni.

 

Intanto continua l’estromissione dei sette Comuni minori, che cornuti e mazziati assistono impotenti a ciò che avviene nel proprio territorio, su immobili che in base alla convenzione del 1980 con le Ferrovie avrebbero dovuto essere restituiti a loro e non regalati a una società strumentale mandata allo sbaraglio dai suoi soci e costretta a svenderli per non fallire.

 

E qualcuno di loro, come Genduso con Millenium e Crespi con Baia Verde, rischia addirittura di bruciarsi le penne, e questo è veramente il colmo.   

 

Di fronte a tutto questo casino comincio a pensare che davvero si stava meglio quando si stava peggio e che bisognerebbe rimettere binari e stazioni dov’erano prima