A Sanremo qualcuno dovrebbe spiegare al sindaco che gli show sono come i suoi ranuncoli, si brevettano.

 

Probabilmente non lo sa perché i ranuncoli glieli ha brevettati Papà Antonio e lui è convinto che i bulbi escano dalla terra già col nome di Biancheri stampato sopra.

 

Me lo fa pensare la figura di merda di “Sanremo Young”, uno show televisivo che ha in comune con il Festival soltanto l’interpretazione di brani e una giuria di protagonisti che hanno scritto la storia della manifestazione -di qui il nome di Sanremo- mentre la formula è un mix tra “Amici”, “X Factor” e altri analoghi talent.

 

Vuole il caso che tra il 16 e il 26 febbraio di quest’anno abbia preso il via all’Ariston con una audience molto alta (quasi 4 milioni di spettatori e 18,12 % di share) usufruendo di un prestigioso ma solo virtuale red carpet, però, come sappiamo, il teatro è di Walter e non del Comune e le porte di tutti i teatri italiani al di fuori della settimana del Festival sono sempre aperte alle telecamere RAI.

 

Devo dire che qualche sospetto mi era venuto fin dal 23 novembre dell’anno scorso quando l’ineffabile primo cittadino raccontava in Consiglio comunale la sceneggiata dell’abbandono del tavolo delle trattative con la RAI e amenità del genere.

 

La pulce nell’orecchio mi era venuta leggendo nella mia rassegna stampa personale questo sbiadito ritaglio di “Repubblica” del 29 novembre 1989: “Per celebrare con un megaspettacolo il suo quarantennale, il Festival di Sanremo a febbraio emigrerà al nuovo Mercato dei fiori della Valle Armea. Il trasferimento della manifestazione dal Teatro Ariston, sede fissa dell'ultimo decennio, è stato deciso dal Consiglio comunale della città. A favore si è espressa la maggioranza a quattro composta da Dc, Psi, Psdi e Pli; si sono opposti Pci e Pri, quindi è prevalso il documento preparato dal capogruppo Dc, Bruno Giri, con il quale la giunta si impegna a concretizzare il trasferimento, seppure ad una serie di condizioni: risoluzione del problema traffico e di collegamento tra centro cittadino e mercato; assicurazioni per le maggiori spese, che dovranno essere a carico della Rai e dell' organizzatore; programmazione di spettacoli e avvenimenti di contorno per tenere viva l'atmosfera festival nel centro città. Il Consiglio si è impegnato infine a puntare per le prossime edizioni sulla creazione di un Ente Festival e soprattutto sulla realizzazione di un proprio Palazzo del festival.

 

Lo avevo preparato io, quel documento, dopo una estate calda trascorsa tra i discografici di Milano, in via Visconti di Modrone, feudo all’epoca di Carlo Bixio e la RAI, impero all’epoca dell’onnipotente Biagio Agnes, grande amico di Adriano Aragozzini, patron del Festival malvisto dai milanesi.

 

Si devono a “Biagione” e ad Adriano i contenuti della prima storica Convenzione onerosa del Comune con la RAI che la mitologia burocratica e notarile di Biancheri ha attribuito a Lanza e Sindoni senior, il primo allora soldato semplice e il secondo assessore al patrimonio.

 

I due magari avranno messo lo scarabocchio in calce al pezzo di carta ma solo dopo il 1990 quando il sindaco dell’epoca trasmigrerà in Regione e loro diventeranno, rispettivamente, sindaco e assessore al turismo.

 

Quel ritaglio sbiadito di “Repubblica” mi ha fatto ricordare due grandi e veri amici del Festival, Agnes e Aragozzini, ai quali la Città dovrebbe dedicare un monumento, ma anche i tanti personaggi, Bissolotti in testa, che quel lascito ereditario dell’Ente Festival e del Palafestival hanno allegramente dilapidato in fuochi d’artificio.

 

Questo per dare a Cesare quello che è di Cesare.

 

Su “Sanremo Young” invece già a novembre 2017 Cesare Biancheri si prendeva quello che non era suo e ne parlava come se il talent show pensato e organizzato da Mazzi, inserito nel palinsesto dalla RAI e condotto dalla Clerici lo avesse partorito lui e regolarmente iscritto all’anagrafe, quanto meno con il marchio di denominazione.

 

Mi sembrava il padrone che tratta con il mezzadro le spese della propria cascina e che riesce a farle scendere da 250 mila euro a soli 75 mila a serata tenendosi le mani libere tra il fienile di Antonella Clerici, la vigna di Donatella Bianchi o qualcos’altro ancora.

 

Poi la scelta è caduta nuovamente su “Sanremo Young” di Gianmarco Mazzi, ovviamente a condizioni giuridiche immutate, cioè che il talent show è suo, Antonella lo conduce, la RAI lo trasmette e il Comune paga per i benefici che ne ricava.

 

Adesso ecco che Biancheri e compagni vogliono rubarglielo e pretendono che la RAI tenga il sacco con un ricorso a quattro mani in opposizione depositato all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero delle Attività Produttive contro la domanda di registrazione del brevetto presentata a suo tempo dall’autore televisivo per i suoi caratteri di creatività, originalità e autonomia di diffusione al pubblico attraverso la negoziazione con una determinata rete televisiva.

 

La figura di merda è che il derubato è tra quelli in predicato per posare le terga sulla poltrona di presidente RAI che i giallo-verdi avevano riservato a Marcello Foa bocciato dal Cavaliere, il quale invece potrebbe promuovere Mazzi, grande amico di La Russa con cui Forza Italia divide i banchi dell’opposizione al Governo Conte alla destra dello schieramento.

 

Però se questo è il vento che tira alla fine la puzza tocca a noi annusarla.

 

Ecco perché rimango ogni giorno sempre più fermo nella mia opinione iniziale sul ritorno di Biancheri alla cura dei ranuncoli.

 

A Sanremo ha già dato abbastanza, pure troppo.