Non sempre “terzo mondo” è espressione spregiativa.

 

A Sanremo, per esempio, non lo è, se si osservano i due mondi immaginari che il mercato della politica spicciola offre oggi agli elettori.

 

Immaginari perché fuggono entrambi dalla realtà per rifugiarsi in una dimensione onirica, quella del libro dei sogni.

 

Si differenziano solo per il jet lag di chi, nel primo caso, arriva dal passato e di chi, dall’altro, arriva dal futuro ma ruotano entrambi lungo la stessa orbita, al di sopra e al di fuori dalla realtà concreta e materiale della città.

 

Le bande mercenarie passano con disinvoltura da un mondo all’altro seguendo interessi e mode, favorite dall’estinzione dei Partiti strutturati che ti costringevano a mettere la divisa.

 

Adesso il voltagabbana a Sanremo è in borghese, entra in clandestinità e l’arruolamento è soltanto una questione di prezzo.

 

Le forme di pagamento sono lecite e diversificate, escludono ormai quella cash, la tangente di antica memoria, ma tutte sono differite e, appunto, annotate nel libro dei sogni.

 

Cambiali che possono essere, secondo i casi, urbanistiche, commerciali, edilizie, professionali o magari anche assicurative, per garantire immunità e continuità al proprio orticello.

 

Sul reclutamento delle truppe i due mondi contrapposti si differenziano per l’offerta del corrispettivo: uscire da un incubo per l’uno oppure entrare in un sogno, per l’altro.

 

Quale dei due mondi prevarrà a primavera dell’anno prossimo?

 

Sarebbe meglio chiedersi su quale dei due mondi proseguirà questo sterile balletto che da trent’anni paralizza la città e il suo comprensorio.

 

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Ecco affacciarsi allora nella mia mente l’idea di un terzo mondo, dichiaratamente populista, identitario e campanilista, popolato da persone normali senza bacchette magiche e volpi sotto le ascelle, nel quale si parli come si mangia e si dica pane al pane e vino al vino.

 

Oggi il Comune di Sanremo, se scendesse in questa dimensione, dovrebbe in realtà avere un’unica parola d’ordine: “Basta con le cose che gridano vendetta!”.

 

Sono sotto gli occhi di tutti e nessuno sugli altri due mondi le vede.

 

Eppure tutte le mattine, uscendo di casa, i sanremesi le guardano senza vederle, da Portosole al Savoia, dalla SATI all’Aurelia bis, dall’auditorium Alfano alla rotonda di corso Matuzia, dal Cimitero Foce alla Pigna, dal PEEP di San Lorenzo alla bretella Delaude, dal deposito RT di corso Cavallotti all’ex Tribunale o all’Astoria, e via via fino ad arrivare all’indecente raccolta differenziata dei rifiuti, all’incontrollato e inverecondo inquinamento acustico, alla irresponsabile gestione delle fognature e alla folle prospettiva finanziaria delle partecipate Area 24, Casinò, RT e Rivieracqua.

 

Certo, ognuna di queste cose che “gridano vendetta” ha una storia e tra le sue pieghe astuti amministratori e burocrati da generazioni e generazioni trovano alibi e giustificazioni tra un quinquennio e l’altro, alternandosi e rimpallandosi la responsabilità.

 

Ma se avessero fatto altrettanto le generazioni che hanno reso grande, bella e famosa nel mondo la nostra città sarebbe ancora un paesone ligure, anonimo e lontano.

 

Il “Basta!” dovrebbe essere, su questo terzo mondo, come quello che lanciammo a Imperia tanti anni fa in direzione provinciale DC per le insopportabili crisi idriche quando partì l’acquedotto del Roya con Galli e Ricagno, oppure quando reagimmo ai problemi viari prima, con Manfredi, con l’Autofiori e poi con Revelli con l’Aurelia bis, o quando si concretizzò il trasferimento del carcere, del mercato dei fiori e della centrale del gas, fino a scendere nella sede sanremese di piazza Bresca alle cose più piccole e semplici di tutti i giorni.

 

Chi può lanciarlo?

 

I Partiti non ci sono più, Sanremo - come dicevo- è percorsa da bande di mercenari alla ricerca di un capo, vivono alla giornata e non si pongono neppure il problema del vincitore, è sufficiente la “marchetta” di oggi per campare.

 

In situazioni come questa altre città hanno proclamato gli “Stati Generali” (“caveant consules…”) ma se oggi qualcuno sul terzo mondo li proponesse si urlerebbe al golpe fascista e io per evitare l’accusa di apologia mi guardo bene dal parlarne.

 

Ma sarebbe indispensabile.