Non so se avete letto la metamorfosi di Kafka, dove un mattino il protagonista si sveglia e scopre si essere diventato un enorme scarafaggio.

 

D’accordo che, come cantava Pino Daniele, ogni scarafone è bello a mamma soia, ma io proprio non me la sento di cantarlo al coleottero nel quale l’altro giorno Biancheri ha trasformato il P.U.C. di Sanremo.

 

Su FB è difficile spiegare il perché, tra selfie, torte salate e bufale, ma ci provo lo stesso per salvarmi l’anima.

 

Il P.U.C., ad essere sinceri, è stato concepito in una notte senza luna dal Mago Zoc un mesetto prima di fare le valigie e i figli, come canta Mario Merola, so' piezz' 'e core, ma a patto che siano legittimi.

 

E nel nostro caso non lo erano perché le fornicazioni adulterine all’insaputa dell’enfant prodige non si contano, a partire da quella consumata con Tiziano Renzi e Piero Pastorelli sulle ridenti pendici di valle Armea.

 

Poco dopo sopraggiunge Biancheri a incaricare un suo uomo di fiducia, docente universitario a Ferrara, di portare il fieno in cascina e gli presta un ingegnere precario assunto nel suo staff e proveniente (vedi caso) da Firenze, dopo di che tutti e due, a missione compita, torneranno alle rispettive basi di partenza lasciando le mani libere e le competenze ad interim a un sindaco audace e altamente innovativo.

 

Qualità indispensabili perché il P.U.C. è bipolare, inoltre perché la Regione che deve approvarlo da rossa diventa azzurra con sfumature verde e infine perché in tre anni la legge urbanistica è cambiata tre volte il 2 aprile 2015 (n. 11), il 18 novembre 2016 (n. 29) e il 7 agosto 2018 (n. 15).

 

La metamorfosi è iniziata non appena è arrivata la diagnosi dalla Regione secondo cui Biancheri non può sciuscià e sciurbì spiegando il perché.

 

Biancheri non può, ad esempio, dire “Zero Cemento” e poi prevedere un milione di metri cubi di nuove costruzioni, e neppure può premiare i privati virtuosi con 300 mila metri cubi in base a un regolamento dove è lui a stabilire chi lo è e chi non lo è a sua discrezione.

 

Ma sono solo due esempi, tanto per rendere l’idea perché le manifestazioni della sindrome sono davvero tante.

 

Tra quelle più evidenti il salvataggio della fascia costiera e poi la massiccia edificazione alla foce dell’Armea, alla Brezza e a Pian di Poma, oppure la tutela dell’ambiente marino e poi coprire smisurate praterie di Posidonia Oceanica a Bussana, oppure assicurare zero consumo del suolo e costruire sul costruito e poi mettere paletti insormontabili all’applicazione del “Piano Casa” e alla rigenerazione urbana di intere zone degradate.

 

Senza contare le affermazioni apodittiche, indimostrate, superate e fortemente datate sulle quali si fondano i parametri tecnici relativi, per esempio, al carico urbanistico oppure l’assenza di dati reali ed aggiornati relativi ad aspetti socio-economici fondamentali come la consistenza del patrimonio edilizio, la reale superficie coperta da serre, la effettiva consistenza della impermeabilizzazione del suolo, e via dicendo.

 

Inoltre, pur nella neutralità tecnica degli uffici, il ribaltone regionale ha privato Biancheri di quella sponda che il PD poteva offrirgli quanto meno con una benevola terapia di composizione delle antitesi più sfacciate ed evidenti in tema di procedura di approvazione.

 

Ed è a questo punto che lo psicodramma porta alla metamorfosi con lo slalom tra le leggi regionali per schivare la discovery che metterebbe a nudo l’aspetto ripugnante e contraddittorio del P.U.C. agli occhi della Regione e soprattutto dei sanremesi.

 

Così per mamma Biancheri, il P.U.C. è bello sulla fiducia, senza obbligo di ripubblicarlo ora che è diventato scarafaggio e quanto ai termini perentori la Regione era su “Scherzi a parte” quando faceva seguire alla loro violazione la decadenza del progetto.

 

L’unica speranza è che la Regione usi il Baygon e lo dico con convinzione e non per fare pubblicità occulta.