Per capire come Sanremo dovrebbe coniugare il verbo “governarsi” bisogna sbirciare il compito in classe dei nostri compagni di banco, i monegaschi.

 

Sappiamo tutti come funziona il principato, con un parlamentino, un sovrano e un prefetto francese alla guida dell’esecutivo; nei limiti del possibile e del lecito sono noti anche i capisaldi sui quali si fonda la sua economia e ogni tanto, spesso per caso, viene alla luce qualcuno tra i mille segreti del suo benessere.

 

Ma non è questo il “punto”, anzi il “punto” si nasconde proprio dietro a questa coreografia da operetta con una regia solo apparentemente a sovranità limitata e in deficit di democrazia e riguarda invece il tempo al quale i monegaschi coniugano il verbo “governarsi”, l’aoristo.

 

Un tempo senza tempo, con le impronte di ieri in un oggi senza domani, astratto e idealizzato che ha trasformato le funzioni di governo e di amministrazione in una vera e propria religione civile.

 

Seguridad, orden y limpieza” ecco il risultato, vien da dire, se nelle menti fragili non evocasse il demone del franchismo.

 

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Alla divinità della “sûretéMontecarlo sacrifica ogni altra cosa al punto che la sicurezza la si respira nell’aria, a conferma della teoria criminologica delle “finestre rotte” secondo la quale la “troika” del disordine, dell’abbandono e del degrado urbano è la madre del vandalismo, della micro-criminalità diffusa e dei comportamenti anti-sociali, anche di quelli sprovvisti di rilevanza penale ma che turbano l’ordine pubblico, spaventano le persone perbene e insinuano nella gente una vaga e impercettibile sensazione  di paura.

 

Lì di “finestre rotte” non ce ne sono e quando si rompono intervengono come fulmini perché prima ancora di fare lo screenshot sulle telecamere la loro istintiva preoccupazione è quella di riparare l’oltraggio alla divinità.

 

A Sanremo invece il verbo “governarsi” è coniugato al futuro, ma a un futuro “messicano” che non è neppure il tempo di chi si chiede perchè devo fare oggi quello che posso fare domani, ma è il futuro del rinvio “sine die” di “Miguel son mi” il pampero della pubblicità Talmone sul Carosello d’antan che se la cavava con un cioccolatino oggi perché il domani sotto a quel sombrero non sarebbe mai arrivato.

 

Paura, disordine e sporcizia sono i corollari del governo alla sanremasca, situazioni che traduco in “inseguridad, desorden y mugre” per rimanere in ambiente sudamericano.

 

Tutto questo non ha una causa genetica visto che con i monegaschi siamo parenti stretti e parliamo il medesimo dialetto, ma dipende, piuttosto, dal modo diverso di interpretare le cose in ambito pubblico e lo si capisce soprattutto quando lo si osserva in chiave geometrica.

 

Infatti mentre a Montecarlo tutto è ordinato secondo le simmetrie della geometria euclidea e nessuno esce mai dalle righe ignorando ciò che fanno tutti gli altri, qui a Sanremo ogni cosa è asimmetrica, disordinata e asincrona, gli algoritmi della nostra esistenza sono a doppia chiave, ognuno fa i cazzi suoi e nessuno che si metta mai nei panni degli altri.

 

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Il caso della raccolta differenziata dei rifiuti è una delle tante pietre di paragone tra le due geometrie, all’apparenza fisicamente simili ma nella realtà quotidiana distanti anni luce una dall’altra.

 

Loro come (e più di noi) devono fare i conti con tipologie diversificate di utenza, da un ultramoderno alveare urbano al centro storico, entrambi ad alta intensità insediativa, residenziale, produttiva e di servizio, dall’area portuale, balneare e litoranea ai nuclei collinari sparsi, senza contare le zone sensibili e le dinamiche dei picchi periodici e occasionali di produzione dei rifiuti.

 

La distanza tra noi e loro sta nel fatto che nel principato la differenziazione dell’utenza per location, tipologia, intensità e frequenza di produzione, orari e quant’altro viene affrontata e risolta in forme differenti una dall’altra e sempre mettendosi nei panni e al servizio del produttore del rifiuto, con una risposta, vien da dire, studiata quasi ad personam, mentre a Sanremo tutto avviene in un’atmosfera fredda e impersonale, da caserma, sempre con lo stesso rancio, gavetta e orario ma con inevitabili altissimi livelli di insubordinazione e di diserzione ai quali si risponde ostilmente con squadroni della morte e con killer che ti fulminano con multe che invece di pagarle uno preferirebbe offrire il petto al plotone di esecuzione.

 

E’ il porta a porta “spinto”, bellezza!

 

E’ la legge sanremese dei numeri e delle percentuali, scritta nel contratto di servizio dove al primo posto ci sono quelli del risparmio nei costi per l’indifferenziato in discarica, al secondo quelli dello sconto almeno del 5 % sul canone annuo che il Comune paga al gestore e in coda, e solo al terzo e ultimo posto, arriva “il livello di gradimento del servizio riscontrato presso gli utenti” che se è “elevato” merita un premio mentre se è “mediocre interviene un simbolico castigo sotto forma di trattenuta di 10.000 euro sul canone annuo dovuto al gestore.  

 

Nel principato invece, come dicevo, la raccolta differenziata dei rifiuti fin dal lontano 1993 è “selettiva”, offerta dal servizio pubblico all’utente in un ventaglio di forme e di modi in progressivo adattamento e aggiornamento, soluzioni che vanno dal porta a porta alle “poubelles” condominiali in locali ermetici e refrigerati, dal conferimento volontario in contenitori interrati dislocati sul suolo pubblico accuratamente studiato e scelto fino ad arrivare alla tecnologia pneumatica del quartiere di Fontvieille dove una rete di 7 chilometri trasporta duemila tonnellate all’anno di rifiuti solidi urbani fino alla fossa di stoccaggio e all’inceneritore.

 

Sì, avete letto bene, non ho sbagliato epoca né posto, un “inceneritore” nel tempio di Re Mida, di Mammona e nel cuore del “buen retiro” dei miliardari del pianeta Terra.

 

Alla faccia dei grillini di Sanremo che contestano sotto le tende un biodigestore di ultima generazione che ingoia e digerisce pacificamente e in silenzio i rifiuti e produce energia pulita, senza fumi, rutti, scorregge e scorie e soprattutto non lo fa in piazza Colombo ma su una collina in una zona deserta e remota dove gli ultimi fuochi risalgono al Medio Evo e sono i fulgari di San Benedetto.

 

Il bello è che il l’ecomostro monegasco innocuo e inodoro brucia in silenzio (e dal 1980) qualcosa come 50.000 tonnellate di rifiuti all’anno, un terzo dei quali proveniente dal circondario (Beausoleil, La Turbie e Roquebrune Cap Martin), rifornisce di energia elettrica l’intero suo sistema e illumina gratuitamente il principato, oltre a fornire caldo e freddo a circa 6.000 utenze domestiche prelevando acqua di mare a 110 metri di profondità e a una temperatura di 16 gradi centigradi.

 

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Il metronomo che a Montecarlo scandisce il cronoprogramma del restyling permanente che lo rende sempre moderno e attuale è un’altra pietra di paragone rispetto a quello che a Sanremo fa perdere sistematicamente l’ultimo treno.

 

Lì, nel principato, dovrebbero dedicare a Lavoisier una piazza per ringraziarlo del suo postulato: «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma», noi invece dovremmo dedicarla a Maxwell e alla sua definizione di vuoto, che è “quanto rimane quando si è tolto tutto quello che si poteva togliere”.

 

Non si contano le funzioni pubbliche che sono state tolte a Sanremo e le attività produttive che i privati hanno tolto dalle loro agende e cancellate.

 

Tra le prime la funzione giudiziaria e gran parte di quella tributaria, contributiva e di polizia, mentre l’elenco delle seconde vede alberghi, stabilimenti, serre fisse e tutto quel che resta di passate imprese, funivia, tiro al piccione, casinò, campo sportivo, ippico, tennis e via elencando, senza contare quelle mai nate con Portosole e pista ciclabile in testa e l’outlet in coda.

 

A Montecarlo trasformano tutto prima che invecchi o glielo tolgano, noi lasciamo che tutto muoia di vecchiaia e lo lasciamo lì tal quale, a marcire.

 

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A questo punto gli imbecilli per giustificare la loro imbecillità tirano fuori il sovrano monegasco onnipotente, le leggi permissive d’oltre frontiera, il paradiso fiscale e tutto l’arsenale di luoghi comuni, e lo fanno qualunque sia il loro ruolo e la loro responsabilità nel tragico declino di Sanremo.

 

Alibi che cadono quando si va dietro alle apparenze e ci si chiede: “Cosa avrebbero fatto a Montecarlo se gli avessero svuotato il tribunale nel cuore del principato?” oppure: “Cosa farebbe il sovrano se grandi alberghi come l’Astoria o il Savoia fossero chiusi da decenni? Oppure se su boulevard des Moulins incombessero 5.000 metri quadrati e i 10.000 metri cubi di uno spettrale stabilimento privato in abbandono o sulla Condamine un lugubre ecomostro?”

 

Sanremo, in conclusione, si salva se copia i suoi parenti ricchi invece di invidiarli e di rimpiangere quando ad essere ricca era lei e i monegaschi spaccavano pietre e allevavano capre sul promontorio.