Giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questa pergamena testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui mi accadde di assistere in gioventù, sul finire dell'anno del Signore 1994. Che Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto allora avvenne in un luogo remoto a ovest della penisola italiana, in un abbazia di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome.”   (Bruno Giri)

 

 

 

Il fatto che il successo abbia tanti padri e che l’insuccesso debba rimanere orfano non mi ha mai convinto e ancor meno quando a finire all’orfanatrofio è un bene della collettività, per esempio il casinò di Sanremo.

 

In numerosi casi il test del DNA non è necessario, basta il bronzo delle facce per riconoscere i padri dell’insuccesso, si tratta solo di stamparci sopra nome e cognome.

 

In altri casi, invece, il test ci vuole perché gli interessati hanno avuto il buon gusto di uscire di scena consegnandosi agli affetti familiari e alla cura dei propri interessi oppure hanno scelto di cambiare aria.

 

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L’insuccesso riguarda le conseguenze della liberalizzazione del gioco d’azzardo in Italia per il nostro casinò, una partita persa in partenza ma che Sanremo avrebbe dovuto giocare in maniera da ridurre i danni per non uscirne con le ossa rotte come è già successo a Campione e come sta per succedere in Valle d’Aosta.

 

Il 9 febbraio 2006 alle ore 15,24 pubblicavo questo incipit che una dozzina d’anni dopo è sempre più attuale. (Ndr: il grassetto è mio)

 

 

 

Mai a Sanremo evento fu più annunciato e con così largo anticipo e mai annuncio fu accolto con tanta indifferenza.

Lo sapevamo tutti, da almeno trent’anni, che prima o poi la “gallina dalle uova d’oro” sarebbe entrata in crisi, tutto stava a vedere quando.

Le ricorrenti iniziative legislative per aprire nuovi Casinò risalgono alla notte dei tempi e finora sono state sempre insabbiate, però lo scampato pericolo poneva ogni volta il problema del “dopo” almeno dal punto di vista delle strategie di medio e lungo termine.

In questo clima di precarietà l’introduzione delle “slot-machines” ha soltanto allungato l’agonia, perché eravamo tutti consapevoli che un bel giorno il protezionismo dei giochi meccanici sarebbe finito e la liberalizzazione avrebbe chiuso poco alla volta il rubinetto dell’ossigeno, fino a stabilizzare la redditività delle diaboliche macchinette al livello medio di una moderna sala giochi.

Eppure il tema dominante dell’estate 2005 è stato quello della crisi della Casa da Gioco, con gli attuali amministratori (Borea-Biancheri, ndr) che fingevano di cadere dalle nuvole e accusavano il C.d.A. in carica (Casale, Offman e Bagnoli, ndr) di non avere lanciato tempestivamente l’allarme e quelli precedenti (Boscetto, Di Meco e Lupi, ndr) che cercavano in tutti i modi di mettere il cerino acceso nelle mani del sindaco Borea e della sua maggioranza, rea di aver sottovalutato la gravità della situazione.

L’obbiettivo trasparente degli uni era quello di mandare a casa anzitempo il C.d.A. in carica e sostituirlo con un altro di propria fiducia e la reazione degli altri era quella di “datare” la crisi e di attribuirne la paternità al centro-sinistra.

Ancora una volta in tema di Casinò la miopia della politica non avrebbe potuto essere più evidente, alla pari dell’ipocrisia dei suoi metodi.

In sostanza, ci si ostina ancora a considerare l’azienda come era un tempo, fonte inesauribile di benessere, di potere e di consenso, mentre oggi una malattia cronica la sta lentamente uccidendo.

Al suo capezzale vengono chiamati, ad ogni sintomo allarmante, medici illustri e blasonati, del tutto ignari della specialissima fisiologia e patologia di questa Casa da Gioco, e quindi impotenti a dettare, e ancor meno a praticare, una efficace terapia.

Ultimo in ordine di tempo è un manipolo di esperti di marketing industriale, (Stilli, Audetto, Donetti, Calvi e Montarsolo, ndr) con esperienze che spaziano dalle automobili ai panettoni, dallo yogurt alla entertainment industry, con l’aggiunta di qualche personaggio “di garanzia”.

Però, con tutto il rispetto per alcune individualità di alto profilo, non bisogna essere profeti per prevedere il flop dei loro sforzi.

Qualche semplice considerazione aiuterà a capirlo.

 

 

 

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Tralascio le considerazioni con le quali dodici anni fa lavavo la schiena all’asino e passo alle facce di bronzo responsabili del flop in arrivo, facce che esporrò in tre distinte sezioni della “Quadreria Caporetto”, la prima dedicata ai soci onorari dell’Associazione “Facce di Bronzo” (periodo 1992-2005), la seconda dedicata ai soci sostenitori (periodo 2005-2012) e la terza dedicata ai soci ordinari (periodo dal 2012 a oggi).

 

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Le facce di bronzo onorarie sono quelle che hanno ignorato le prime avvisaglie di burrasca e hanno proseguito allegramente la rotta senza controllare il barometro e l’anemometro.

 

Per la “bisca” invece era quello il momento di ridurre le vele, di orzare e mettersi alla cappa con decisioni di “politica-amministrativa” coraggiose e straordinarie che non competevano certo a “biscazzieri” improvvisati e provvisori (C.A.C.M., Commissari Prefettizi, S.G.T. oppure Casinò s.p.a. Ndr).

 

Oggi, dai movimenti di truppa, vedo che qualcuna di quelle facce di bronzo onorarie avrebbe il coraggio di riaffacciarsi e/o addirittura di riproporsi agli elettori sanremesi contando sulla loro cronica amnesia e questo per me è il colmo.

 

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Parto dal 1992 quando ero ancora in Consiglio comunale e il ministro Mancino dal Viminale poneva la privatizzazione come condizione per il rinnovo al Comune della concessione del gioco d’azzardo costringendolo a incaricare una Commissione di esperti di analizzare i conti aziendali e di indicare un canone sostenibile nel breve e medio periodo da mettere a base d’asta.

 

L’anno successivo, precisamente il 15 giugno 1993, Mancino scioglieva il Consiglio comunale inadempiente all’obbligo di appaltare il casinò, però quando il Commissario prefettizio da lui nominato tenterà  di farlo la gara andò deserta per due volte di seguito, il 17 agosto e il 15 ottobre, e lo stesso risultato otteneva il sindaco leghista eletto il 5 dicembre 1993 non ostante  avesse ulteriormente migliorato le condizioni dell’offerta ai privati nel bando del 4 novembre 1994; infatti alla scadenza del 15 aprile 1995 ancora una volta nessuno si faceva avanti a gestire la casa da gioco.

 

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Dopo questi avvenimenti un ulteriore segnale premonitore nel 1994 era arrivato al Comune di Sanremo dal Viminale sotto forma di rinuncia da parte sua a controllare preventivamente gli atti di gestione del casinò, potere che aveva esercitato per legge a partire dal 1927.

 

La novità voleva dire che il Ministero dell’Interno tirava i remi in barca perché dopo 67 anni secondo Roma il gioco d’azzardo benchè risultasse ancora formalmente illegittimo (art. 718 c.p.) nella prassi ordinaria cessava di costituire un illecito di pubblica sicurezza (art. 110 T.U. di P.S.) per diventare semplice oggetto di privativa e fonte di introito erariale.

 

Però fino a quel momento al di fuori dai quattro casinò esistenti in Italia si giocava unicamente al Lotto, al Totocalcio e al Totip con l’aggiunta della Lotteria della Befana. Dovranno trascorrere altri tre anni per avere nel 1997 la doppia giocata al Lotto, il superenalotto e il Bingo autorizzato nelle sale scommesse, mentre le prime slot-machine faranno capolino nel 2003, una ventina d’anni dopo la loro autorizzazione delle quattro case da gioco, dove però erano state ammesse sotto stretto controllo e sulla base di un rigodo contingentamento ministeriale.

 

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Un terzo segnale premonitore proveniva dalla metamorfosi che la nozione di gioco d’azzardo stava gradualmente subendo nella coscienza collettiva sotto l’influenza dei mass media beneficiati da pubblicità a pagamento, per opera della politica lobbysticamente eterodiretta e dietro la spinta del sottobosco illegale e clandestino col semplice pagamento del P.R.E.U. (Prodotto Erariale Unico) su ogni giocata otteneva l’indulgenza plenaria e entrava nel mondo del gioco lecito e legale.

 

Tutti gli 83 disegni di legge per l’apertura di nuovi casinò giacenti in Parlamento erano finiti nel cestino e la stessa legge sui giochi era ormai sepolta sotto la sabbia delle Commissioni parlamentari a fronte della più seducente prospettiva di trasformare l’Italia intera in una casa da gioco unica, globale e di massa grazie all’offerta dell’azzardo diffusa come uno spray da 280.000 macchinette simil-casinò e alla quale si aggiungeva quella virtuale servita online direttamente dai paradisi fiscali integrata dalle scommesse sportive.

 

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Di fronte a questi segnali premonitori le facce di bronzo onorarie se non avevano capito che bisognava preparare un atterraggio morbido all’azienda avrebbero dovuto cambiare mestiere invece di far finta di occuparsene perché parodiando una massima del tradingse non sapevano chi erano, una casa da gioco era il posto peggiore per ritrovare loro stessi. “

 

Quasi una sessantina d’anni or sono facevo ingresso in sala da gioco e i vari Ardoino, Amoretti, Natta, Scalabrini, Carlo, Carabalona, Tamagno e Raffaelli mi avevano introdotto alle dinamiche del gioco d’azzardo “lavorato” che sono positive per l’azienda quando il cliente vince e stravince ma rimane seduto al tavolo perché alla fine a vincere sarà sempre il banco e la cassetta delle mance.

 

Forte di quelle antiche “dritte” ma invertendole mi chiedevo cosa aspettasse la scuderia di “Forza Italia” ad alzarsi dal tavolo, a cambiare le “fiches” alla cassa e a depositare in banca le vincite

 

Una metafora per dire che di fronte alle chiarissime avvisaglie di burrasca quello era il momento per intervenire e chi doveva farlo era l’allegra brigata “Sciaboletta, Bissolotti, Boscetto & C” che aveva Sanremo in pugno, deputati e senatori e il ministro al Viminale.

 

Evaporata l’opposizione consiliare e omologato il sindacato aziendale, la sinistra dura e pura era distratta dalle piroette giudiziarie della Toga Rossa sul Mercato dei Fiori e sull’Aurelia bis e soltanto qualche vocina isolata si levava per dire cosa bisognava fare per non andare a sbattere.

 

Ne ricordo una, di Gianmaria Tinelli che all’epoca vestiva la casacca dell’UDC.

 

Questa la sintesi della sua paternale in occasione del Bilancio comunale 1998 quando il casinò versava nelle casse comunali 55 miliardi, 113 milioni, 547 mila e 24 lire che calcolate l’anno successivo in euro, in applicazione dell’indice di conversione fissato nel 1992 a Maastricht in 1936,27 lire, equivalevano a 28 milioni, 463 mila e 771 euro virgola 59, cioè al quadruplo del canone attuale!

 

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“In sede di esame parlamentare del disegno di legge sul gioco d’azzardo sono stati induttivamente elaborati i parametri di produttività minima nella gestione di un casinò-tipo e sono stati quindi verificati con riferimento a quello di Sanremo dalla Commissione di Esperti a suo tempo nominati dal Comune per la stesura del Capitolato d’oneri ai fini del previsto passaggio alla gestione privata.

Ciò premesso, l’odierna gestione del Casinò di Sanremo non rispetta i parametri suddetti e anzi se ne discosta in misura rilevantissima.

Primo: negli ultimi anni il trend ascendente del rapporto “costi-ricavi” ha raggiunto livelli assolutamente anomali come dimostra il fatto che attualmente per introitare 100 lire di ricavo lordo si è arrivati a spendere quasi 60 lire e questo tenuto conto che abbiamo a che fare con un ciclo produttivo nel quale sono praticamente assenti materie prime e scorte, sono insignificanti gli oneri finanziari e di immobilizzo del prodotto e si utilizzano impianti e macchine a basso tasso di ammortamento.

Secondo: l’incidenza delle spese per il personale sul totale dei costi ha raggiunto anch’essa livelli assolutamente anomali, come dimostra il fatto che ogni 100 lire di spesa vanno al personale 73 lire e questo tenuto conto che il gettito crescente dei giochi meccanici a basso impiego di mano d’opera e senza prelievo di mance a favore dei dipendenti ha ormai ampiamente superato quello dei giochi tradizionali in netto calo, sicchè paradossalmente gli incrementi derivanti dalle slot-machines tendono ad essere assorbiti quasi del tutto dai maggiori costi per il personale.

Terzo: la distribuzione del personale all’interno dell’azienda presenta macroscopiche anomalie: basti pensare che solo il 44 per cento dei dipendenti è addetto al gioco e che un dipendente ogni cinque è assegnato al disbrigo di pratiche burocratiche.”

 

Quell’anno Gianmaria Tinelli concludeva con questi concetti che poi ripeterà anche in seguito, ma sempre parlando al vento:

 

1°.    “Tralascio per brevità numerosi altri indicatori di produttività più strettamente attinenti il gioco, che denunciano, però, andamenti anch’essi fortemente squilibrati.”

 

2°.    Non è compito dei consiglieri comunali, ma del management aziendale, indicare le forme ed i modi per fare rientrare gradualmente il Casinò Municipale nei parametri di produttività previsti dal disegno di legge sul gioco all’esame del Parlamento, ma è indubbio, tuttavia, che detto rientro è indispensabile per poter privatizzare la gestione dell’azienda, che oggi certamente non è appaltabile a privati. Sempre che, beninteso, non si intenda   perpetuare la formula del “Comune biscazziere” ricorrendo a soluzioni di facciata destinate inevitabilmente a trasformare il Casinò in un’azienda che si limita a mantenere sé stessa.”

 

3°.    “Il recupero di produttività va realizzato già nel corrente esercizio sulla base di un piano di risanamento dei conti aziendali concertato tra il management aziendale e la Civica Amministrazione.”

 

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Dunque, prima ancora che si abbattesse sul casinò di Sanremo la burrasca della liberalizzazione del gioco d’azzardo (Finanziaria 2003 e seguenti) all’interno dell’azienda c’erano già falle nello scafo, troppa zavorra nella stiva e gran parte dell’equipaggio a fare ammuina.

 

Averlo ignorato è una aggravante della responsabilità delle facce di bronzo onorarie (Sciaboletta, Boscetto, Bissolotti e Stato Maggiore di “Forza Italia” dell’epoca) ma non cancella le colpe delle facce di bronzo sostenitrici che interverranno nel 2004 a sostituirle con Borea, Biancheri, Andracco e Cassini.

 

A loro è dedicato il capitolo successivo di questa squallida storia sanremese.