Le polemiche in questo momento sono dannose, però -credetemi- questa mia lunghissima riflessione critica (un “pippone” della Madonna!) andrebbe letta e metabolizzata da tutti, e per renderla digeribile la faccio orfana, anzi con padre sconosciuto e in forma rigorosamente anonima.

 

Il fatto.

 

Il 25 gennaio per i cinesi era Capodanno e quest’anno 2020 molti di loro per festeggiarlo erano tornati in Patria.

 

Tranne una coppia di turisti cinesi che aveva deciso di fare il contrario, cioè di partire da Wuhan in Cina e mettersi in viaggio per venire qui da noi a godersi il tour nelle province italiane e due giorni prima del Capodanno cinese, il 23 gennaio 2020, era arrivata a Milano Malpensa.

 

Un viaggio che purtroppo si concluderà drammaticamente il 29 gennaio a Roma, all’hotel Palatino di via Cavour quando i due saranno ricoverati allo “Spallanzani” in terapia intensiva per COVID-19.

 

Il giorno dopo, 30 gennaio 2020, l’Organizzazione mondiale della sanità, visto il diffondersi di COVID-19, dichiarava l’emergenza internazionale provocata da un virus di quel nome che era partito anche lui da Wuhan in Cina però un mese prima, il 24 dicembre 2019, diretto alla “Anagrafe” delle pandemie e alla sede dell’OMS che è a Ginevra.

 

Diligentemente, il 31 gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri italiano recepiva l’allerta virus mondiale e dichiarava l’emergenza nazionale pubblicando la delibera di “presa d’atto” sulla Gazzetta Ufficiale del 1° febbraio 2020.

 

Premessa tecnica.

 

I virologi, gli epidemiologi, i responsabili nazionali della sanità pubblica e gli scienziati di tutto il mondo, ma anche ogni altra persona che ne abbia interesse o curiosità, hanno a disposizione “istantaneamente”, vale a dire in tempo reale e in qualsiasi momento, varie opportunità di visualizzazione interattiva, open source, delle popolazioni patogene in evoluzione sul nostro pianeta, grazie a piattaforme no profit e tra esse c’è “nextstrain.org” che riceve, elabora e fornisce due tipi di informazione.

 

E’ una specie di “Anagrafe” delle epidemie mondiali che utilizza, appunto, due strumenti, uno per radiografare i patogeni, analizzarli e catalogarli e l’altro per visualizzare sul web ciò che ne salta fuori e lo fa nel loro insieme “dinamico” sotto forma di dati “filo-genomici” e nel loro insieme “spaziale” sotto forma di dati “filo-geografici” entrambi facili da consultare anche col portatile di casa.

 

E’ una architettura che permette di eseguire analisi sequenziali con sotto campionamenti e interferenze dell’albero filogenetico, di datare i nodi e che mette a disposizione tantissime altre funzionalità aggiuntive o sostitutive in campo bioinformatico ma, soprattutto, apre alla condivisione dei propri risultati con chiunque voglia collaborare, scienziato o no, libero di accedere ai dati man mano che arrivano dai quattro angoli della Terra e che diventano immediatamente disponibili.

 

L’antefatto.

 

Dal 24 dicembre 2019 alcuni studiosi canadesi, americani, cechi e svizzeri (i nomi sono: Nicola Müller, Emma Hodcroft, Cassia Wagner, James Hadfield, Misja Ilcisin, Richard Neher e Trevor Bedford) hanno analizzato e resi pubblici sulla piattaforma “nextstrain.org” le migliaia di genomi del virus SARS-Cov-2 man mano che affluivano alla “Anagrafe” in questione.

 

Tutto quanto, lo sottolineo, avveniva sotto gli occhi di sette miliardi e mezzo di persone, tra le quali la mitica casalinga di Voghera, il Signor Rossi per par condicio o la Schwäbische Hausfrau tedesca o la Doña Rosa degli ispanici.

 

Il primo genoma completo è affluito alla vigilia del Santo Natale, il 24 dicembre 2019, ed era di un uomo di 65 anni trasmesso dall’Institute of Pathogen Biology dell’Accademia Cinese delle Scienze di Pechino con la diagnosi: “Grave sindrome respiratoria acuta coronavirus 2 isolato BetaCoV / Wuhan / IPBCAMS-WH-01/2019”, e l’equipe di “nextstrain” lo ha messo nella banca dati sotto la sigla “GenBank: MT019529.1”.

 

O mio Dio! ho fatto per 43 anni un altro mestiere e da pensionato coltivo l’orto e due nipotini.

 

Però se avessi fatto il virologo o l’epidemiologo o se avessi avuto una qualche responsabilità nel campo dell’igiene e della sanità pubblica, o anche soltanto l’hobby delle epidemie, la cosa non mi sarebbe sfuggita, sarebbe stata per forza il mio pane quotidiano, o il ferro del mestiere, e questo, penso, vale per me ma anche per chiunque altra persona ragionevole.

 

Anche perché il giorno di Santo Stefano il “National Institute for Communicable Disease Control and Prevention (ICDC) of China” affiliato alla PHEIC cioè all’Organizzazione Mondiale della Sanità dava conferma e ufficialità alla precedente comunicazione scientifica con un rapporto registrato nella banca dati di “nextstrain” sotto la sigla “GenBank: MN908947” e lo stesso giorno arrivava da Shandong un secondo genoma appartenente a un paziente di 44 anni registrato con la sigla “GenBank: LR757998”.

 

Seguivano nei giorni successivi sempre da Wuhan, da Shandong e da Pechino altri genomi, cito per esempio il 30 dicembre 2019 quello di una donna di 49 anni con sigla “GenBank MT019530” o il Capodanno 2020 quello di una ragazza di 21 anni con sigla “GenBank LR757996” o il 5 gennaio 2020 quello di un uomo di 39 anni con sigla “GenBank LR757995” e soprattutto arrivava un allarme perchè il virus era uscito dalla Repubblica Popolare Cinese ed era arrivato nella enclave di Hong Kong.

 

Ma secondo me i virologi, gli epidemiologi e i responsabili tecnici dell’igiene e della sanità pubblica del nostri Paese, e anche gli aspiranti tali che adesso sono in cattedra, avrebbero dovuto fare un salto sulla sedia l’8 gennaio 2020 quando dal “Bamrasnaradura Hospital” di Bangkok arrivava alla “Anagrafe” il genoma di una donna di 61 anni e la sigla era “GISAID EPI ISL 403962”, dove quell’EPI diminutivo di “epidemic” diceva molto più della sfilza di nucleotidi mutati, delle loro mutazioni, divergenze, intervallo e area di contatto trasmessi dalla Croce Rossa tailandese e dal dipartimento delle scienze mediche del Ministero.

 

Il misfatto.

 

Da quel momento “nextstrain.org” si rimetteva a GISAID, piattaforma di proprietà di una associazione pubblico-privata senza scopo di lucro creata anni prima dai Governi per la condivisione scientifica, immediata, universale e gratuita dei dati epidemici mondiali.

 

L’idea di dar vita a un Ente del genere era patita dalla Germania, dagli USA e da Singapore, aveva ricevuto il sostegno di filantropi come Bill Gates e di multinazionali ed era stato adottato dal “G20” cioè dal Gruppo dei Ministri della Sanità delle venti principali economie industrializzate ed emergenti del pianeta all’esito di un incontro avvenuto a Berlino il 19-20 maggio 2017 quando Beatrice Lorenzin era Ministro in Italia e Davide Faraone sottosegretario.

 

Ho parlato di salto sulla sedia ma cinque giorni dopo, il 13 gennaio 2020 avrebbero dovuto farlo triplo quando dalla stessa fonte tailandese arriverà il genoma di una seconda donna di 74 anni che ha avuto la sigla “GISAID EPI ISL403963”.

 

Minimo questi scienziati avrebbero dovuto consultare sulla “Anagrafe” il riassunto delle puntate precedenti cioè delle epidemie asiatiche di coronavirus che risalgono ai primi Anni Duemila con i genomi scrupolosamente annotati e soprattutto avrebbero dovuto aprire i capitoli con dati scientifici e tecnici che parlano della malvagia onnipotenza di questa famiglia di virus.

 

Diversamente dalle precedenti epidemie questa volta l’albero filogenico globale nei 10 giorni che seguiranno a quel drammatico 13 gennaio metterà rami e foglie che dall’Asia invaderanno tutto intero il mondo extra-europeo, Australia e USA compresi.

 

Lo scenario.

 

Però salto a piè pari i dati epidemici di questi 10 giorni nel “resto del Mondo” per arrivare in Europa e al 23 gennaio 2020 (cioè sei giorni prima del 29 gennaio 2020 quando la coppia di cinesi sarà ricoverata allo “Spallanzani”, per capirci) quando dalla Francia, e precisamente da Parigi (Ile de France), arrivano alla “Anagrafe” i primi due genomi.

 

 Sono di un’altra coppia di cinesi, anch’essa proveniente da Wuhan e appartengono a una donna di 31 anni ricoverata all’ospedale Claude Bernard nel reparto delle Malattie Infettive e Tropicali e di suo marito di 32 anni e avranno, rispettivamente, la sigla “GISAID EPI ISL 406596” e la sigla “GISAID EPI ISL 406597”.

 

Il 28 gennaio 2020 nel medesimo ospedale francese arriverà una donna di 30 anni il cui genoma proveniente dal “Laboratoire Virpath” di Lione avrà la sigla con numerazione retrodatata “GISAID EPI ISL411219” e lo stesso giorno dall’Istituto di Virologia “Charite Universitatsmedizin” di Berlino arriverà dalla Germania il genoma di un tedesco di Starnberg in Baviera che avrà la sigla “GISAID EPI ISL 406862”.

 

Il giorno dopo 29 gennaio 2020 salterà fuori un’altra donna, questa volta di 47 anni anch’essa ricoverata a Parigi all’ospedale Claude Bernard il cui genoma avrà la sigla “GISAID EPI ISL 408430” e quindi, proveniente dalla Università della Sorbona e dagli “Hopitaux de Paris -Pitiè Salpetriére” arriverà il genoma di un uomo di 53 anni rilevato dal Centro dei Virus Respiratori dell’Istituto “Pasteur” e che avrà la sigla “GISAID EPI ISL 408431” mentre in Inghilterra entrerà il virus col genoma di un ragazzo di 23 anni rilevato dal “Respiratory Virus Unit, Microbiology Services Colindale, Public Health England”.

 

Il 29 gennaio 2020 in contemporanea con le new entry parigine e inglese e il giorno successivo rispetto a quella tedesca, la “Anagrafe” mondiale dei genomi riceverà dall’Italia e dalla dottoressa Maria Rosaria Capobianchi del Laboratorio di Virologia dell’Istituto “Spallanzani” di Roma quello della turista cinese di 66 anni lì ricoverata con suo marito e che avrà la sigla “GISAID EPI ISL 410546”.

 

La goccia.

 

Dovranno trascorrere 22 lunghi giorni prima che dall’Italia arrivasse alla “Anagrafe” un secondo italico genoma, quello di un paziente in codice rosso che solo grazie al felice intuito di Annalisa Malara una dottoressa anestesista di Codogno era stato riconosciuto come “sintomatico” infettato dal COVID-19.

 

Il 20 febbraio 2020 sarà infatti il “Department of Infectious Diseases, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia” (cioè l’Ente pubblico nazionale registrato come “Italy/CDG1/2020”) a trasmettere il relativo genoma appartenente a un uomo di 38 anni, che riceverà la sigla “GISAID EPI ISL 412973”.

 

Il genoma di Codogno era “no nucleotide mutations” cioè non era arrivato in Italia con l’autostop ma si trattava di una goccia piovuta dal cielo e finita per caso nell’occhio di una semplice anestesista.

 

L’insaputa.

 

E le altre gocce, visto che nelle tre settimane precedenti in Europa e nel mondo la pioggia era scesa a dirotto?

 

Gli “allerta virus” del 30 e 31 gennaio 2020 citati in precedenza in Italia non avevano avuto seguito alcuno, erano risuonati nel vuoto come grida nel deserto e si erano spenti. Nessuno che si sia posto una domanda su ciò che stava accadendo e che si sia data una risposta che non fosse la classica botta di culo però prolungata per tre settimane.  

 

Eppure gli epidemiologi, i virologi e i responsabili della sanità avrebbero dovuto chiederselo mentre in quelle settimane la “Anagrafe” della pandemia era sotto il diluvio universale e -detto sottovoce- anche i “decisori politici” un pensierino avrebbero dovuto farlo man mano che sui giornali e sui social comparivano gli sviluppi di Codogno.

 

Le notizie erano che la goccia aveva fatto traboccare un vaso con dentro di 10 Comuni limitrofi trasformandolo in un focolaio della pandemia e dunque la domanda spontanea avrebbe dovuto essere: “Ma qui in Italia abbiamo un ombrello che ci protegge?”.

 

Come i tecnici e i “decisori politici” potevano dimenticarsi di così tante cose?

 

Per esempio, che in Finlandia già lo stesso giorno della coppia di turisti cinesi allo “Spallanzani”, cioè il 29 gennaio 2020, c’era stato il caso della ragazza di 32 anni ricoverata al “Lapland Central Hospital”, un caso tempestivamente segnalato alla “Anagrafe” da Helsinki e che sarà siglato come “GISAID EPI ISL 407079”, anche lui come Codogno senza mutazioni nucleiniche, piovuto dal cielo, però 22 giorni prima?

 

Oppure che in Belgio, nelle Fiandre, il 3 febbraio 2020 c’era stato un altro caso di prossimità a noi e riguardava un uomo di 54 anni di Leuven segnalato da una clinica di virologia che sarà siglato alla “Anagrafe” come “GISAID EPI ISL 407976”?

 

Oppure, sempre per esempio, come non ricordarsi che quattro giorni dopo, il 7 febbraio 2020 in Svezia c’era stato un altro caso a Jönköping registrato con la sigla “GISAID EPI ISL 411951”?

 

E poi come dimenticarsi che il giorno dopo, 8 febbraio 2020, in Francia nel dipartimento Auvergne Rhone Alpes c’era stato un altro caso che riguardava una donna di 56 anni e che il “CNR Virus des Infections Respiratoires - France SUD” aveva trasmesso alla “Anagrafe” il suo genoma che aveva avuto la sigla “GISAID EPI ISL 410486” con quattro mutazioni di nucleotidi e tre mutazioni geniche, il che voleva dire che il virus a casa del nostro cugino d’Oltralpe negli ultimi tempi si era dato molto da fare?

 

Come ignorare questo crescendo sul pianerottolo europeo dove Codogno era soltanto uno dei tanti genomi che continueranno a piovevano a dirotto?

 

Lo dimostrano, per esempio, i casi svizzeri e inglesi di quei giorni, una donna di 33 anni ricoverata il 26 febbraio 2020 a Zurigo all’ Istituto Universitario di Virologia e siglata come “GISAID EPI ISL 413019” e un’altra donna di 52 anni in Inghilterra siglata lo stesso giorno come “GISAID EPI ISL 414011”.

 

Le indagini.

 

A farla breve, l’Europa come tutti gli altri continenti, assisteva a uno stillicidio di casi di pandemia conclamata di un virus ad altissima infettività e a fronte di ciò una persona normale, digiuna di competenze in materia, si chiedeva: “Se il killer seriale avanza verso di me e alle spalle in Cina si è lasciato una ecatombe, non è che in Italia bisogna fare qualcosa dopo aver suonato l’allarme un paio di mesi fa?”.

 

E quel “qualcosa” non poteva che essere la risposta collettiva e obbligatoria da dare a una seconda domanda: “Il killer come uccide?”

 

Tutte e due le domande trovano risposta tecnica in altrettanti termini inglesi, “cluster”, focolaio da isolare tamponando tutti coloro che sono al suo interno (zona rossa), e “droplet”, gocciolina, veicolo del virus da intercettare con mascherine e da evitare stando a distanza uno dall’altro.

 

Tecnica” ho scritto, non “politica” e quindi erano i tecnici che dovevano darla il 1° febbraio 2020 quando i decisori politici hanno deliberato l’emergenza nazionale e bisogna dire che ciò è avvenuto, perché le “zone rosse” alla fine il 23 febbraio 2020 con il decreto-legge n. 6 e i decreti ministeriali successivi sono state attuate e l’uso delle mascherine e il distanziamento sociale anche.

 

Però le risposte “tecniche” sono state “subito confuse e contraddittorie”, “dopo un mese tardive” e “oggi inadeguate” e i decisori non hanno saputo o potuto o voluto intervenire guardando a quanto i loro colleghi stavano facendo in Cina per adattare quel modello allo scenario italiano, certamente diverso ma non fino al punto di impedirci di ottenere gli stessi risultati.

 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: 115.242 colpiti dal virus 83.049 dei quali ancora positivi e 13.915 deceduti e l’Italia paralizzata da un mese.

 

Il riscontro.

 

Cosa si sarebbe dovuto fare e non è stato fatto?

 

Risponde la “Reuters” del 1° aprile 2020: “Quello che hanno fatto i cinesi in Italia”.

 

Lo dicono i numeri e lo spiega un esempio preso tra i tanti, quello di Prato.

 

Gli abitanti di Prato sono quasi 200.000 e 50.000 di loro sono cinesi, il COVID-19 non ha infettato neppure un cinese e grazie a questo 0 (zero) la media aritmetica delle infezioni a Prato si è abbassata ai 62 infettati ogni 100.000 abitanti, cioè quasi alla metà della media nazionale italiana che è di 115 infettati.

 

Come mai?

 

Semplice, la comunità cinese di Prato, attiva nel ramo tessile, in quelle tre settimane e poi in quelle successive fino a oggi, si è tappata in casa e lo ha fatto non per le fake news sulla paternità “cinese” del virus ma perché i connazionali di ritorno dal Capodanno in Cina avevano sparso la voce sulle misure da prendere.

 

Il problema eravamo noi, non loro, noi italiani sulle piste da sci, negli stadi e nelle discoteche, pigiati come sardine nelle piazze e nei locali pubblici a pensare che i cinesi si nascondessero per vergogna e per un senso di colpa.

 

E’ solo un piccolo esempio, quello di Prato, ma vale per tanti altri posti come Milano dove i ristoratori e i commercianti cinesi avevano chiuso e si erano messi in quarantena volontaria senza che nessuno glielo avesse chiesto, anzi ricevendo sfottò sui social e sberleffi per strada.

 

Colmo dei colmi, noi italiani siamo stati i primi in Europa a interrompere il 31 gennaio 2020 tutti i collegamenti aerei con la Cina quando già il 23 gennaio 2020 all’ospedale Claude Bernard di Parigi si erano registrati i due casi di COVID-19 e i cinesi residenti in Italia per ritornare a casa li avevamo costretti a trasbordare negli scali di Paesi terzi anche della stessa Asia, quasi il virus avesse avuto il passaporto incorporato.

 

Addirittura l’8 febbraio 2020 siamo arrivati al punto di esonerare i cinesi tornati in Italia dall’obbligo scolastico di frequenza e di autorizzarli a tenere i bambini a casa e questo in anticipo di un mese rispetto alla nostra chiusura delle scuole.

 

Il bello è che il 23 febbraio 2020 quando il decreto-legge n. 6 ha obbligato gli “individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico”, come appunto i cinesi, a segnalarlo all’ASL per essere sottoposti alla “misura di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva” solo a Prato 360 famiglie e circa 1.300 persone lo hanno fatto e qualche settimana dopo, vista la brutta piega che prendevano le cose in Italia, molti cinesi con doppia cittadinanza hanno spedito in Cina i loro figli piccoli.

 

Conclusione.

 

La mia è una semplice riflessione su fatti concreti, non una critica.

 

Non è tecnica, sarebbe ridicolo pensarlo, però contiene precisi riferimenti tecnici.

 

La cronologia degli avvenimenti è quella, non è manipolata né inventata.

 

Le fonti sono accessibili a chiunque in qualsiasi momento.

 

E’ incompleta perché i fatti sono ancora in pieno sviluppo.

 

E’ parziale, e non potrebbe essere diversamente vista dal mio osservatorio di nonnetto 86enne chiuso in casa con un portatile davanti.

 

Però qualche pensierino anche sui tecnici bisognerà pur farlo.

 

O no?