3   Un dinosauro “pirandelliano” ritorna dal passato : la TRASCA.
 
 
3.1.      Trasca, chi era costui ?

 

A Sanremo, ormai sono pochi e hanno tutti le tempie grigie quelli che ricordano la TRASCA e forse non è rimasto nessuno in grado di ricostruirne fedelmente la storia.

 

Così quando dal cilindro del Comune esce non un coniglietto bianco ma un dinosauro che porta quel nome tutti annaspano nel buio e pensano che Zoccarato e Fera intendano sbarcare su Marte.

 

Invece la discarica TRASCA è lì, a portata di mano, nel cuore della operosa Valle Armea in una Città che però l’ha rimossa per seppellire sgradevoli ricordi che, al contrario, vanno anch’essi risvegliati per evitare che gli errori si ripetano.

 

Cominciamo dal nome : TRASCA (= TRA-sporti & SCA-vi ?) che è quello di una s.r.l. con sede a Valleggia di Quiliano, in provincia di Savona, condannata a morte e fucilata all’alba, come Cavaradossi a Castel Sant’Angelo nella Tosca, però sotto il Forte del Priamar a Savona il 27 maggio 1985 quando a schiacciare il grilletto era il plotone di esecuzione del locale Tribunale con una sentenza di fallimento dopo anni di onorato servizio in prevalenza svolto in veste di subappaltatrice dei lavori di trasporto e smaltimento dello “smarino”, materiale lapideo che viene estratto dagli scavi in galleria nelle grandi opere.

 

 

 

3.2   Vita, morte e miracoli della Trasca.

 

Passiamo quindi, come si fa nelle cause dei Santi, a illustrarne vita, morte e miracoli.

 

Vita : un’intera esistenza trascorsa all’ombra del PCI (socio e/o amministratore era il geometra Magliotto, fratello di Armando, presidente comunista della Regione Liguria; sponsor il parlamentare di Torino Lucio Libertini responsabile nazionale Trasporti del Partito (poi trasmigrato a Rifondazione) che all’epoca si sussurrava avesse spianato la strada al subappalto nei lavori per il traforo piemontese del Frejus svoltisi tra il maggio 1975 e l’aprile 1980; uno dei progettisti della più importante delle sei discariche aperte dalla COGEFAR nella tratta tra Ospedaletti e San Lorenzo al mare, quella, appunto, di Valle Armea, affidata alla TRASCA era l’architetto Toffoluti appartenente al Gruppo PCI in comune a Sanremo).

 

Morte : avvenuta, come si diceva, a seguito di un fallimento misericordioso che, come il manto della Vergine Maria, ha coperto ogni cosa.

 

Miracoli: un’ampia collezione di prodigi, anzi un vero e proprio florilegio, nel quale  spiccano per i loro effetti, questi tre : 1° la discarica va dal mare alla montagna, 2° tutti diventano ciechi e nessuno se ne accorge e 3° la discarica si smaterializza assieme a chi l’ha fatta.

 

Vediamoli distintamente, uno per uno, tutti e tre i miracoli.

 

 

 

3.3.       Dal mare la discarica va, come Maometto, alla montagna.

 

 

 

A quel tempo la COGEFAR per spostare a monte i 24 chilometri di ferrovia doveva aprire sette cantieri (Ospedaletti, Sanremo/Parco delle Carmelitane, Sanremo/Valle Armea, Arma di Taggia, Santo Stefano, Terzorio e San Lorenzo) e altrettante “bocche di cava” per l’uscita dei materiali scavati, ognuna delle quali al servizio di uno specifico segmento dell’opera lineare lunga complessivamente 23.862 metri, di cui 21.843 metri, pari al 95 %, da scavare in galleria con produzione di 2.219.000 metri cubi di “smarino”, ai quali si aggiungevano 773.000 metri cubi di terra, volumi misurati “in banco” e che - una volta estratti e sciolti - devono essere moltiplicati per 1,6 che corrisponde al coefficiente di espansione ponderato dei materiali in questione.

 

Per regolare i rapporti nascenti da un’opera di così colossali dimensioni il 29 aprile 1980 era stata stipulata a Roma una apposita “Convenzione” firmata per le Ferrovie dal direttore del Servizio Lavori e Costruzioni, per il comune di Sanremo dal sindaco e per gli altri sette Comuni interessati dal presidente della provincia di Imperia.

 

Circa il destino dei materiali provenienti dai quattro segmenti di Ospedaletti, Sanremo – Parco delle Carmelitane, Sanremo – Valle Armea e Arma di Taggia la “Convenzione” (art. 7, comma secondo) prevedeva : “Tutti i materiali di risulta dei lavori del nuovo tracciato ferroviario per il tratto da Ospedaletti ad Arma di Taggia dovranno essere conferiti a discarica a mare, su richiesta dei Comuni interessati”.

 

La prescrizione tassativa e inderogabile non era casuale, ma dettata dall’interesse dei Comuni a ricavare aree sul loro litorale che a partire dalla seconda metà del 1800 (poco prima dell’Unità d’Italia) è soggetto a massicci fenomeni di “regressione degli arenili” e in molti casi alla loro scomparsa, per effetto : a) della costruzione della linea ferroviaria “Delle riviere liguri” costeggiante il mare, iniziata nel marzo 1857 partendo dal fiume Varo (Nizza) e ultimata nel 1878 sul greto del fiume Magra che prima del 1861 era il confine naturale col Ducato di Modena e Piacenza; b) dello spostamento sul litorale della collinare “Strada della Cornice”, collage di pezzi dell’antico corridoio imperiale Parigi - Napoli sognato da Napoleone e messi insieme da Carlo Felice di Savoia, con creazione della Strada Statale n. 1  “Aurelia” che nel Ponente ligure lambisce il mare addirittura per il 94 % della sua lunghezza; c) della caotica urbanizzazione del litorale e delle scriteriate e dannose opere di protezione realizzate a mare.

 

L’interesse dei Comuni a recuperare aree sul mare (come era già avvenuto a Sanremo col rilevato AUTOFIORI a Pian di Poma e come avverrà a Ospedaletti e a Riva Ligure, regione Prati) era radicalmente opposto a quello della COGEFAR e per esso della TRASCA s.r.l. per le seguenti ragioni di carattere economico :  a) convenienza a smaltire il materiale nelle immediate vicinanze del cantiere percorrendo una pista sterrata riservata a speciali veicoli industriali “fuori sagoma” in grado di collegare  direttamente la “bocca di cava” con la discarica senza doversi inserire nella viabilità ordinaria, riducendo al minimo le spese per opere di sistemazione statica e idraulica della discarica ed evitando la cernita dello “smarino” per escludere il materiale inquinante; b) convenienza ad evitare i pesantissimi oneri di trasporto con veicoli normali e su viabilità ordinaria, di selezione del materiale e smaltimento dei limi, fanghi e argille che inquinano il mare e di costruzione delle scogliere di contenimento.

 

Il valore della prescrizione contenuta nell’articolo 7, comma secondo, della “Convenzione” all’epoca (1980) era stato stimato per difetto in non meno di £. 10.000 al metro cubo e se si considera che il geometra Gian Cesare Ay su incarico del Comune di Sanremo (delibera G.M. 2402 del 15/06/1985) e con perizia giurata (Pretura 12/08/1985 n. 3170 : “Giuro di avere bene e fedelmente adempiuto alle funzioni affidatemi, al solo scopo di far conoscere al Giudice la verità”) ha accertato la presenza di 792.453 metri cubi di “smarino” depositato in discarica in valle Armea nel rio Cascine si può concludere che sulla base dei prezzi contrattuali il miracolo ha fruttato alla TRASCA s.r.l. e ai suoi soci circa  7 miliardi 792 milioni e 453 mila lire del’epoca.

 

Cifra (sia detto per inciso) non di molto inferiore a quella di 10 miliardi di lire versata in dieci comode rate dal comune di Sanremo alle Ferrovie per l’acquisto dell’intera linea dismessa di 24 chilometri, comprese le stazioni, e che sarà “rivalutata al 2003”  in € 21.709.458,59 per essere quindi “girata” alla Regione che avrebbe dovuto fare da tramite al trasferimento degli immobili agli otto destinatari finali e che invece lo ha fatto solo per la Città dei Fiori mentre al posto degli altri sette Comuni il “ritrasferimento” lo ha compiuto a beneficio di Area 24 s.p.a. che, a sua volta, per sopravvivere ne ha (s)venduta un’ampia parte ai privati.

 

Ma lo straordinario miracolo di portare la discarica dal mare alla montagna la sub-appaltrice TRASCA da sola non avrebbe mai potuto compierlo, neppure con la regia della potentissima appaltatrice COGEFAR e con la benedizione delle appaltanti Ferrovie dello Stato.

 

Infatti il pallino in mano, come prevedeva l’articolo 7, comma secondo, della “Convenzione”, lo avevano “i Comuni interessati” e nello specifico caso quello di Sanremo, ed è lì che vanno cercati gli autori del miracolo che li ha resi Beati.

 

A onor del vero, agli inizi nulla lasciava intendere che ciò potesse accadere, soprattutto perché era stato proprio il Comune di Sanremo a esigere dalle Ferrovie l’inserimento nella “Convenzione” del vincolo di destinazione finale,  categorico e inderogabile, contenuto nell’articolo 7, comma secondo, per il quale tutti i materiali di risulta “dovranno essere conferiti a discarica a mare”.

 

Inserimento che veniva da lontano, almeno dal 1978, quando il Comprensorio Sanremese, livello intermedio di programmazione creato all’epoca dalla Regione, aveva incaricato un gruppo di esperti (Bensa, La Barbera e Taggiasco) di analizzare la situazione del litorale in vista dei lavori ferroviari e loro nel novembre di quell’anno  sotto l’eloquente titolo : “Indicazioni per la sistemazione a mare in rilevato dei materiali di risulta provenienti dai lavori per lo spostamento a monte della ferrovia nel tratto San Lorenzo-Ospedaletti”, avevano presentato in merito un progetto di massima composto da una relazione generale, dallo studio del moto ondoso nell’ambito dell’unità fisiografica compresa tra Ospedaletti e San Lorenzo e da una relazione geologico-tecnica oltre a 7 tavole cartografiche riguardanti la geologia, l’ubicazione delle opere previste, le rose annuali del mare e del vento e le curve di frequenza delle onde al largo, i piani d’onda di ciascuno dei 5 rilevati previsti, piani misurati con direzione 100° e 200 ° e relativi settori di traversia. 

 

Dal momento che a Sanremo le due “bocche di cava” dalle quali uscivano i materiali erano previste nella zona di centro-levante i presidenti delle due circoscrizioni direttamente interessate, Fornasero per quella di San Martino e Sindoni per quella di Bussana, si erano subito attivati e in Comune - prima della consegna dei lavori alla COGEFAR - si era arrivati a stendere un programma di massima della sistemazione a mare dello “smarino”, programma che vale la pena ricordare per inserirlo nel lungo elenco delle occasioni perdute dalla Città e dei treni che sono passati e sui quali lei non ha potuto (o voluto) salire.

 

Secondo quel programma, dalla “bocca di cava” del Parco delle Carmelitane doveva uscire il materiale estratto tra le progressive km. 128/133 oltre a quello che proveniva dal tunnel di accesso alla stazione sotterranea per una volumetria complessiva di 535.000 metri cubi “sciolti”, cioè non più misurati “in banco”, composta per il 90 % da argilloscisti (metri cubi 483.000) e per il 10 % da conglomerati (metri cubi 52.000), oltre a un modesto quantitativo inquinante di argille (metri cubi 28.000), queste ultime da smaltire a terra.

 

L’itinerario dei mezzi di trasporto previsto era di circa 1400 metri di lunghezza e ricalcava sostanzialmente da ponente quello che dieci anni prima era stato utilizzato da levante per i materiali rocciosi provenienti dalla Cava Albani di Poggio e destinati alla costruzione delle scogliere di Portosole e prevedeva l’appoggio su corso Cavallotti fino a San Martino e quindi lo sbocco sul litorale lungo la pista esistente nel greto dell’omonimo torrente.

 

Sempre in base a quel programma, dalla “bocca di cava” di Valle Armea doveva uscire il materiale estratto tra le progressive km. 125/128 per una volumetria complessiva di 302.000 metri cubi anch’essi “sciolti”, composta per il 78 % da argilloscisti (metri cubi 236.600) e per il 22 % da conglomerati (metri cubi 65.400), oltre a un modesto quantitativo inquinante di argille (metri cubi 12.900), queste ultime da smaltire a terra.

 

L’intero percorso previsto in questo secondo caso si allungava fino a circa 3.000 metri e si sviluppava in parte lungo la via Armea e in parte su una pista già predisposta in argine destro dell’omonimo corso d’acqua per la costruzione del Mercato dei Fiori.

 

Insomma, tutto era pronto per realizzare a Sanremo le due discariche a mare, la prima a San Martino e la seconda a Bussana, e l’Amministrazione comunale aveva affidato l’incarico di progettare le opere marittime per il loro contenimento, rispettivamente, allo studio SEADATA di Trieste per la prima e allo studio genovese Brizzolara & Stura per la seconda.

 

Il 9 gennaio 1980 il Sindaco rilasciava un’intervista al giornalista Olivieri della STAMPA nella quale dichiarava : “Non scaricheremo né a Capo Verde né a Capo Nero, ma nel tratto di mare antistante il rione di S. Martino, dove finisce Porto Sole. In una posizione centrale rispetto al percorso che dovranno effettuare i camion. Imporremo alla società che si è aggiudicata i lavori (la Cogefar) l'obbligo di procedere, man mano che si effettuano gli scarichi, alla costruzione delle opere di protezione a mare. Non accadrà dunque quanto è accaduto a Pian di Poma.Contiamo di ricavare lo spazio press'a poco di Pian di Poma: poco meno di 400 mila metri quadrati di terreno.Una volta garantita la protezione a mare del materiale, quell'area potrà servire a tante cose.Un Casinò estivo? perché no? al limite anche un ippodromo.”

 

Oh ! fortuna volubile e leggera ! Appena vidi il sol che ne fui privo e al cominciar del dì giunse la sera !”  a questo punto della storia si potrebbe piangere col Poeta, anche perché in questo caso il sole non era ancora sorto e il giorno neppure cominciato e già la COGEFAR il 27 ottobre 1980 modificava il programma di lavoro ed eliminava la “bocca di cava” di Sanremo/Parco delle Carmelitane che, per brevità di percorso, quantità e qualità del materiale e celerità delle procedure burocratiche occorrenti era quella che nei fatti impediva la realizzazione del miracolo di portare la discarica dal mare alla montagna (dove la TRASCA, su progetto Toffoluti, aveva già in mano dal 2 giugno 1980 la concessione edilizia n. S/351 bis per 150.000 metri cubi di materiale ottenuta con il pretesto che sarebbe servita solo per quello che non era idoneo a essere smaltito in mare).

 

Colpito e affondato San Martino, ora la battaglia navale si trasferiva a Bussana e scendevano in campo i pezzi da novanta in grado di affondare anche una portaerei.

 

Lo scenario, come si addice a ogni miracolo degno di questo nome, è surreale perché fa da sfondo alla interpretazione metafisica di personaggi che recitano la loro parte prescindendo dalla realtà concreta e urgente rappresentata da una montagna di “smarino” di  837.000 metri cubi tutti da concentrare sul litorale di Bussana, attraverso la realizzazione a levante e a ponente della foce del torrente Armea di un gigantesco rilevato a mare che si estende a est fino alla foce del rio Fonti (sotto Villa Spinola a Bussana) e ad ovest fino alla punta di Capo Verde (all’altezza del futuro depuratore).

 

Loro, invece, mentre la TRASCA è intenta a riempire fino a saturazione il vallone di rio Cascine, discutono come i dottori alessandrini su quanti angeli stanno sulla punta di un ago e dibattono animatamente e con la partecipazione dei tecnici incaricati Brizzolara, Stura e Puppo, su batimetriche che non superino la quota di – 3 metri, su scogliere di contenimento di 2,5 metri di altezza sul livello del mare, sull’ampliamento del rilevato realizzato dalla MONTUBI a Capo Verde per l’alaggio di tubi dell’acquedotto sottomarino del Roya, sulla salvaguardia dello “Scoglio di fuori” davanti a Bussana,  cioè discutono senza mai decidere su cose minime che al massimo nell’ipotesi più ambiziosa prospettata dal Comune di Sanremo avrebbero potuto assorbire 125.000 metri cubi di materiale a formare una superficie del rilevato di appena 40.000 metri quadrati.

 

Insomma una inezia rispetto alle necessità.

 

Non ostante l’ingegnere Fiorentino, direttore del Genio Civile Opere Marittime di Genova fin dal 30 giugno 1981 avesse categoricamente escluso ogni possibilità di approvazione dell’ipotesi prospettata dal Comune di Sanremo di una discarica a mare da realizzare tra il torrente Armea e Capo Verde e non ostante almeno i 2/3 di tutto il materiale proveniente dagli scavi ferroviari alla fine di quell’anno fosse già stato smaltito a terra nella discarica TRASCA di rio Cascine, loro imperterriti hanno continuato per anni a discuterne in Comune come quel giapponese sull’atollo sperduto del Pacifico che non sapeva che la Seconda Guerra mondiale era finita da un pezzo.

 

Basti dire che la seconda commissione consiliare ancora il 3 giugno 1983 discuteva nel dettaglio con l’ingegnere Brizzolara su una diga sommersa per alzare il fondale davanti a Bussana utilizzando il materiale proveniente dagli scavi ferroviari, discussione che proseguiva il 1° luglio successivo.

 

Finché il 2 settembre l’assessore competente, pochi mesi prima che l’Amministrazione fosse travolta dallo scandalo Casinò, non faceva finalmente gridare al miracolo la seconda commissione consiliare al completo illustrando “la richiesta inoltrata dall’Impresa TRASCA di Quiliano (SV) contenente istanza di concessione in deroga al sovralzo della già autorizzata discarica in Valle Armea (per i materiali di risulta della ferrovia), non essendo in grado la discarica stessa di soddisfare le necessità di accoglimento dei materiali provenienti dai diversi scavi in corso nell’area urbana.”

 

Dunque la discarica dal mare era andata alla montagna, come fece Maometto : se non è un miracolo questo !

 

 

 

3.4   I vedenti diventano ciechi.

 

 

 

A quel tempo a Sanremo - Palazzo Bellevue - si riuniva nel sinedrio municipale gente che ci vedeva benissimo ma che girava in Valle Armea con gli occhiali neri, il bastone bianco e il cane lupo.

 

Erano quelli che dopo aver approvato, sottoscritto e benedetto solo un mese prima l’articolo 7, secondo comma, della “Convenzione” (il quale - giova ripeterlo - stabiliva che “Tutti i materiali di risulta dei lavori del nuovo tracciato ferroviario per il tratto da Ospedaletti ad Arma di Taggia dovranno essere conferiti a discarica a mare, su richiesta dei Comuni interessati”)erano diventati improvvisamente ciechi e  non vedevano che nella realtà stava invece verificandosi l’esatto contrario.

 

Infatti la perdita della vista ha impedito loro di accorgersi, in rapida successione :

 

1.    che poco a valle del cantiere ferroviario COGEFAR il 30 aprile 1980 erano partiti i lavori del Mercato dei Fiori e che l’Impresa CODELFA stava traslando di un centinaio di metri in direzione da levante verso ponente il torrente Armea, per infilarlo subito dopo sotto una copertura in calcestruzzo a doppio fornice di 800 metri di lunghezza con una sezione di deflusso di 100 metri quadrati (resa indispensabile dalla pendenza del torrente e dalla portata massima di piena calcolata in 612 metri cubi al secondo) e così mettere in sicurezza l’intera area alluvionale del corso d’acqua.

 

2.    che a maggio poco a monte del cantiere CODELFA sul terreno comunale di San Pietro (che era la stazione di transito dei rifiuti solidi urbani destinati allo smaltimento nella discarica IDROEDIL s.r.l. di Collette Ozotto) era improvvisamente spuntato un cumulo di “smarino” di 10/15.000 metri cubi ivi depositato dalla TRASCA - futura subappaltatrice della COGEFAR per il trasporto a discarica dello “smarino” in base a un contratto che sarà firmato il 5 agosto 1980 -  in attesa dell’approvazione diuna discarica “a terra” nel rio Cascine (affluente di sinistra del torrente Armea) sulla base della pratica edilizia S/351 aperta il 6 maggio 1980 su progetto del geom. R. Magliotto e rinviata dalla Commissione Edilizia il 22 maggio 1980;

 

3.    che il 2 giugno 1980 su progetto/bis questa volta firmato dall’arch.Toffoluti (che qualche giorno dopo sarebbe stato eletto in Consiglio Comunale nella lista P.C.I.) era stata rilasciata alla TRASCA la concessione edilizia n. S/351 bis per la realizzazione nel rio Cascine di una discarica di “smarino” da 150.000 metri cubi e che, sulla base del calcolo farlocco della portata massima di piena di 14,8 metri cubi/secondo, si prevedeva di incanalare il torrente in un tubo di ferro di m. 1,5 di diametro (proveniente dalla demolizione di una centrale termoelettrica a Vado Ligure), senza prevedere l’obbligo della rollatura e della costipazione del materiale depositato e soprattutto senza dimostrare con documenti la disponibilità delle aree interessate (private, pubbliche e demaniali) in violazione dell’art. 4 della Legge “Bucalossi” 28 gennaio 1977 n. 10;

 

4.    che proprio per questo il 28 maggio 1980 la Commissione Edilizia in sede di istruttoria aveva condizionato il rilascio della Concessione Edilizia alla TRASCA a una serie di tassative prescrizioni e che in particolare aveva fatte proprie le raccomandazioni del geologo Ernesto D’Egidio che imponevano pendenze della discarica non superiori al 35-40 % e appena possibile il trasporto definitivo a mare del materiale e quelle del Comune relative al rispetto della “Bucalossi” (formalizzate con una richiesta 11 giugno 1980 alla TRASCA rimasta sempre inevasa);

 

5.    che l’8 luglio 1981 a Genova, alle condizioni contenute in un apposito “Disciplinare” concordato con il Genio Civile e l’Intendenza di Finanza di Imperia,  la Giunta Regionale della Liguria aveva approvato la delibera n. 3812 di concessione al Comune di Sanremo per 30 anni del tratto demaniale del torrente Armea sul quale l’Impresa CODELFA stava eseguendo i lavori del Mercato dei Fiori e di accollo al Concessionario degli oneri di pulizia e manutenzione del tratto a monte e del rischio idraulico connesso;

 

6.    che il 17 luglio 1980 era stata aperta la pratica edilizia n. S/610per poter costruire una pista sterrata di accesso alla discarica TRASCA passando sul terreno comunale di San Pietro dove sorgeva la stazione di transito dei compattatori dei rifiuti solidi urbani;

 

7.    che la concessionaria U. C. Flor. dei lavori di costruzione del Mercato dei Fiori, alla quale il Comune aveva “girato” le responsabilità derivanti dalla concessione demaniale dell’Armea, e per essa l’Impresa appaltatrice CODELFA, valutato il rischio idraulico che la creazione della discarica a monte comportava e a seguito di trattative con la TRASCA, aveva concordato con quest’ultima il 30 luglio 1981 l’apertura della pratica edilizia n. T/757per un ampliamento  della discarica da 150.000 a 300.000 metri cubi – sempre però alle condizioni tassative fissate dalla Commissione Edilizia il 28 maggio 1980 – e sulla base di un progetto predisposto da un loro tecnico di fiducia (l’ing. Levrero della CODELFA) secondo i calcoli del Progettista e Direttore dei Lavori ing. Tetamo, progetto riguardante un’area di 30.000 metri quadrati sviluppata longitudinalmente all’asse del rio Cascine per una lunghezza di 400 metri sotto la quale il corso d’acqua veniva canalizzato per 300 metri di lunghezza in un tombino di c.a. con sezione m. 0,80 x 1,80 e di metri quadrati 1,44 di luce calcolato in ragione del 66,7 % della portata massima di piena prevista in metri cubi 20,150 al secondo;

 

8.    che la Seconda Commissione del Consiglio Comunale il 24 settembre 1981 aveva stabilito di sospendere la pratica edilizia T/757in attesa della definizione della pratica relativa alla discarica a mare di Bussana”;

 

9.    che il 6 ottobre 1981 la Commissione Edilizia sulla pratica edilizia T/757 aveva costituito una apposita sotto-Commissione presieduta dal Sindaco con il compito di compiere un sopralluogo per verificare l’avvenuto rispetto delle tassative prescrizioni stabilite il 28 maggio 1980;

 

10.che “dum Romae consulitur”, cioè mentre sul piano burocratico, tecnico e amministrativo accadeva tutto questo, su quello pratico “Sagunthum expugnatur” cioè la TRASCA continuava imperterrita  ad accumulare nella vallata del rio Cascine lo “smarino” che usciva a ritmi frenetici e a getto continuo giorno e notte dalla bocca di cava che la COGEFAR aveva aperto sull’argine destro del torrente Armea, così da costringere l’ing. Levrero il 16 dicembre 1981 a elaborare un nuovo progetto per ratificare la situazione di fatto che si era venuta a creare, rappresentata da una discarica che ormai aveva raggiunto (e forse già superato) il volume complessivo di non meno di 500.000 metri cubi, progetto che la TRASCA ha corredato con una relazione geologico-geotecnica di Pietro Lunardi (futuro Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nei Governi Berlusconi II e III tra il 2001 e il 2006) e di Alberto Rovelli, echesarà stato assentito l’11 maggio 1982 con concessione edilizia T/1162.

 

Però miracolosamente tre mesi prima il mattino del 24 febbraio 1982, un po’ come accadde a Lourdes alla pastorella Bernadette Soubirous, il prodigio non è apparso in tutta la sua sconvolgente evidenza a un cronista del Secolo XIX, Antonio Turitto, che nel descriverlo sulle colonne del quotidiano genovese sotto il titolo “Un’enorme massa di terriccio incombe sulla Valle Armea” ha sollevato il coperchio della pentola. 

 

Ecco un passo significativo del racconto di quella lontana apparizione :”Un disastro ecologico di vaste proporzioni incombe,come una spada di Damocle, su tutto il litorale ponentino.” “Sono almeno due milioni di metri cubi di terriccio e materiale instabile che un’improvvisa alluvione potrebbe portare al mare in maniera impetuosa.” “In tale deprecabile ipotesi il cantiere del costruendo mercato dei fiori, la filiale della Fiat e tutti i fabbricati di Bussana bassa sarebbero travolti dalla melma …” “Il tutto perché Regione, Comuni interessati, comprensorio, ditta appaltatrice e demanio marittimo non sono riusciti ad accordarsi e studiare un piano per le discariche a mare.” “E sotto sotto ci sono anche sospetti di procedure non del tutto regolari perché scaricare il materiale di risulta a pochi passi dallo sbocco della costruenda galleria costa molto meno che portarlo, con lunghi tragitti di autocarri, in mare …”.

 

Turitto chiudeva con questo augurio tutt’altro che tranquillizzante : “Non rimane che sperare nella clemenza di Giove Pluvio, che sia parco nel mandare giù acquazzoni in valle Armea”.

 

Non solo a Sanremo ma in tutta la provincia di Imperia e anche a Genova e a Roma non si contano i ciechi sorpresi davanti alle edicole a divorare tutto di un fiato l’articolo rivelatore, senza bisogno di alfabeto Braille; però aprivano gli occhi troppo tardi, perchè nel frattempo la TRASCA il miracolo lo aveva già compiuto e ora poteva tranquillamente prepararsi a una dolce eutanasia.

 

 

 

3.5        La discarica si smaterializza assieme a chi l’ha fatta.

 

 

 

3.5.1 Miracolo o magia ?

 

 

 

Folgorata dai cronisti che per dimensioni la paragonano alla piramide di Cheope la discarica TRASCA all’improvviso si è smaterializzata e come un’astronave aliena lo ha fatto assieme al suo equipaggio, ai tecnici e ai burosauri terrestri venuti a visitarla e a tutte le loro scartoffie: perché - a onor del vero - al giorno d’oggi quello che è successo in valle Armea più che un miracolo si direbbe una sequenza tratta dalle serie di Star Trek e di Stargate o dalla descrizione  di una magia di Harry Potter.

 

Dalla preistoria l’astronave ritornerà tra noi trent’anni dopo sotto le sembianze di un dinosauro, ma questa è una storia ancora tutta da scrivere.

 

La prima a dissolversi è stata la stessa società TRASCA : il prodigio si compie nel Tribunale di Savona dove la sentenza 27 maggio 1985 dichiara il suo fallimento, con delega al Giudice dottor Carimi, sostituito poco dopo dal dottor Ferro, e nomina del Curatore  nella persona del dottor Martinengo.

 

Nelle loro mani la TRASCA sublimerà come una pallina di canfora o di naftalina e di lei non rimarrà più nulla.

 

Quanto alle Ferrovie, loro si erano smaterializzate già diversi anni prima, nel 1980, e fattesi puro spirito erano velocemente salite in Cielo salvandosi l’anima e questo grazie alla “Convenzionepret-à-porter che all’articolo 7 comma secondo toglieva dalle loro mani la patata bollente e la depositava in quelle degli Enti Locali interessati.

 

Restava la grande protagonista, la COGEFAR, che in attesa di dissolversi come nebbia al sole ha interpretato due parti in commedia, in una prima fase quella di un prudente quanto astuto Pilato che si lava le mani (a parole) di tutto ciò che avviene fuori dalla “bocca di cava” dei suoi cantieri e sta attento a firmare il contratto di subappalto solo il 5 agosto 1980 dopo che la TRASCA il 2 giugno precedente aveva ottenuto la concessione edilizia S/351 bis, ma che nei fatti lo avalla, parte recitata per cinque anni fino a quando la TRASCA non è  fallita.

 

Da quel momento in poi inizia la seconda fase durante la quale la COGEFAR ha egregiamente svolto il ruolo del Cireneo che per mera carità cristiana prende sulle sue spalle la croce, lasciata libera dall’ultimo amministratore della TRASCA nel frattempo finito in galera per bancarotta fraudolenta su istanza del Procuratore della Repubblica di Savona dottor Russo.

 

 

 

3.5.2 I burosauri si risvegliano

 

 

 

La fase “pilatesca”, che COGEFAR ha svolto interamente dietro le quinte e con la copertura della TRASCA, ha un antefatto che merita di essere raccontato e che inizia dalla lettera del 2 marzo 1982 protocollo n. 4154/Rep. II° con la quale l’Intendente di Finanza dottor Fernando Agus trasmette la fotocopia dell’articolo di Turitto all’Ufficio Tecnico Erariale e a quello del Genio Civile.

 

Lettera che contiene due precisi interrogativi e un chiarimento: 1° “se la discarica viene effettuata su aree demaniali”; 2° “se detta discarica, anche se effettuata su aree private, pregiudichi il libero corso del torrente ARMEA” e l’invito al Genio Civile a chiarire“quali provvedimenti abbia adottato o intenda adottare nell’ambito della propria competenza, qualora sussista taluna delle situazioni ipotizzate”. 

 

La risposta del direttore dell’Ufficio Tecnico Erariale, ingegnere Guido Sanzo, (18 marzo 1982 n. 1293/1186) descrive la situazione in cinque nitide istantanee :

 

1. “il materiale arido è stato (e viene tuttora) discaricato su un vallone di origine calanchifera percorso dal rio Cascine (affluente di sinistra del torrente Armea)”;

 

2.buona parte del vecchio alveo del torrente è stata tombinata con struttura scatolare in c.a. (sez. rettangolare netta m. 1,80 x (h.) 2,10) e la soletta di copertura è stata utilizzata, al pari dei terreni privati latistanti, per la discarica del materiale”;

 

3.detta discarica è da ritenersi di enormi proporzioni, con un fronte di scarpa di circa 20 metri gravitante su una pista carrabile di fondo valle (la discarica viene effettuata dalla cresta della collina utilizzando strade private)”;

 

4.anche il tratto terminale del rio Cascine è stato tombinato da più antica data, e la soletta di copertura utilizzata come parte della pista carrabile sopraccennata; l’opera fu eseguita dal Comune di Sanremo sulla base della concessione trentennale rilasciata dal Genio Civile con decreto n. 1105 del 5 maggio 1970 (cfr. Intendentizia n. 36954 del 7 gennaio 1969 e proposta U.T.E. di canone n. 366/710 del 3 febbraio 1969)”;

 

5.agli atti non risulta che siano state mai trattate pratiche di concessioni relative ai due tratti di tombinatura del rio Cascine né tantomeno alla discarica”.

 

Le conclusioni tratte dall’ingegnere Sanzo su quanto da lui osservato nel rio Cascine ricordano le parole di Rutger Hauer in Blade RunnerIo ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi” e offrono un quadro della situazione, se possibile, ancora più preoccupante di quello descritto da Turitto, eccole  :

 

“alla luce dei recenti disastri verificatisi in località della Provincia a causa dello straripamento di corsi d’acqua minori (25/26 settembre 1981) una tale massa di terra sciolta, in caso di intense ininterrotte precipitazioni piovose quali furono quelle che provocarono i disastri in questione, potrebbe tradursi in una valanga fangosa che, slittando lungo il tracciato della pista di fondovalle, si precipiterebbe, in senso trasversale, nell’alveo del Torrente Armea, formando, per la simultanea presenza di massi e arbusti, una vera e propria diga, ripetendo così le condizioni di spinta delle acque che causarono i disastri del 26 settembre 1981 e da ultimo quello del torrente Prino del 28 dicembre 1981”.

 

Quanto ai chiarimenti che l’Intendenza ha sollecitato al Genio Civile, la risposta si è tradotta nella trasmissione in fotocopia del carteggio epistolare relativo a una pratica mai conclusa che la TRASCA aveva aperto il 14 ottobre 1981 col n. 5675 a Imperia presso quell’Ufficio nell’ambito dell’istruttoria della pratica edilizia T/757 da lei avviata - come si è visto in precedenza - in Comune a Sanremo su progetto Levrero/Tetamo  il 30 luglio 1981 a seguito delle pressioni della U.C. Flor e della CODELFA (Mercato dei Fiori) preoccupate per il rischio idrogeologico del torrente Armea (Nota bene : pratica edilizia  T/757 che, come si è detto in precedenza, nessuno in Comune aveva visto perché tutti erano diventati improvvisamente ciechi e che per prudenza era stata sospesa dalla Seconda Commissione Consiliare per essere poi definitivamente insabbiata  dalla speciale sotto-Commissione costituita nell’ambito della Commissione Edilizia).

 

Però tra i fogli di quel carteggio epistolare saltano fuori cose altamente edificanti che del “miracolo della smaterializzazione dei corpi, dei luoghi e dei documenti” aiutano a capire se non il “perché” certamente il “come”.

 

 

 

3.5.3 I burosauri ritornano a dormire.

 

 

 

Si parte dalla domanda presentata sia al Genio Civile (Protocollo n. 5675 del 14 ottobre 1981) che all’Intendenza di Finanza con la quale la TRASCA, “in attuazione della Concessione Edilizia n.° S/351 bis rilasciata dal Sindaco di Sanremo in data 2 giugno 1980”, ha chiesto di ottenere in concessione l’alveo demaniale del rio Cascine per una superficie di metri quadrati 2.625, a cavallo dei fogli 2 e 4 del comune censuario di Bussana, e di intervenire su di essa con arginatura e alveolatura artificiale del corso d’acqua per un tratto di 750 metri di lunghezza, e questo  per potervi formare sopra un rilevato mediante discarica di materiale solido.

 

Un mese dopo, il 13 gennaio 1982, il Genio Civile effettuava un sopralluogo e constatava che i lavori erano già iniziati, così da indurre l’ingegnere Ilarione Poli a intimare alla TRASCA “di sospendere immediatamente i lavori stessi, in quanto non possono essere eseguiti senza la preventiva autorizzazione di questo Ufficio (Ingiunzione 1° febbraio 1982 n. 521).

 

Più che di una ingiunzione si trattava di un eufemismo, se è vero che non solo “i lavori erano già iniziati” ma erano ormai finiti, come solo 23 giorni dopo dimostrerà l’articolo di Turitto.

 

Intanto, però, il Genio Civile mentre con una mano reggeva la spada dell’ingiunzione a sospendere immediatamente i lavori tendeva l’altra mano verso la regolarizzazione della situazione e con nota 22 febbraio 1982 n. 939 apriva l’istruttoria chiedendo all’Intendenza di Finanza “parere e determinazioni da inserire nel relativo disciplinare”.

 

Disciplinare che, però, inspiegabilmente nei quattro anni successivi non arriverà mai a conclusione e ad essere rilasciato, non ostante i pareri e le determinazioni richieste fossero arrivate puntualmente all’Ufficio del Genio Civile non solo dall’Intendenza ma anche dall’Ufficio Tecnico Erariale e dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova.

 

Comunque, nella nota in questione, che sarà la prima e l’ultima lungo la strada dell’istruttoria fino al fallimento TRASCA del 1985, l’ingegnere Poli sintetizza i dati del progetto allegato alla domanda e fa seguire alcune osservazioni così riassunte :

 

A.          La sistemazione idrogeologica proposta è a carattere permanente.

 

B.          La tombinatura è lunga ml. 735, il rilevato in superficie è largo anche 150 metri e la sua altezza in certi punti è di 20 metri.

 

C.          La tombinatura non segue percorso del rio nell’effettiva sua sede attuale, ma si sviluppa in rettilineo e per la massima parte in terreno privato, e in essa non confluiscono le acque superficiali che provengono dai versanti laterali per l’intera sua lunghezza.

 

D.          Osservazioni : a) la tombinatura e relativa area di sedime devono diventare demaniali; b) l’alveo attuale va sdemanializzato ai fini idraulici e possibilmente permutato con le aree private sulle quali scorrerà il nuovo alveo artificiale tombinato; c) le acque provenienti dalle pendici laterali del rilevato dovranno essere canalizzate fino a ricongiungersi a valle con le acque tombinate; d) le aree di scorrimento delle suddette acque superficiali devono essere cedute al Demanio dalla TRASCA in quanto destinate in perpetuo al loro convogliamento.

 

Nei sacri testi di diritto civile e amministrativo è scritto che i beni demaniali sono protetti dalla potestà di autotutela esecutiva che può essere esercitata  coattivamente, ad esempio, nel caso di un privato che, come aveva fatto e continuava a fare la TRASCA in valle Armea nel rio Cascine, abbia occupato “sine titulo” un bene appartenente al demanio necessario, in questo caso a quello idrico.

 

In forza di detta potestà se l’ingiunzione dell’ingegnere Poli fosse stata eseguita “manu militari” col sequestro della discarica e con l’ordine alla TRASCA (e per regresso alla COGEFAR) di ripristinare a proprie spese lo stato dei luoghi, trasferendo in una discarica a mare tutto il materiale ammassato, nessuno dei tre miracoli si sarebbe verificato.

 

Non il primo perché la discarica non avrebbe seguito Maometto alla montagna, non il secondo perché solo tre settimane dopo Turitto avrebbe restituito la vista ai ciechi e non il terzo perché l’intero equipaggio dell’astronave sarebbe stato inchiodato alle proprie responsabilità con tanto di foto segnaletica e impronte digitali (il DNA non era stato ancora scoperto).

 

Dice il proverbio che “con i se e con i ma la storia non si fa” e poiché la potestà di autotutela esecutiva non è stata esercitata da chi doveva, tutto è rimasto a livello di mera ipotesi.

 

Con le inevitabili conseguenze che purtroppo si sono prodotte  per l’inerzia di coloro che avevano l’obbligo di agire “illic et immediate”, e soprattutto concretamente, dopo l’allarme lanciato dall’U.T.E. (ing. Sanzo) il 18 marzo 1982 e che invece fino al fallimento TRASCA del 27 maggio 1985 sono stati capaci di produrre solo una montagna di chiacchere per poi smaterializzarsi “miracolosamente” subito dopo assieme alla discarica e alle scartoffie che la coprivano.

 

 

 

3.5.4 Sanremo : un Comune a due facce, Jekyll e Hyde .

 

 

 

In testa alla lista ci sono i “ciechi di Sanremo”, rimasti inerti di fronte ad allarmi risalenti addirittura al 1980 e che erano stati lanciati con lettere e petizioni dagli abitanti della zona interessata e soprattutto dalla circoscrizione amministrativa n. 11 – Bussana (presidente G.B. Donetti) che ha ripetutamente segnalato gli abusi che si stavano consumando e i rischi connessi.

 

In particolare il Consiglio Circoscrizionale (presidente G.B. Donetti) già il 22 gennaio 1981 con delibera n. 18 aveva emesso un allerta e poco dopo aveva costituito una apposita Commissione che il 12 novembre 1982, dopo aver letto l’ennesimo drammatico servizio sulla discarica TRASCA pubblicato dal Secolo XIX il 23 settembre di quell’anno, chiedeva “delucidazioni” al sindaco di Sanremo.

 

Ma sono soprattutto gli uffici comunali ad aver segnalato il pericolo agli amministratori “ciechi”, e in particolare l’ufficio dei lavori pubblici (ing. Bellosta), quello dell’igiene urbana (geom. Bracco) e il Comando dei vigili urbani (Bagnoli), e lo hanno fatto con “fascette” di Giunta, lettere, rapporti di sopralluoghi, verbali di contravvenzione e quant’altro, senza esito alcuno.

 

Perché, come nel romanzo di Stevenson “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, anche in Comune a Sanremo convivevano due personalità opposte, una seria e preoccupata e l’altra malvagia e spensierata, e fino allo spartiacque del fallimento del 1985 è stata la seconda a dominare la scena ed a rilasciare alla TRASCA ulteriori concessioni edilizie per ampliare la discarica, fregandosene bellamente dell’ingiunzione 1° febbraio 1982 del Genio Civile “di sospendere immediatamente i lavori”  e dell’allarme 18 marzo 1982 dell’Ufficio Tecnico Erariale sul pericolo di dissesto e sull’assenza di autorizzazioni e concessioni demaniali.

 

 

 

3.5.5 I burosauri gridano : “Al lupo ! Al lupo !”

 

 

 

Allarme che era stato raccolto e fatto proprio e, se possibile, ulteriormente   ampliato dall’l’Intendente di Finanza dottor Fernando Agus con lettera del 31 marzo 1982 protocollo n. 5715/Rep. II° diretta al Genio Civile insistendo nel voler conoscere “quali provvedimenti abbia adottati o intenda adottare nell’ambito della propria specifica competenza”.

 

Alla luce dei successivi sviluppi vale  la pena riportare un passo della lettera in questione che testimonia la lucidità dell’Intendente dottor Agus nell’affrontare la questione :

 

Il problema, al di là delle competenze e pur considerando che la discarica è stata realizzata in gran parte su terreni privati, merita di essere considerato globalmente, sotto il profilo della tutela del territorio e del bacino imbrifero interessato, nonché, in primo luogo della idoneità e capacità degli attuali alvei - tombinati o meno – a sostenere eventuali piene eccezionali senza le gravi conseguenze ipotizzate dall’U.T.E.”.

 

Osservazione che si accompagna a un preciso indirizzo :

 

E ciò è auspicabile avvenga con il concorso di tutti gli Organi ed Enti in misura maggiore o minore interessati e non senza rendere partecipe, anche sotto il profilo di eventuali responsabilità, l’Impresa che ha realizzato la discarica”.

 

Auspicio immediatamente raccolto dall’ingegnere Guido Sanzo dell’Ufficio Tecnico Erariale che rispondeva il 28 aprile 1982 con una proposta costruttiva, seria e realistica, volta a risolvere con concretezza la questione sulla base del seguente “decalogo” :

 

1°.la P.A. si trova di fronte al fatto compiuto e irreversibile, poiché la TRASCA ha già effettuato la tombinatura, occupando con svariate migliaia di metri cubi di materiale arido in discarica l’originario alveo del rio, e pertanto la trattazione della pratica assume un aspetto diverso e senza precedenti”;

 

2°.prima di procedere alla vendita del vecchio alveo del rio (previa sdemanializzazione) ed alla acquisizione tra le pertinenze demaniali della tombinatura ed altri manufatti accessori, senza corresponsione di alcun indennizzo a favore della Ditta interessata, dovrà essere verificata, entro un congruo periodo di anni, l’idoneità del manufatto e della sistemazione idrogeologica di tutto il rilevato nonché dell’intero bacino imbrifero del rio stesso, da attestarsi esplicitamente dall’Ufficio del Genio Civile quale Organo Tecnico competente in materia”;

 

3°. “dall’esame degli elaborati tecnici esibiti dalla Ditta TRASCA non si individuano con esattezza le cosiddette [aree di scorrimento delle acque di scolo provenienti dalle pendici laterali del rilevato], da sdemanializzarsi  al pari della tombinatura, dimodochè non sarebbe neppure possibile prendere in considerazione l’eventualità della permuta di aree, tanto più che una di queste [aree di scorrimento] sembrerebbe ricalcare, sia pure a quota diversa, il vecchio alveo del rio”;

 

4°.nell’attuale stato di fatto e a fronte dei pericoli già evidenziati, deve essere verificato nel decorso di varie situazioni e condizioni atmosferiche per un lungo periodo di anni, che potrà meglio precisare l’Ufficio del Genio Civile, l’idoneità della sistemazione del suolo, delle canalizzazioni di scolo e della tombinatura, da formalizzarsi mediante esplicita dichiarazione da parte dello stesso Ufficio”;

 

5°.si richiama l’attenzione in merito al pesante onere che verrebbe a gravare sulla Pubblica Amministrazione per la manutenzione (oltre ad eventuali riparazioni) di un tratto di tombinatura di così grande lunghezza (700 ml. circa) e per giunta effettuata - come sembra – senza il diretto controllo e sorveglianza da parte di tecnici dell’Ufficio del Genio Civile”;

 

6°.a verifica positivamente avvenuta, la parte o l’intero vecchio alveo del rio non più necessari ai fini idraulici, dovrà essere alienata (e non permutata), ovvero assentita in concessione, alle Ditte che risulteranno essere proprietarie del terreno frontista”;

 

7°.“il nuovo tracciato delle canalizzazioni laterali e trasversali nonché del rio Cascine, manufatti tutti compresi, dovrà essere acquisito tra le pertinenze demaniali senza compenso alcuno, in quanto il fatto posto in essere è di esclusivo vantaggio e beneficio della Ditta privata”;

 

8°.si propone di regolarizzare, ai soli fini amministrativi, il fatto compiuto mediante l’assentimento in concessione del tratto d’alveo del rio Cascine per una superficie di mq. 2625 circa per una durata da stabilirsi dietro corresponsione di un canone annuo da aggiornarsi ogni 5 anni, con inserite le seguenti clausole :

 

a)cessione gratuita allo Stato, da parte della Ditta concessionaria, dell’area di sedime nei tratti della tombinatura correnti su terreni privati, previa redazione, a cura della Ditta stessa, del relativo tipo di frazionamento; a tal’uopo dovrà fin d’ora essere esibito il titolo di proprietà di detti terreni”;

 

b)cessione gratuita allo Stato delle aree di scorrimento delle acque di scolo dalle pendici del rilevato e del nuovo bacino imbrifero e redazione del relativo tipo di frazionamento;

 

c) manleva di ogni responsabilità a carico della Pubblica Amministrazione per eventuali danni derivanti dalle opere e modifiche dello stato dei luoghi messi in atto dalla Ditta concessionaria;

 

d)obbligo, a carico della Ditta concessionaria, dell’esecuzione di tutti i lavori di conservazione e manutenzione dei manufatti (tombinatura, alveolatura aree di scorrimento, chiusini, tombini, ecc.) fino alla scadenza del contratto;

 

e)incameramento tra le pertinenze demaniali di tutti i manufatti relativi al regime idrogeologico dell’intero comprensorio, e cioè tombinatura del rio Cascine, convogliatore, tombini, chiusini, briglie, alveolature dei canaletti di scolo e di impluvio, ecc., da effettuarsi al termine della concessione”;

 

9°.“poiché la tombinatura è già pressoché completata quanto previsto alla clausola a) dovrebbe essere attuato in un primo tempo, mentre quanto previsto alla clausola b) dovrebbe essere attuato successivamente al completamento di dette opere, in quanto la discarica è tuttora in corso”;

 

10°.    l’operazione di cui alla clausola e) è vincolata al positivo parere dell’Ufficio del Genio Civile e l’Intendenza potrà esigere l’iscrizione di una ipoteca sui terreni di proprietà della Ditta concessionaria”.

 

Tre mesi dopo, il 15 maggio 1982, avendo parlato (anzi : scritto) al deserto invece che al Genio Civile, l’Intendente Agus tornerà alla carica con la raccomandata urgentissima n. 9429 diretta a quell’Ufficio, dalla quale meritano di essere estratti alcuni punti essenziali :

 

1°.Pieno accordo con il “decalogo” dell’ingegnere Sanzo dell’U.T.E. e, se anche l’ingegnere Poli è d’accordo, la soluzione va ricercata nei seguenti cinque punti.

 

2°.Primo punto : “acquisizione senza corrispettivo tra le pertinenze demaniali della tombinatura realizzata dalla TRASCA e dei manufatti accessori, previa individuazione delle [aree di scorrimento delle acque di scolo provenienti dalle pendici laterali] da inserire tra le acque demaniali qualora abbiano la natura di [acque pubbliche] in quanto detta tombinatura e aree di scorrimento si deve ritenere abbiano assunto natura di Demanio pubblico ai sensi dell’art. 822,I, C.C.”;

 

3°.Secondo punto : “si deve procedere alla acquisizione senza compenso, anziché alla permuta, in quanto l’opera è stata realizzata non per iniziativa di organi della pubblica Amministrazione e per esigenze di assestamento idrogeologico, ma per esigenze ed utilità privatistiche, ancorché connesse, indirettamente, con la realizzazione di una cospicua opera pubblica (raddoppio ferrovia e scavo relative gallerie)”;

 

4°.Terzo punto :”la verifica nel tempo della validità dell’opera rientra tra le funzioni istituzionali del Genio Civile che, nell’ambito della propria competenza, valuterà l’opportunità di effettuare detta vigilanza a titolo precauzionale interessando anche il Servizio Idrografico attesa la peculiarità del caso”;

 

5°.Quarto punto : “nel redigendo disciplinare saranno inserite le clausole da a) ad e) indicate dall’U.T.E., sarà applicato un canone annuo di £. 600.000 per un periodo di 5 anni e una cauzione pari a due annualità; qualora emergessero problemi di ordine giuridico potrà essere subito interessata l’Avvocatura Distrettuale dello Stato che, comunque, sarà informata in seguito, insieme al Ministero, per quanto attiene le responsabilità civili e penali che potrebbero configurarsi a seguito di eventuali danni derivanti da smottamenti, che l’U.T.E. ritiene possibili, a seguito di eccezionali precipitazioni e conseguente imbibimento della massa di detriti accumulati nella discarica; in tale quadro sarà anche esaminata l’attuabilità e la convenienza di procedere all’attuazione di misure cautelari quali l’iscrizione di ipoteca sui terreni della Ditta concessionaria, non senza peraltro rilevare che il predetto istituto è correlato alla sussistenza di crediti (art. 2808 e segg. C.C.”;

 

6°.Quinto punto : “potrà essere suggerita o imposta alla Ditta concessionaria la messa a dimora di piante (siepi, alberi a basso od alto fusto) idonee ad imbrigliare la discarica, assestare il terreno e scongiurare la deprecata eventualità di un cospicuo smottamento nel letto del torrente Armea e potranno anche essere suggerite altre possibilità di imbrigliamento come opere murarie, reti metalliche o simili, tecnicamente attuabili e idonee.”

 

 

 

3.5.6 Ma a Sanremo oltre che ciechi sono diventati anche sordi

 

 

 

Mentre l’U.T.E., l’Intendenza di Finanza e il Genio Civile si affannavano arrampicandosi sugli specchi per cercare di risolvere la situazione, imperterrita la TRASCA (pilotata da COGEFAR e d’accordo col Comune “mister Hyde”) proseguiva a testa bassa per la sua strada rifiutando nei fatti di imboccare quella della regolarizzazione tracciata dal trio Agus-Sanzo-Poli e addirittura il 14 dicembre 1982 chiedeva al Comune di poter ampliare la discarica di ulteriori 100.000 metri cubi su una superficie di 55.000 metri quadrati, e lo faceva in base al progetto a firma dell’ingegnere Ciarlo e della relazione geologica del professor Sebastiano Pelizza del Politecnico di Torino (consulente/progettista della COGEFAR del traforo autostradale del Frejus tra Bardonecchia e Modane).

 

La notizia appariva sulla STAMPA il 27 novembre 1982 sotto il titolo “E’ nata una collina in Valle Armea (ma sono i detriti della ferrovia)” e nell’articolo il giornalista Gianpiero Moretti sottolineava che l’altezza massima del rilevato stabilita dal Comune in 15 metri superava in quel momento i 50 metri e aggiungeva che “il via vai di camion stracarichi continua incessante” riportando le soavi giustificazioni di copertura del Comune mister Hyde : ” Nel contratto  con la Trasca  era previsto il trasferimento della discarica altrove, con tutti gli aggravi di natura economica a suo carico, nel momento in cui la zona concessa fosse stata satura. Cosi non è stato e nonostante i verbali di contravvenzione e le ingiunzioni la Trasca ha continuato a scaricare, accumulando una quantità di materiale impressionante. Nel progetto di realizzazione di una discarica, approvato dalla commissione edilizia, era prevista l'attuazione di alcune opere di contenimento della massa argillosa, e una serie di canali per lo scorrimento di un modesto corso d'acqua che attraversa la zona e si va ad immettere nell'Armea. Non è stato fatto nulla ed ora il rigagnolo, non avendo uno sbocco naturale, scava nel sottosuolo con conseguenze che non possiamo conoscere”

 

Moretti chiudeva con la notizia del ruggito del Comune avvenuto il giorno prima con una riunione di Giunta nella quale si era parlato di bloccare la discarica e obbligare la TRASCA a portare lo “smarino” a Pian di Poma.

 

Ma più che un ruggito era un timido belato, se è vero che già il 14 gennaio 1983 la Commissione Edilizia dava parere favorevole al progetto depositato dalla TRASCA di un ulteriore ampliamento firmato dall’ingegnere Ciarlo accettando il rischio, correttamente segnalato nella stessa relazione geotecnica Pelizza, “di un possibile scivolamento dello strato corticale delle scarpate”.

 

Seguiva il giorno successivo, 15 gennaio 1983, il rilascio della concessione edilizia U/1216 che ampliava la discarica fino a complessivi 600.000 metri cubi con tre clausole : 1) autorizzazione del Genio Civile alla tombinatura del rio Cascine per 700 metri lineari; 2) garanzie per strade (20 milioni di lire), per fognature (10 milioni) e per danni a terzi (100 milioni) sotto forma di fideiussioni che saranno accettate dal Comune con delibera G.M. n. 662 del 17 febbraio 1983; 3) rispetto delle indicazioni contenute nella relazione tecnica e geologica Pelizza offerta dalla COGEFAR.

 

Con questa pratica proseguirà fino al fallimento TRASCA del 1985 la fase della COGEFAR/Ponzio Pilato, però da dietro le quinte con la perizia Pelizza la volpe/COGEFAR comincerà a mostrare la coda.

 

 

 

3.5.7 Dopo la coda la volpe/COGEFAR mostra il resto.

 

 

 

Per mostrare anche la testa e tutto il resto il 10 maggio 1984 quando, a firma Toffoluti e senza alcuna relazione geologica e idraulica, la TRASCA presentava un progetto di ulteriore ampliamento della discarica per 300.000 metri cubi, così da alzarne il profilo di altri 10 metri e portarla a quota + 113 metri e arrivare sulla carta a complessivi 900.000 metri cubi che in realtà, come risulterà dalla Perizia Ay disposta l’anno successivo dal Comune/Dottor Jekyll, sarebbero stati circa 1.300.000 metri cubi se non fosse intervenuto poco dopo un provvidenziale fallimento a far uscire tutti, anche la COGEFAR, da una situazione palesemente insostenibile.

 

Dal momento che questo sarà l’ultimo atto ufficiale compiuto dal Comune/Signor Hyde prima di assumere l’opposta personalità del Comune/Dottor Jekyll vale la pena ripercorrerne l’iter che il 12 giugno 1984 vede intervenire direttamente in Commissione Edilizia ad sustinendum della TRASCA il geometra Zanalda, factotum COGEFAR, ad illustrare il progetto Toffoluti e la Commissione (udite ! udite !) deciderà “di rinviare la pratica per un sopralluogo e per acquisire elementi circa le discariche a mare”, dopo di che, il 4 luglio 1984, darà parere contrarioper la deturpazione di carattere ambientale e per la sicurezza del territorio”.

 

Curiosamente il medesimo giorno, 4 luglio 1984, era stato depositata in Comune e notificata alla COGEFAR una petizione popolare firmata da numerosi cittadini di Bussana e corredata da una eloquentissima documentazione fotografica con la quale si insisteva affinché fossero rispettate tutte le condizioni alle quali i vari progetti che si erano succeduti nel tempo erano subordinati e cioè :

 

a)    riparazione della tombinatura in cemento armato collassata in vari punti;

 

b)    spianamento del colmo della discarica con eliminazione della pendenza verso monte suscettibile di creare un invaso di 300.000 metri cubi d’acqua in caso di intasamento del tombone;

 

c)    abbassamento della quota della discarica che supera di 14 metri quella della base dei piloni del viadotto “Cascine” dell’Autostrada dei Fiori.   

 

Non ostante il parere contrario della Commissione Edilizia e ignorando la petizione popolare, il 25 luglio 1984 il Commissario Prefettizio dottor Bruno Pastorella firmava la Concessione Edilizia Z/455 dietro la promessa non scritta ma solo verbale che a semplice richiesta del Comune tutto il materiale sarebbe stato trasferito in discarica a mare (ovviamente sulla base dei permessi del Genio Civile Opere Marittime e degli altri Organi competenti a dare il necessario consenso), concessione edilizia Z/455 alla quale era allegata una “risoluzione-Pastorella” (che peraltro non è mai stata controfirmata per accettazione e neppure ritirata dalla TRASCA e dalla COGEFAR) secondo cui in caso di fallimento della prima sarebbe subentrata la seconda, diventando, appunto, il Cireneo che prende sulle sue spalle la croce.

 

 

 

3.5.8 I burosauri tornano alla carica.

 

 

 

Mentre tutto questo accadeva a Sanremo e la TRASCA si preparava pian piano a salire al Cielo (o, forse meglio, ad andare all’Inferno), sul pianeta di Imperia gli attori pubblici del miracolo, i burosauri statali, delusi e ingannati nel loro sforzo di mettere comunque le cose a posto, si avviavano anche loro verso la smaterializzazione finale.

 

Però nei tempi, con i ritmi e  secondo le liturgie proprie della burocrazia statale, in questo caso resa ancor più impalpabile ed evanescente dalla riforma Bassanini che poco dopo introduceva il federalismo amministrativo e operava il decentramento delle funzioni, rivoluzionando le strutture periferiche dei Ministeri di riferimento  e così spezzando il filo conduttore dell’istruttoria sulla discarica condotta fino ad allora dagli ingegneri Sanzo e Poli dall’Intendente dottor Agus.

 

I quali inizialmente proprio dal fallimento della TRASCA e dall’apertura di un procedimento penale per bancarotta da parte del Procuratore della Repubblica di Savona dottor Michele Russo avevano ripreso forza per reagire con energia agli avvenimenti, anche  per rispondere alla astuta presa di distanza della COGEFAR e delle Ferrovie (ingegneri Ianniello e Valdambrini).

 

Già qualche mese prima l’Intendente di Finanza dottor Agus sentendo odore di bruciato e subodorando la smaterializzazione della TRASCA aveva richiamato all’ordine il Genio Civile in merito alla famosa istruttoria sulla domanda di concessione demaniale presentata dalla TRASCA il 14 ottobre 1981, istruttoria mai conclusa, e lo faceva nella seguente rapida sequenza :

 

üil 20 gennaio 1984 con la raccomandata urgentissima protocollo n. 1215 diretta al Genio Civile e per conoscenza al Ministero delle Finanze richiamando “nuovamente” tutta la precorsa corrispondenza “rimasta tuttora inevasa” e cioè :

 

                    I.        la nota “urgentissima” in data 15 giugno 1982 n. 11183 con la quale l’Intendente Agus chiede un parere “sull’eventualità di un cospicuo smottamento nel letto del torrente Armea” e sollecita il disciplinare di concessione demaniale “ove sia stato redatto”;

 

                 II.        la nota “urgente” in data 21 settembre 1982 n. 17461 con la quale “stante il tempo trascorso e dovendo relazionare dettagliatamente il Ministero delle Finanze - Direzione Generale del Demanio Div. III – nonché l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova sugli sviluppi della trattazione” della pratica, si sollecita una risposta alle note precedenti.

 

ü il 17 aprile 1985 con la raccomandata “urgente” n. 10090 indirizzata al solo Genio Civile che ha il medesimo “incipit” della nota di tre anni prima “stante il tempo trascorso”, però con una motivazione diversa e molto simile a una minaccia : “attesa la delicatezza della trattazione, si prega codesto Ufficio di voler cortesemente riscontrare, con la massima urgenza, la nota del 20 gennaio 1984 n. 1215 e far anche conoscere se sia già stato predisposto il relativo disciplinare”, mentre “si ritiene doveroso rilevare nuovamente la delicatezza e l’importanza della trattazione nonché la circostanza che responsabilità patrimoniali e penali potrebbero sorgere a carico degli impiegati e funzionari della P.A. per mancanza di tempestivi interventi.”

 

Un mese dopo il Tribunale di Savona dichiarerà il fallimento della TRASCA s.r.l. e poco dopo la Procura della Repubblica arresterà per una bancarotta fraudolenta da 11 miliardi di vecchie lire il suo amministratore delegato Giovanni Olivati e per reazione tutti i protagonisti e gli spettatori superstiti del miracolo della smaterializzazione si agiteranno freneticamente  come morsi dalla tarantola prima di smaterializzarsi anche loro uno dopo l’altro.

 

 

 

3.5.9 A Sanremo il Comune da “Signor Hyde” diventa “Dottor Jekyll”.

 

 

 

Intanto si è subito svegliato il Comune di Sanremo, tornato un serio e preoccupato “Dottor Jekylldopo essere stato nei cinque anni precedenti un malvagio e spensierato “Signor Hyde”, e per saperne di più il 15 giugno 1985 con delibera di Giunta n. 2402 incarica il geometra Giancesare Ay di accertare le caratteristiche topografiche, planimetriche ed altimetriche della discarica.

 

Come un fulmine già il 12 agosto successivo il Tecnico depositava quanto richiestogli dal Comune sotto forma di sequenza in otto fotogrammi della situazione da lui rilevata con assoluta precisione tracciando una poligonale plano-altimetrica di otto vertici quale base del rilevamento topografico, successivamente eseguito attraverso 1008 punti di battuta e relative quote, per arrivare a calcolare, attraverso 18 sezioni trasversali, il volume di “smarino” effettivamente depositato, e così dimostrando ancora una volta la sua alta professionalità di topografo universalmente riconosciutagli.

 

L’accertamento si accompagnava alla descrizione della situazione catastale dei terreni man mano occupati dalle opere che erano state autorizzate con le quattro concessioni edilizie rilasciate alla TRASCA, l’ultima delle quali non realizzata ma solo virtuale.

 

Sotto Ferragosto non c’era da aspettarsi che la stessa fulminea velocità di Ay  fosse anche quella del Comune, che solo il 29 agosto al rientro degli amministratori dalle ferie ha aperto il ponderoso fascicolo, ma il suo contenuto era già approdato al Secolo XIX sulla scrivania di quello stesso Turitto che tre anni e mezzo prima, il 24 febbraio 1982, aveva sollevato il coperchio della pentola e restituito la vista ai ciechi, però già allora troppo tardi.

 

Questa volta quello da lui lanciato sulla edizione di sabato 24 agosto 1985 più che un allarme si presenta come un autentico grido di dolore sotto un titolo molto efficace e purtroppo sempre attuale : “Un mare di fango sulla testa” con il commento nel sottotitolo “Il pericolo ancora una volta è fuorilegge”.

 

Ecco trovata la tarantola che nelle alte sfere della burocrazia ha morsicato tutti quanti per la seconda volta, specialmente a Imperia e a Roma.   

 

 

 

3.5.10   La tarantola morsica i burosauri.

 

 

 

Il primo ad essere morsicato è l’Intendente di Finanza - e per lui, in ferie, il suo “facente funzioni” dottor Coronato – che il 13 luglio 1985 spediva al Genio Civile e all’Ufficio Tecnico Erariale una “raccomandata-urgente” con allegata copia di un trafiletto di giornale, (La Stampa 11 luglio 1985) che in poche righe dava notizia del fallimento TRASCA ricordando al primo dei due destinatari le cinque intendentizie rimaste inevase tra il 31 marzo 1982 e il 17 aprile 1985 e chiedendo di conoscere i provvedimenti presi in merito alla concessione demaniale alla TRASCA e quelli che intendeva prendere dopo il fallimento.

 

La lettera era stata diretta anche all’U.T.E. per sapere se il canone annuo di 600.000 lire era congruo e ciò allo scopo di potersi insinuare nel passivo fallimentare per recuperare l’indennità risarcitoria.

 

Per pararsi il sederino il dottor Coronato spediva la “raccomandata-urgente” anche all’Ufficio del Registro per incaricarlo della procedura di insinuazione nel fallimento e per notizia la trasmetteva anche all’Avvocatura Distrettuale dello Stato e alla Direzione Generale del Demanio, Divisione III, del Ministero delle Finanze.

 

Insomma, il solito “tran-tran” burocratico, sul quale però come un fulmine a ciel sereno si è abbattuto l’articolo di Turitto del 24 agosto 1985 provocando uno sconquasso che ha costretto ad un frettoloso rientro l’Intendente in carica, Agus, il quale tre giorni dopo - il 27 agosto 1985 - faceva partire anche lui come in precedenza aveva fatto il suo “facente funzioni” Coronato, una “raccomandata-urgente”, col n. 19922, però questa volta all’indirizzo del Comune di Sanremo e solo per conoscenza al Genio Civile.

 

Il Secolo XIX del 24 agosto u.s. ha riportato con evidenza, nella cronaca di Sanremo, la notizia dell’incarico al professionista Geom. Giancesare Ay inteso ad accertare la portata e le conseguenze di una cospicua discarica di materiale realizzata in Valle Armea dalla ditta TRA-SCA recentemente fallita, sia su terreni privati che su aree demaniali, che potrebbe costituire grave pericolo per l’incolumità pubblica e compromettere il regime idrico del corso d’acqua pubblico”, questo l’“incipit” della lettera, come se gli allarmi dell’ingegnere Sanzo dell’U.T.E. non fossero mai arrivati alle orecchie dell’Intendenza di Finanza.

 

Comunque la lettera era per chiedere copia della futura “Relazione Ay”, in corso di elaborazione, avendo “in trattazione, fin dal luglio 1981, una istanza della TRASCA s.r.l. per la realizzazione di arginatura, alveolatura e copertura del rio Cascine, in attuazione della concessione edilizia S/351 bis in data 2 giugno 1980, rilasciata dal Comune di Sanremo, e per la concessione e la utilizzazione delle opere da realizzare (o già ora realizzate)”.

 

Poco dopo i “rumors” burocratici sull’incredibile pratica TRASCA arriveranno fino alle orecchie del Prefetto dottor Gaetano Spirito che il 20 settembre 1985 convocherà tutti - burocrazia statale, tecnici e amministratori - intorno a un tavolo per capirci qualcosa e al termine della riunione spedirà una dettagliata relazione al Ministro per il coordinamento della Protezione Civile nel Governo Craxi onorevole Giuseppe Zamberletti.

 

Tempo di leggerla e il Ministro farà partire una raffica di telegrammi in codice rosso al sindaco di Sanremo, alla Regione Liguria, al Prefetto di Imperia, all'Ente Ferrovie 1^ Unità Speciale di Savona e alla Intendenza di Finanza per sollecitare tutti i destinatari del messaggio ad adottare “provvedimenti urgenti per eliminare qualsiasi possibilità di rischio”.

 

Infatti per la Protezione Civile “in Valle Armea la discarica è un rischio grave e reale” così spiegato dal Ministro Zamberletti nel telegramma : “L'esame della situazione di pericolo creatasi a seguito lavori di tombinatura e di discarica effettuati dalla società Trasca rappresentano motivate preoccupazioni in considerazione di probabili e prossimi temporali che potrebbero causare trascinamento a valle dei materiali di discarica.”

 

Di conseguenza “si invitano codeste Autorità, nell'ambito delle rispettive competenze, a disporre sollecite azioni, diffidare in particolare la ditta concessionaria ad effettuare tutti i lavori necessari per rimuovere lo stato di pericolo creato dalla discarica ed attuare le indispensabili opere occorrenti per una razionale sistemazione idrogeologica dell'area interessata”.

 

Telegramma per una “Mission impossible”, visto che la TRASCA si era smaterializzata, e che avrà come unico effetto quello di  innescare e/o accelerare e/omologare il miracolo della smaterializzazione di tutti gli altri.

 

Prime fra loro le ferrovie che erano convinte di essersi già smaterializzate cinque anni prima e che invece sono state tirate in ballo dal Ministro Zamberletti e per smaterializzarsi nuovamente hanno scelto il 4 novembre 1985 di ribadire nero su bianco con nota n. 2629 la loro totale “estraneità all’esecuzione delle opere di sistemazione generale e definitiva della discarica” chiarendo di aver messo tutto quanto nelle mani della COGEFAR con la Convenzione n 57/80 compresa la Direzione Lavori, il che esclude “decisamente qualsiasi loro responsabilità diretta o indiretta o onere a loro carico”.

 

Però, bontà loro, le ferrovie aggiungevano che “malgrado la situazione di precarietà della discarica fosse da ascrivere alla dichiarata fallita Soc. TRASCA titolare delle licenze e dei terreni interessati dalla discarica stessa, abbiamo interessato la ns/Concessionaria COGEFAR stante l’urgenza degli interventi rappresentati perché, essendo presente in loco con maestranze e mezzi idonei, poteva garantire in tempi brevissimi l’effettuazione dei primi interventi di carattere di maggior urgenza.”

 

Il siparietto si conclude così : “La ns/Concessionaria COGEFAR ha aderito alla esecuzione dei primi interventi di carattere urgente e stante il paventato pericolo conclamato nelle intercorse riunioni si è dichiarata disposta alle attività a tale unico fine occorrenti, nonché a predisporre gli studi progettuali volti alla sistemazione definitiva della discarica”.

 

 

 

3.5.11  La volpe/COGEFAR da Pilato diventa Cireneo.

 

 

 

E’ da questo preciso momento in poi che COGEFAR in attesa di smaterializzarsi abbandona la parte di Ponzio Pilato e recita quella del Cireneo che prende sulle sue spalle la croce.

 

Però lo fa con le debite cautele e mettendo tutti puntini sulle “i” con una lettera n. 11934 di protocollo, coordinata con quella delle ferrovie e quindi datata 30 ottobre ma spedita da Milano dopo il 4 novembre e indirizzata a tutti : Genio Civile, Curatore fallimentare, Ferrovie, Prefetto di Imperia, Regione Liguria settore Difesa del Suolo, Intendenza di Finanza e, dulcis in fundo, Comune di Sanremo.

 

Si rivolge, soprattutto, al Genio Civile come a una nuora perché le varie suocere intendano.

 

Un Genio Civile che si era finalmente svegliato dal letargo e tre soli giorni dopo il “Gabinetto di crisi” del 20 settembre in Prefettura aveva fatto la faccia feroce e indossata l’armatura di “poliziotto delle acque pubbliche” il 23 settembre era partito lancia in resta contro COGEFAR ordinando con ingiunzione n. 6027 il ripristino dell’originario stato dei luoghi ai sensi della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F con riserva di chiedere il risarcimento dei danni da fatto illecito, Cireneo/COGEFAR risponde per le rime.

 

Nessuna norma di legge o patto contrattuale può riversare sul committente eventuali responsabilità per fatti dell’appaltatore in violazione dell’obbligo del <neminem ledere> ” sentenzia COGEFAR nella lettera in questione, però trascurando di dire che nessuna norma di legge o patto contrattuale esonera da tale responsabilità quando entrambi e  d’accordo - come il gatto e la volpe – rubano nel pollaio, uno facendo il palo e l’altra tirando il collo alle galline.

 

Ma gli strali di COGEFAR contro il redivivo Genio Civile continuano :”Dobbiamo evidenziare le nostre perplessità circa l’indeterminatezza dei richiami al contenuto delle pratiche amministrative intercorse con la TRASCA s.r.l. e a noi del tutto sconosciute.”, e ciòin aperta contraddizione con quanto illustrato poche righe prima nelle premesse, cioè che “come da contratto 5 agosto 1980 la nostra Impresa appaltava alla ditta TRASCA lo smarino con trasporto a discarica e tra gli oneri e prestazioni erano previsti l’acquisizione di aree idonee alla discarica, la sua progettazione, gestione e mantenimento, comprese eventuali opere d’arte occorrenti.”, dal momento che spettava a lei, cioè alla COGEFAR, il diritto/dovere di pretendere e verificare l’idoneità delle prestazioni contrattuali sotto il duplice profilo tecnico e giuridico, pena la risoluzione del contratto.

 

Infatti il subappalto non era di “smarinaggio e trasporto a discarica esistente, legalmente autorizzata e tecnicamente idoneama di “allestimento di discarica da rendere giuridicamente e tecnicamente idonea” nella quale poter depositare lo “smarino”, cosa assolutamente diverse una dall’altra.

 

Infine, visto che il Genio Civile, a seguito del sopralluogo sulla discarica effettuato il giorno precedente, con nota 2 ottobre 1985 n. 6313 aveva rincarato la dose notificandole ulteriori disposizioni per la messa in sicurezza della discarica, la COGEFAR ha pensato di togliersi anche questo sassolino dalla scarpa con la precisazione che “la nostra disponibilità ad attività sulla discarica è stata manifestata limitatamente ai primi interventi urgenti e non può ritenersi estesa a qualsivoglia ulteriore intervento da porre a esclusivo carico o di chi ha mutato l‘originario stato dei luoghi o dei proprietari dei terreni interessati, per il principio dell’accessione”.

 

Fin qui il bastone, poi la carota che la COGEFAR porge al Genio Civile sotto forma di cinque interventi d’urgenza :

 

1.movimentazione delle materie eccedenti le quote del progetto redatto dall’Arch. Toffoluti (m. 110 – 113 s.l.m.) con traslazione a monte a ricarica della zona già tombinata;

 

2.regolarizzazione della superficie di colmo per favorire il deflusso delle acque meteoriche;

 

3.formazione della scarpata frontale lato valle e completamento delle opere di sostegno del fronte secondo il progetto citato;

 

4.sistemazione delle servitù di acquedotto irrigue;

 

5.interventi manutentivi al tombino esistente le cui necessità sono state evidenziate dal verbale della visita effettuata congiuntamente al Dirigente del competente Ufficio del Genio Civile.

 

Con l’astuta precisazione, per evitare ogni rischio di coinvolgimento, che “non mancheremo di addebitare le spese ed oneri sostenuti alla ditta TRASCA che, fallita, non era in grado di provvedere agli interventi con la dovuta sollecita urgenza e che è stata e rimane unica autrice e responsabile dell’attuale stato dei luoghi.”

 

Insomma, si può dire che a questo punto la smaterializzazione della protagonista del miracolo, la COGEFAR, era ormai sulla rampa di lancio e il conto alla rovescia si apre con la frase conclusiva della famosa “lettera/manifesto” 30 ottobre 1985 n. 11934  : “Sempre confermata la assoluta estraneità ai fatti lamentati e quindi rifiutando ogni diretta o indiretta responsabilità, la nostra Impresa è disposta a prendere in considerazione l’ipotesi di esaminare l’eventuale eseguibilità di progetti volti alla sistemazione definitiva delle aree interessate, la cui disponibilità deve comunque essere preventivamente acquisita e messa a disposizione delle competenti Autorità, e sempre ferme le responsabilità, specie patrimoniali, della TRASCA s.r.l.”.

 

Conclusione lapidaria che si direbbe scritta da un trapezista.

 

 

 

3.5.12 Si cerca di prendere il toro per le corna.

 

 

 

Così, con tutte queste cautele e puntini sulle “i”, il Cireneo/COGEFAR si è messa sulle spalle la croce della sistemazione della discarica, mentre a Savona il curatore del “crack” della TRASCA s.r.l. pelava le gatte che man mano affluivano sul suo tavolo : dagli arretrati dei 70 tra operai e tecnici rimasti senza lavoro alla verifica degli oltre 200 creditori, dal recupero di un attivo rappresentato esclusivamente dal parco macchine e da arredi d’ufficio e quindi di ben scarso valore fino alla gestione delle emergenze, prima fra tutte quella della discarica COGEFAR di Valle Armea per la quale il dottor Martinengo si era attivato fin dal 1° agosto con un sopralluogo effettuato assieme al suo assistente geometra Massobrio di Vado.

 

Nel frattempo a Sanremo il Comune “Signor Hyde” aveva affidato all’avvocato Dian il compito di pelargli le gatte giudiziarie e si era insinuato provvisoriamente nel fallimento per il solo canone di occupazione delle aree di sua proprietà ammontante a £. 74.272.497, però riservandosi di presentare il conto di tutte “le gravissime irregolarità e inadempienze nella sistemazione della discarica”, del risarcimento dei “gravissimi danni conseguenti alle occupazioni abusive di terreni comunali”, delle varie “inadempienze nel pagamento di canoni di occupazione suolo comunale”, e delle “ulteriori somme che presumibilmente risulteranno dovute a titolo di infrazioni edilizie, attualmente in fase di accertamento da parte dei competenti Uffici comunali”, cioè tutte cose che per cinque anni i ciechi non avevano visto.

 

Il legale nella domanda di insinuazione aveva fatto riserva espressa per tutte le ulteriori spese, anche a titolo di consulenze tecniche, che il Comune potrà in futuro dover sostenere “per scongiurare pericoli alla pubblica e privata incolumità derivanti dalla irregolare sistemazione della discarica” e sollecitava il Curatore a valutare eventuali “azioni, se del caso esperibili, nei confronti degli Enti (leggi ferrovie, n.d.r.) e/o Imprese (leggi COGEFAR, n.d.r.) interessate ai lavori di spostamento a monte del tratto ferroviario S.Lorenzo/Ospedaletti.”

 

Così, prima che altre nubi si addensassero sulla sua testa, il  Cireneo/COGEFAR si è affrettato a ultimare senza ulteriore indugio i lavori urgenti che aveva promesso, consistenti nella costruzione di un muro di contenimento del terrapieno, lato valle, e nello spianamento del rilevato a monte fino a portarlo a quota m. + 110 s.l.m. e infine nella progettazione di un canale scolmatore laterale a cielo aperto che le Ferrovie dello Stato - Prima Unità Speciale di Savona - con nota di trasmissione 3 marzo 1986 n. 536   presenteranno al Genio Civile per ottenere il suo indispensabile benestare.

 

Benestare al quale si aggiungerà - dopo il sopralluogo effettuato il 3 ottobre successivo - anche quello della Direzione Generale delle Miniere - Servizio Geologico di Stato del Ministero Industria Commercio e Artigianato e del Servizio Previsione e Prevenzione del Dipartimento della Protezione Civile dell’omonimo Ministero e che il Genio Civile di Imperia il 14 marzo 1986 rilasciava alla velocità della luce all’interno della sua Ordinanza n. 1433 notificata al Curatore del fallimento TRASCA con cui gli si davano 90 giorni per la “restituito in pristinum” dello stato dei luoghi, manco fosse stato Mandrake, oppure in alternativa a completare le opere in base al progetto presentato dalle ferrovie.

 

Da quel famoso 1° febbraio 1982, data dell’ingiunzione n. 521 che ordinava di  sospendere immediatamente i lavori, erano trascorsi quattro anni e quando la stalla era ormai desolatamente vuota ecco che la Regione Liguria - Ufficio del Genio Civile - tornava a farsi viva abbaiando anche questa volta alla luna.

 

La spiegazione indirettamente l’aveva data un mesetto prima Ugo Signorini, assessore all’urbanistica della Giunta Magnani, nel corso di un incontro organizzato il 18 febbraio 1986 a Genova in via Fieschi con gli otto “Comuni interessati” al conferimento a mare del materiale di scavo, incontro della serie “Non è mai troppo tardi” e che in effetti avveniva con un ritardo di sei anni rispetto alla “Convenzione” del 1980 con le Ferrovie.

 

Spiegava l’assessore regionale che in effetti la Regione, alla quale lo Stato aveva trasferito da anni tutte le funzioni e gli apparati per esercitarle, aveva tre teste sotto forma di altrettanti assessorati, uno ai trasporti, l’altro all’urbanistica e il terzo all’ambiente e difesa del suolo, ognuno dei quali andava avanti per la sua strada senza interagire con gli altri due.

 

In particolare spettava a lui, con delega all’urbanistica, pianificare la realizzazione dei rilevati lungo la costa, mentre rientrava nella competenza dei colleghi all’ambiente e alla difesa del suolo, il primo autorizzare le discariche di “rocce e terre da scavo” e il secondo approvarne l’assetto idrogeologico e geotecnico.

 

Dalle frasi imbarazzate dei due dirigenti Vinelli e Lorenzani che assistevano l’assessore “contemplativo”, - tutte frasi con i verbi al condizionale - i rappresentanti dei “Comuni interessati” non hanno tardato a rendersi conto che sotto i loro occhi la Regione si stava smaterializzando, e infatti non la vedranno mai più e loro saranno lasciati soli a curarsi dello “smarino” e delle discariche a mare o a monte che fossero, che non hanno mai ottenuto autorizzazioni ambientali e geotecniche e neppure di compatibilità urbanistica con la pianificazione del territorio interno e costiero.

 

 

 

3.5.13 Le tre “banderillas” per prendere il toro per le corna.

 

 

 

Tornando a quella sanremese di Valle Armea, l’ordinanza 14 marzo 1986 n. 1433 del Genio Civile rimuoveva, ma solo in parte, uno dei tre “paletti” che, lungo la strada della sistemazione e della definitiva messa in sicurezza della discarica TRASCA, la COGEFAR aveva piantato come “banderillas” sulla schiena del toro per prenderlo per le corna, quello relativo all’approvazione del progetto da parte delle competenti Autorità in materia ambientale, idrogeologica e urbanistica.

 

Solo in parte perché restava insoluto il problema della concessione edilizia, ancora lontana da venire mancando la dimostrazione della proprietà e/o disponibilità delle aree, incluse quelle del Demanio, prescritta dalla legge “Bucalossi” e non era ancora arrivata l’autorizzazione in sanatoria “per prevenire il verificarsi di danni di natura idrogeologica” del Servizio Beni Ambientali e Naturali della Regione Liguria che sarà rilasciata solo il 21 novembre successivo, quando il Servizio Geologico dello Stato non aveva ancora fatto conoscere il proprio parere.

 

Gli altri due “paletti” rimanevano irrisolti, cioè quello del finanziamento dei lavori, che né la società fallita né il Curatore erano in grado di fronteggiare, e quello della proprietà e/o disponibilità delle aree, che non era mai stata acquisita fin dagli inizi e che non c’è ancora oggi.

 

Per capirci fino in fondo con un esempio chiaro, la COGEFAR/Cireneo recitava la parte della vedova inconsolabile che nelle vignette del settimanale satirico  “Il Travaso” ogni volta pregava Dio di riunirla in Cielo a quell’anima benedetta di suo marito quando fosse stato risolto un qualche problema palesemente irrisolvibile, e nel suo caso di problemi ce n’erano addirittura tre e da risolvere tutti assieme.

 

Circa la disponibilità delle aree, la COGEFAR fin dal 23 maggio 1986  aveva proposto  al Prefetto di Imperia di emanare un decreto di occupazione di urgenza e lo aveva di nuovo sollecitato il 18 novembre 1986 con nota n. 458 che tre giorni dopo, il 21 novembre 1986, otteneva risposta negativa per le ragioni di carattere giuridico ampiamente illustrate con prefettizia n. 729 e che si basano sulla competenza a espropriare appartenente al Comune e non allo Stato, sul fatto che la discarica non rientra nelle opere ferroviarie in corso di realizzazione, sulla temporaneità dell’occupazione contraddetta dalla definitività dei lavori idraulici di sistemazione della discarica e infine dalla assenza di “una grave emergenza in atto” come richiesto dall’articolo 71, 1° comma, della Legge 2359/1865.

 

 

 

3.5.14 Il dilemma delle aree : prenderle con le buone o con le cattive ?

 

 

 

Dunque, per rimuovere il “paletto/banderilla” della proprietà e/o della disponibilità delle aree bisognava scegliere un’altra strada, anzi due, o quella dell’esproprio da parte del Comune in base a un progetto di opera pubblica regolarmente approvato e finanziato oppure quella della trattativa con ogni singolo avente diritto per l’acquisizione in via bonaria delle aree private e pubbliche sulle quali era previsto il progetto.

 

Scartata la prima ipotesi per l’indisponibilità del Comune dovuta a ragioni di carattere sia finanziario che tecnico-urbanistico data la difficoltà di immaginare una qualche opera pubblica su quella discarica impervia e decentrata, non rimaneva che quella della trattativa con i proprietari pubblici e privati delle aree, partendo dalla situazione catastale rilevata dal geometra Ay nella sua perizia del 12 agosto 1985 riguardante la situazione esistente, per poi adeguarla al progetto escludendo le particelle non necessarie e quelle già in proprietà o comunque già disponibili e aggiungendo quelle ulteriormente necessarie e quelle in passato già occupate abusivamente dalla discarica e in contestazione e quindi non disponibili.

 

Che dal punto di vista tecnico non fosse una passeggiata lo si era capito subito, visto che si trattava di riportare in superficie il rio Cascine superando a monte un dislivello a strapiombo di circa 28 metri misurato tra la quota dell’acqua e quella della superficie del rilevato, operazione assolutamente necessaria perché il tombino nel quale il rio a suo tempo era stato incanalato dalla TRASCA era collassato in più punti e lo scorrimento dell’acqua era ridotto al minimo.

 

Ovviamente il tombino in questione andava abbandonato perché in pratica risultava inaccessibile sia per la sua lunghezza superiore a 735 metri e sia per la ristrettezza di luce della sua sezione idraulica, pari a soli 2,16 metri quadrati di superficie netta.

 

In sostanza il canale che sostituiva il tombino collassato, posizionandosi lungo il versante di destra del corso d’acqua, e che doveva diventare il nuovo alveo artificiale del rio, funzionava come una specie di by-pass tra l’invaso a monte della discarica e quello a valle per una lunghezza di quasi 800 metri e occupava una superficie di circa 4.000 metri quadrati, mentre l’intero progetto comprendente anche la strada di servizio impegnava in tutto oltre 13.000 metri quadrati di superficie complessiva.

 

Ma le difficoltà non finivano lì, perché per incanalare in superficie il rio era indispensabile arretrare il terrapieno verso monte fino ad allinearlo alla quota dell’alveo naturale e così facendo si arrivava ad interferire con un pilastro del viadotto “Cascine” dell’Autostrada dei Fiori la cui base risultava inferiore di circa 11 metri rispetto al piazzale esistente con effetti sulla stabilità del manufatto da valutare con estrema cautela attraverso una verifica geologica della fondazione della pila, come aveva espressamente preteso il Genio Civile.

 

A tutto ciò si aggiungeva la necessità di costruire una strada a servizio della superficie della discarica e dei terreni limitrofi situati sui due versanti della valle, compito tutt’altro che semplice ed agevole.

 

E che non si trattasse di una passeggiata neppure dal punto di vista giuridico amministrativo e burocratico se ne è resa conto soprattutto la COGEFAR dopo essere stata invitata dal Comune il 23 giugno 1986 a integrare gli elaborati di progetto con i certificati di disponibilità delle aree, cosa che ha potuto fare il 30 settembre successivo solo in parte, sia perché la TRASCA aveva occupato a suo tempo abusivamente terreni privati senza il consenso dei proprietari e sia perché la sistemazione definitiva della discarica comportava la disponibilità di nuove aree in aggiunta a quelle già impegnate dalla discarica.

 

Dei tre “paletti/banderillas” sicuramente questo era il più difficile da risolvere e infatti non è stato mai risolto, il che aiuta a capire “come” uno dopo l’altro finirà per smaterializzarsi tutto e tutti, sia la discarica che i suoi attori e relativi documenti e perché per trent’anni della TRASCA si è persa la memoria.

 

  

 

3.5.15 I privati e la tela di Penelope.

 

 

 

Francamente non è facile farsi un’dea e dare un giudizio sulla parte che in questa tragedia ambientale hanno avuto i privati che erano - e molti rimangono - proprietari dei terreni sui quali essa si è svolta.

 

Nel nostro ordinamento, e precisamente nel Codice Civile e in quello di procedura, esistono le azioni possessorie e a Sanremo esistono Giudici in grado di ordinare il loro esercizio  anche in via d’urgenza.

 

Quando si parlava di aree demaniali  - e/o pubbliche in genere - il dito accusatore è stato giustamente puntato contro i burosauri imperiesi e contro i “ciechi” del “Comune/Signor Hide”, i primi per non aver esercitato il potere di autotutela e i secondi per non aver protetto il patrimonio pubblico, però sicuramente l’accusa per quanto è accaduto in passato riguarda anche la responsabilità dei privati proprietari, almeno in parte e sotto il profilo della omissione.

 

Questo va detto anche con riferimento al fatto che ancora oggi, 25 anni dopo gli avvenimenti, la situazione della discarica è rimasta immutata e che addirittura, come in tutti i gialli che si rispettino, l’assassino tornerà sul luogo del delitto dieci anni dopo e sarà tempestivamente bloccato, come vedremo, dal sostituto Procuratore della Repubblica dottor Antonello Racanelli e dal Pretore Gianfranco Boccalatte nel novembre del 1997.

 

Ma intanto il Comune di Sanremo, tornato virtuoso e assistito dall’avvocato Silvio Dian, il 28 settembre 1987 recuperava il possesso materiale delle aree a valle della discarica dopo avere definito nel luglio 1987 con il Curatore del fallimento TRASCA dottor Emmanuele Martinengo,  a ciò autorizzato dal nuovo Giudice Delegato dottor Vincenzo Ferro, un tracciato stradale comunale per accedere alle aree di proprietà della società fallita situato sul confine tra la proprietà del Comune e la proprietà Vittani e dopo aver concordato modalità e corrispettivo del relativo diritto di passaggio.

 

Ma, come si diceva, è con i privati che per la COGEFAR sono sorte difficoltà insormontabili anche se rimane il sospetto che per non essere costretta a rispettare gli impegni disfacesse di notte, come Penelope, la tela che aveva fatto di giorno.

 

Uno dei nodi era rappresentato dal prezzo da lei offerto per l’acquisto, a quel tempo di 5.000 lire al metro quadrato, accompagnato dalla minaccia-bluff di pagarne solo 2.000 in caso di esproprio come previsto dalle tabelle U.T.E., prezzo certo sottovalutato rispetto all’effettivo valore di mercato, magari, chi lo sa ?, proprio per sentirsi rispondere di no.

 

La trattativa, va ricordato, riguardava due distinti oggetti, l’acquisto dei 13.000 metri quadrati circa sui quali dovevano passare canale e strada, cioè opere pubbliche definitive su aree destinate a diventare demaniali, e l’affitto di una superficie più o meno di pari estensione occorrente per eseguire i lavori al termine dei quali i terreni sarebbero stati restituiti ai loro legittimi proprietari.

 

Per avere notizie aggiornate sull’esito delle trattative e sul “ripristino delle condizioni di sicurezza della zona interessata dalla nota discarica di valle Armea” il 13 gennaio 1987 il Prefetto di Imperia toccava il tempo alle ferrovie con un telegramma diretto a loro ma da queste “girato” alla COGEFAR e da lei “dribblato” il 22 gennaio 1987 su una precedente informativa del 18 novembre 1986 con la quale aveva fatto il punto della situazione “aree”.

 

Situazione definita “costosissima” e riassunta in 17 atti di accordo, in 2 posizioni (TORRE Maddalena ora SIFFREDI Malvina e CALVINI Erminia) di competenza della Curatela fallimentare perché vendute o affittate alla TRASCA e 2 posizioni definite “assurde” (società SI.GI. s.r.l. di Castiglione dello Stiviere e sei comproprietari della ditta SICCARDI Fulvio).

 

Ma sarebbe soprattutto la società lombarda a bloccare le trattative per le sue “richieste del tutto astronomiche” e per la sua pretesa “di vendere non la superficie interessata dai lavori ma tutta la proprietà posseduta che è enormemente superiore a quella necessaria” (mappali 676 e 678 del Foglio 2 per metri quadrati 3.064 complessivi).

 

In sostanza, stando all’informativa in questione, la COGEFAR come gli Austriaci nel 1796 e nel 1814, a suo dire sarebbe stata bloccata sulla Linea del Mincio a Castiglione dello Stiviere, visto che di lì non si è più mossa e ha messo tutto quanto nelle mani del Prefetto.

 

Il sospetto malevolo che questo esito non fosse del tutto sgradito alla COGEFAR, se non addirittura da lei cercato di notte come faceva Penelope, viene dalla replica della SI.GI. s.r.l. rivolta direttamente al Prefetto il 28 gennaio 1986 secondo la quale “da parte nostra non è stata fatta nessuna richiesta economica alla COGEFAR” nell’incontro con il suo legale avvocato Carlo D’Emelis al quale nel consegnargli atti e planimetrie dei terreni in proprietà, “abbiamo precisato la nostra piena disponibilità al completamento e sistemazione definitiva della discarica. Da quel giorno malgrado nostri tentativi telefonici non siamo più riusciti ad avere alcuna notizia.”

 

Dunque un altro caso di smaterializzazione, non prima, però, di avere riservato analogo trattamento al Comune di Sanremo sia per le aree comunali nel Parco della Carmelitane cedute alle ferrovie per la stazione e sia per i mappali comunali 191 e 192 di 5254 metri quadrati complessivi dei quali solo 660 metri quadrati interessati dai lavori di messa in sicurezza della discarica.

 

 

 

3.5.16 Cala il sipario e dietro le quinte avviene il terzo miracolo.

 

 

 

Il tempo, come si diceva all’inizio, è un’ottima medicina e ha funzionato anche in questo caso dopo che COGEFAR ha apparentemente deposto le armi della messa in sicurezza della discarica mettendole nelle mani del Prefetto, però tenendo ancora saldi in pugno i fili del burattino TRASCA s.r.l. e dei suoi aventi causa in vista dello smaltimento dello “smarino” del tunnel di accesso alla stazione delle Carmelitane.

 

La resa senza condizioni è stata indirettamente provocata dal Dipartimento della Protezione Civile - Servizio Previsione e Prevenzione - della Presidenza del Consiglio dei Ministri con riferimento a una segnalazione dell’associazione “Pro Natura Riviera dei Fiori” del 13 gennaio 1987.

 

Il prefetto Elveno Pastorelli, predecessore di Guido Bertolaso, nella sua nota 8 aprile 1987 n. 634/38 diretta a Regione, Comune, Ferrovie, Intendenza, Genio Civile, Ministero dell’Ambiente e persino ai Vigili del Fuoco, prendeva sul serio la denuncia in questione secondo la quale :

 

1°.la COGEFAR ha presentato in Comune richiesta di licenza edilizia;

 

2°.il progetto “prevede il trasferimento di notevole materiale di riporto in uno spazio vallivo già parzialmente interessato dalla base di appoggio di un pilone portante il viadotto dell’Autostrada dei Fiori a passa a valle di tale arteria viaria”;

 

3°. “inoltre il progetto ipotizza un “allargamento della discarica” per la costruzione di un canale di raccolta e di convogliamento delle acque reflue di monte che comprometterebbe le necessarie condizioni di sicurezza stante la particolare natura del corso d’acqua che è soggetto a portate, per quanto incostanti, di notevole entità”;

 

Di qui l’invito agli Enti in indirizzo “a rimuovere le situazioni di grave pericolo paventato e a promuovere tutte le necessarie e opportune iniziative atte alla razionale sistemazione idrogeologica del sito e a garantire le condizioni di salvaguardia della privata e pubblica incolumità.

 

Cioè, per chi conosce il “burocratese”, avviso di “last call for passenger” dopo il quale anche la Protezione Civile si smaterializza passando la patata bollente nelle mani degli Enti in indirizzo.

 

A nome dei quali le Ferrovie – prima di smaterializzarsi definitivamente anche loro - replicavano il 9 maggio 1987 con la “lettera-circolare” n. 6132 estesa a tutti quanti “gli Enti in indirizzo”, nella quale comunicavano :

 

1°.“di continuare con puntualità a porre in atto tutte quelle iniziative, sia di carattere formale che informale, per addivenire alla più pronta risoluzione della questione”;

 

2°.di aver investito della questione, d’intesa col Genio Civile, la Direzione Generale delle Miniere – Servizio Geologico di Stato – e di avere ottenuto dalla stessa la “conferma, nella sostanza, della bontà della progettata sistemazione finale delle superfici e, soprattutto, del superamento positivo della problematica sulla paventata pericolosità dei luoghi, così come oggi questi sono in essere”;

 

3°.di “considerare risolte in senso positivo le problematiche della sicurezza legate al progetto globale di sistemazione della discarica”.

 

Però, (perché nel “burocratese” c’è sempre un però), “restano tutt’ora insuperate difficoltà di ordine tecnico e procedurale sollevate da alcuni Enti”, fermo restando “il massimo impegno a far sì che l’intera problematica venga risolta nel più breve tempo possibile”.

 

E quel tempo - dopo 25 anni - deve ancora scadere.

 

 

 

 

 

3.6 Spariti tutti, è rimasto un “buco nero”.

 

 

 

3.6.1 Pirandello e la discarica TRASCA.

 

 

 

Il fallimento della protagonista nel 1985 e soprattutto la smaterializzazione di tutti gli attori pubblici e privati che hanno preso parte alle successive vicende fino al 1987 potrebbero entrare a pieno titolo in un romanzo di Pirandello ispirato alla “crisi esistenziale dell’Io” dove l’“Io” non è un essere umano ma un buco nero”.

 

Un buco nero che è certamente un luogo, ma non soltanto, fino a quando sulla “immutatio loci” non riceverà risposta esauriente e definitiva tutta una serie di angosciosi interrogativi :

 

1°.cosa fa di un luogo una discarica privata ?

 

2°.Basta il fatto compiuto, cioè l’accumulo fisico di “rocce e terre da scavo” in un determinato luogo oppure è indispensabile anche la legittimità dell’operazione ?

 

3°.cosa rende legittima una discarica privata ? E’ sufficiente la concessione edilizia oppure occorre altro ? E in caso affermativo, che cosa ?

 

4°.In questo secondo caso e mancando la legittimità, cos’è l’accumulo di “rocce e terre da scavo” ?

 

5°.E chi ne è proprietario ?

 

6°.E chi ne ha la responsabilità giuridica e deve risponderne ?

 

7°.E in quale sede e con quali conseguenze ?

 

8°.Per accessione è il proprietario del terreno sul quale le “rocce e terre da scavo” sono state accumulate, anche senza il suo consenso ?

 

9°.Oppure è il proprietario delle “rocce e terre da scavo oppure, ancora, chi le ha trasportate in quel luogo ?

 

10°.    Oppure, infine, tutti insieme in solido ?

 

A seconda della risposta data a ogni singolo interrogativo la discarica TRASCA, come nel celebre romanzo di Pirandello, è una, cioè esiste, oppure è nessuna, cioè è soltanto un accumulo fisico di “rocce e terre da scavo” illegittimamente trasportato in quel luogo e da rimuovere, oppure è centomila, quanti sono metaforicamente i proprietari pubblici e privati del terreno sul quale le “rocce e terre da scavo”  sono state accumulate.

 

Anche se viene qui rappresentato in maniera ironica e scherzosa, non è un paradosso e neppure un gioco intellettuale, ma qualcosa di molto più serio, cioè, appunto, un vero e proprio “buco nero”.

 

Per rendersene conto sono sufficienti alcune semplicissime considerazioni su ciò che è realmente accaduto a fine anno 1987 :

 

1°.l’accumulo è stato effettuato in totale difformità rispetto alle tre concessioni edilizie utilizzate e senza rispettarne le tassative prescrizioni;

 

2°.l’accumulo è avvenuto occupando abusivamente metri quadrati 2.625 di terreni demaniali (alveo del rio Cascine), in una prima fase trasgredendo all’ingiunzione del Genio Civile a sospenderlo immediatamente ed a ripristinare lo stato originario dei luoghi e in una seconda fase senza metterlo in sicurezza;

 

3°.l’accumulo è avvenuto, almeno in parte, occupando abusivamente terreni privati e del patrimonio pubblico comunale (su metri quadrati 75.577 di superficie complessiva dell’accumulo la TRASCA s.r.l. aveva la giuridica disponibilità di soli metri quadrati 4.326, corrispondenti al 5,724 %, alla quale si è aggiunta l’informale - a mai dimostrata - acquiescenza di un numero indeterminato proprietari dietro reintegro nelle loro proprietà alla superficie del rilevato artificiale realizzato);

 

4°.l’accumulo riguarda “rocce e terre da scavo” in galleria, cioè una attività che all’epoca (e fino al “Decreto Ronchi” del febbraio 1997) era disciplinata dal D.P.R. n. 915/1982 che all’articolo 2, comma 3, punto 3, classificava i “materiali provenienti da scavi” come “rifiuti speciali il cui smaltimento doveva avvenire in una discarica di Seconda categoria di Tipo A, senza alcuna esclusione o eccezione all’applicazione della legge e senza possibilità di riutilizzo;

 

5°.l’accumulo di “rocce e terre da scavoanche successivamente al “Decreto Ronchi” soggiaceva - comunque e senza esclusione o eccezione alcuna - all’obbligo di “caratterizzazione” del materiale scavato, cioè all’obbligo di verificarne con analisi chimica la rispondenza ai limiti di accettabilità stabiliti dalla legge, analisi da effettuare non nel sito di produzione ma in quello di destinazione debitamente autorizzato, come poco dopo l’entrata in vigore del Decreto ha chiarito la Cassazione Penale sez. III con sentenza 11 febbraio 1998 n 1654 : “I materiali provenienti da scavi costituiscono rifiuti speciali a norma dell’art.2 comma 4 n 3 DPR 915/82 e scaricarli in un’area determinata attraverso una condotta ripetuta anche se non abituale e protratta per lungo tempo, configura quella realizzazione o gestione di discarica, per la quale è richiesta l’autorizzazione di cui all’art. 6 lett. d) del citato decreto”, autorizzazione ambientale che la discarica TRASCA non ha mai avuto;

 

6°.l’accumulo ancorché relativo a materiale proveniente da scavo in galleria per opera pubblica ferroviaria non godeva, come si diceva prima,  di alcuna esenzione da tale obbligo di caratterizzazione come il 24 agosto 2000 ha chiarito la Cassazione Penale sez. III con sentenza n. 2419 riguardante una situazione analoga :” Rientra nella nozione di rifiuto di cui all'art. 6 D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, ove il detentore se ne disfi o abbia l'obbligo di disfarsene, il materiale di risulta dello scavo di un traforo, in quanto riconducibile alla categoria residuale di cui al punto Q16 dell'allegato A del predetto decreto”;

 

7°.scherzi del destino, quasi dieci anni dopo sarà proprio Pietro Lunardi, autore della relazione geotecnica allegata al progetto Levrero autorizzato con la concessione edilizia T/1162 dell’11 maggio 1982, diventato Ministro delle Infrastrutture, a dare il proprio nome alla legge  n 443 del 21 dicembre 2001 "Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive" che all’articolo 1, commi 17, 18 e 19, confermerà una volta per tutte l’orientamento della giurisprudenza nei seguenti termini :

 

a.“le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti(comma 17);

 

b.“il rispetto dei limiti di cui al comma 17 è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore” (comma 18);

 

c. “per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato”.

 

8°.     La dottrina “Lunardi” troverà sostanziale conferma nella disciplina delle “terre e rocce da scavo” contenuta nel vigente Testo Unico Ambientale approvato con D.lgs. n. 152/2006 che ha meglio specificato i criteri e le procedure di “caratterizzazione” dei materiali e definito i limiti di accettabilità.

 

Senza aggiungere altro, è evidente che a fine millennio la discarica sul rio Cascine si presentava come un accumulo di “presunti rifiuti speciali” (salvo prova contraria mediante loro “caratterizzazione” da eseguirsi a cura e spese del produttore e mai avvenuta) depositati in una discarica abusiva realizzata attraverso reiterate e plurime infrazioni edilizie, in assenza delle due necessarie autorizzazioni – quella ambientale e quella idrogeologica - e della concessione demaniale idrica, con l’aggravante della subsidenza indotta di un subalveo acquifero perenne.

 

Ed è altrettanto evidente che la responsabilità sotto tutti i vari profili giuridici, incluso quello della messa in sicurezza non solo geotecnica e idrogeologica ma anche ambientale del sito, spetta al produttore delle “rocce e terre da scavo”, cioè alla COGEFAR e al suo committente, cioè alla TRASCA, e per essa, dopo il fallimento, alla Curatela ed ai suoi eventuali aventi causa.

 

Tutti, ahimè !, ingoiati dal “buco nero.

 

 

 

3.6.2   Sir Alfred Hitchcock, Lucio Battisti e la discarica TRASCA.

 

 

 

Un buco nero” dal quale nei 25 anni che seguiranno ogni tanto qualcuno metterà fuori la testa per scomparire subito dopo in cielo come una cometa lasciandosi dietro una lunga coda di nuovi dubbi e di inquietanti interrogativi.

 

Per raccontarlo più che l’introspezione psicologica di Pirandello servirebbe la vulcanica immaginazione di Sir Alfred Hitchcock, l’insuperato re del brivido, perché ogni volta a mettere fuori la testa sarà l’assassino - ovviamente un assassino metaforico -o qualche sua compiacente controfigura, che ritorna sempre sul luogo del delitto, proprio come nei romanzi gialli.

 

Però il primo di questi inopinati ritorni, che risale all’autunno del 1996, potrebbe raccontarlo anche Lucio Battisti col suo romantico refrainAncora tu, ma non dovevamo vederci più ?” sussurrato alle orecchie del geometra Giovanni Olivati, amministratore della società fallita nel 1985 a Savona e tornato sul luogo del delitto undici anni dopo, nel 1996, a trasportare “terre e rocce da scavo” nella discarica di rio Cascine.

 

Però, a far bene i conti, di anni ne erano già passati sedici dalla sua prima comparsa a Sanremo da quando, cioè, la COGEFAR nel giugno 1980 aveva sferrato il primo colpo di piccone sotto la collina di Poggio e la TRASCA aveva scaricato la prima carriola di “smarino” sul piazzale di San Pietro in attesa di sistemarla definitivamente un poco più in là sulle sponde del rio Cascine.

 

Sedici anni, una vita, un anno in più di quanti -  120 anni prima - ne aveva impiegati Cavour per costruire tra il marzo 1857 e il febbraio 1872 l’intera linea ferroviaria da Nizza alle pendici delle Apuane con il solo ausilio di badilanti, leudi e muli.

 

Oppure, se si preferisce un raffronto contemporaneo e ancora più vicino a noi, erano gli stessi tre lustri, tra il 1980 e il 1995, che Ranieri impiegherà per liberare dai binari il suo Principato, realizzare in rapida successione ben due fermate passeggeri, recuperare 5 ettari di prezioso territorio e costruire lo stadio di Fontvieille.

 

E il bello è che nel 1996 i lavori erano ben lungi dall’essere conclusi e che la data del taglio del nastro - il 24 settembre 2001  -  era ancora molto lontana e dovevano trascorrere altri cinque anni prima che quel fatidico giorno arrivasse !

 

Un quinquennio di scandalosa vergogna funestato dalla distruzione del Parco delle Carmelitane e dall’arrivo in sua vece dell’”ecomostro” della stazione ferroviaria che oggi è già da rottamare, una vicenda allucinante digerita e metabolizzata in silenzio, grazie al “doping Sanremo”.

 

Che, per chi non lo sa, è una miscellanea tranquillante di ottimismo ipocrita e di miope egoismo che dalle nostre parti i media indulgenti e smemorati, un ceto politico imbalsamato, istituzioni amministrative inadeguate e un sistema giudiziario impegnato a rincorrere la propria ombra somministrano quotidianamente all’opinione pubblica in dosi cavalline.

 

Il geometra Olivati dunque comparirà di nuovo sul rio Cascine, esattamente il 2 settembre 1996, a fianco non più della COGEFAR ma della “Sistema Fioroni s.p.a.” di Perugia appaltatrice dei lavori di costruzione della nuova stazione ferroviaria, e ovviamente lo farà al timone di un’altra barca perché quella da lui  pilotata la volta precedente e che sul pennone più alto issava le insegne con “falce e martello” era colata a picco il 27 maggio 1985 silurata dalla sezione fallimentare del Tribunale di Savona.

 

Non è che la nuova scialuppa, la DEPETI s.r.l. di La Spezia, fosse figlia di nessuno, tutt’altro!, il cordone ombelicale con PCI e poi con PDS, se possibile, era ancora più saldo.

 

Almeno stando a quello che salterà fuori sul conto di alcuni Soci e/o Amministratori antichi e attuali della DEPETI leggendo le cronache di “nera” e gli atti giudiziari e parlamentari sul clamoroso “Caso Pitelli”, la collina dei veleni affacciata sul golfo di La Spezia, e le relative dependances di servizio non meno avvelenate.

 

Uno scandalo colossale scoppiato proprio in quel periodo come una bomba H sul pianeta dei rifiuti speciali tossico-nocivi (che dopo il 2006 saranno catalogati sotto la voce “rifiuti speciali pericolosi”) con un effetto tsunami che prosegue da 15 anni, facendo emergere, e subito dopo sommergendo, cose che se non fossero vere, o quanto meno verosimili e probabili, ancorché smentite dalla “verità giudiziaria”, si direbbero partorite dalla fantasia contorta di uno scrittore maledetto.   

 

Uno scandalo, quello di Pitelli, che è entrato a pieno titolo nei testi di storia contemporanea al capitolo “Resa dello Stato” e che addirittura il 25 ottobre 2000 sarà portato ad esempio di un caso infiltrazione mafiosa in “area non tradizionale” nel rapporto conclusivo della “Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse” presieduta dall’onorevole Massimo Scalia.

 

Però, sul fronte della Giustizia penale tutto finirà bene, nel rispetto dello scontato clichè degli scandali di questo genere, tutte le volte che ne sono protagonisti  i cosiddetti “Poteri Forti”,  per intenderci : quelli che lo sono sul serio, non la loro caricatura ad uso e consumo degli ingenui.

 

E così anche in questo caso il finale sarà esattamente lo stesso, cioè un proscioglimento generalizzato dall’accusa di disastro ambientale “perché il fatto non sussiste” non ostante sia stata portata in giudizio la prova documentata ed inoppugnabile della presenza a Pitelli di tre milioni di kg di rifiuti tossico-nocivi e scarti di specialità medicinali dell’industria farmaceutica, di 17.800 tonnellate di scorie da attività di termodistruzione di rifiuti solidi urbani, di 116 tonnellate di fanghi, solventi vari quali toluene, xilene e benzene, fusti contenti terre di bonifica, solventi organici, ceneri leggere, fibrocemento, polveri di abbattimento dei fumi di fonderia, scorie alluminose e altro materiale non identificato.

 

Il tutto scaricato in un “sito di alto valore paesistico”, autentico patrimonio dell’umanità, dove in base al Testo Unico del 1939 era vietato perfino raccogliere un fiore.

 

Veleni che provenivano da ogni parte del mondo e che sono stati seppelliti nel ventre dell’incantevole collina che domina il “Golfo dei Poeti”, come venne battezzato da Sem Benelli.

 

Un Parnaso che aveva ispirato le Muse di poeti immortali come David Herbert Lawrence, George Sand, Lord Byron, Percy Bysshe Shelley e che sarà il “buen retiro” per Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti e tanti altri illustri artisti, scrittori, pittori, scultori e registi anche recenti come Indro Montanelli e Mario Soldati.     

 

Insomma, un Paradiso profanato due volte, la prima dall’incredibile scandalo ambientale e la seconda dalla telenovela giudiziaria che ne è seguita e che si è conclusa con l’assoluzione di tutti e dieci gli imputati per insussistenza del fatto addebitato.

 

Perché in questi precisi termini il Tribunale di La Spezia si è espresso - esattamente il 10 marzo 2011 - con una sentenza che ha messo la parola “fine” su un’inchiesta lunga 15 anni, che era stata avviata dalla Procura della Repubblica di Asti nel lontano 1996 e che poco dopo era stata trasferita per competenza territoriale a quella di La Spezia e che si era conclusa nel 2003 con una ordinanza di rinvio a giudizio alla quale aveva fatto seguito una interminabile fase dibattimentale durata otto anni.

 

Però quando a settembre 1996 la DEPETI s.r.l. è approdata in Valle Armea con il geometra Olivati al timone tutto questo era ancora in grembo a Giove e  nessuno che non possedesse la sfera di cristallo era in grado di profetizzare che un mese dopo, esattamente il 28 ottobre, l’Amministratore Unico di allora e di adesso della DEPETI s.r.l. sarebbe finito in prigione per diventare il “nemico pubblico n. 2” in quel clamoroso caso giudiziario, assieme a quello “numero uno”,  cioè al vero “dominus”, regista e prim’attore, che fino a due anni prima era Amministratore Delegato e Presidente della società stessa.

 

Ma evidentemente certi personaggi l’abitudine di seminare qua e là discariche abusive ce l’avevano nel sangue, apparteneva al loro codice genetico, e il vizietto lo avevano trasmesso anche ai soci e collaboratori.

 

Infatti a Sanremo partendo dall’ottocentesco Parco delle Carmelitane il redivivo geometra Olivati, sprovvisto di permessi, autorizzazioni e licenze e senza possedere neppure più un centimetro quadrato di terreno sulla discarica TRASCA, alla guida di potenti bilici da sei tonnellate ha ripreso a scaricare lo “smarino” sul rio Cascine in Valle Armea come se nulla fosse e con l’identico tran-tran di quindici anni prima.

 

Fino a quando però,  ma sempre per la serie “Non è mai troppo tardi”, ai primi del 1998 Massimiliano Settime, sottufficiale dei vigili urbani, non lo aspetterà al varco con la rituale intimazione ad esibire “patente e libretto !”, cioè appunto i permessi e le autorizzazioni che lui non aveva.

 

Peccato che prima di quel momento il geometra Olivati per tutto l’anno precedente, tutti i giorni e al ritmo di una cinquantina di bilici al giorno  con paralisi del traffico, dissesto del manto stradale e polvere dappertutto, tra le vivaci ma inascoltate proteste della gente, fosse riuscito ad accumulare nella discarica TRASCA un’altra montagna di “smarino” che è andata a sommarsi a quella da lui abbandonata lì quindici anni prima e che il geometra Ay aveva misurato all’epoca in 792.453 metri cubi.

 

Gli atti finiranno sul tavolo del sostituto Procuratore Antonello Racanelli che chiederà ed otterrà dal Pretore Gianfranco Boccalatte il sequestro della discarica, che dopo il 1985 era diventata “ex-TRASCA”, sequestro che sarà confermato poco dopo dal Tribunale del riesame di Imperia.

 

Seguirà nel mese di giugno di quell’anno davanti al Pretore Vittorio Spirito il processo a carico di Olivati per occupazione abusiva di suolo pubblico e per infrazioni varie di carattere edilizio, ambientale e paesistico e il pubblico dibattimento porterà finalmente alla luce sulla discarica di rio Cascine tante cose di cui 18 anni prima in Comune a Sanremo nessuno si era accorto e che aveva visto.

 

In particolare salterà fuori che ai primi di settembre 1997 il geometra Olivati assieme al capo cantiere della “Fioroni” si era presentato in Comune per informare l’ufficio tecnico che intendeva riaprire la discarica e che era stato dirottato a Imperia all’Amministrazione provinciale, delegata poco prima dalla Regione ad applicare il “Decreto Ronchi”. 

 

Però i due non erano scesi dalle scale di Palazzo Bellevue a mani vuote perché qualcuno aveva indicato loro la scorciatoia dello “stoccaggio provvisorio” ammesso dalla nuova normativa ambientale limitatamente ad un periodo di 60 giorni ma, si sa che in Italia tutto ciò che è provvisorio diventa definitivo e poi una mano lava sempre l’altra.

 

E così è stato per tutto l’anno successivo, anche se in Comune, per salvarsi l’anima, si erano finalmente ricordati dell’articolo 4 della “Legge Bucalossi” 28 gennaio 1977 n. 10 da loro dimenticato negli Anni Ottanta in occasione del rilascio delle quattro successive concessioni edilizie e questa volta per dare l’assenso avevano preteso che il geometra Olivati dimostrasse di avere veramente la disponibilità delle aree, e lui – come sappiamo - non era in grado di dimostrarlo neppure per un centimetro quadrato di terreno.

 

Una pretesa, quella del Comune, che non impedirà tuttavia al nostro eroe di fregarsene e di proseguire con lo “stoccaggio provvisorio” finché Settime non lo fermerà, quando però i buoi erano già usciti quasi tutti dalla stalla.

 

Insomma, la tipica “furbata” all’italiana che per i rimanenti buoi avrà uno sviluppo ancora più furbo.

 

Infatti il geometra Olivati – sparito nel “buco nero” della discarica ex TRASCA - continuerà ugualmente per conto della DEPETI s.r.l. ad occuparsi delle “terre e rocce da scavo” provenienti dalla stazione delle Carmelitane, depositandole – dopo una breve capatina onerosa a Taggia nella discarica Colli – nell’altro “buco nero” a costo zero in riva al mare a Pian di Poma.  

 

Lì, sulla discarica Autofiori, non tarderà a sorgere dopo un anno di attività quella che i sanremesi battezzeranno col nome di “collina della vergogna”.

 

Anche se questo è un capitolo diverso,  che si svilupperà lontano dalla discarica TRASCA di valle Armea, tuttavia merita ugualmente un cenno perché la falsariga è sempre la medesima, con la Fioroni Sistema s.p.a. che strangolata dall’eccessivo ribasso d’asta nell’estate del 1999 molla tutto, cantiere, lavori e pagamenti, per finire in amministrazione straordinaria l’anno successivo.

 

Con il suo principale creditore, un’impresa sanremese subappaltatrice, che eredita il cantiere, in un anno riesce alla bell’e meglio a rendere “inaugurabile” la stazione per la fatidica domenica mattina 30 settembre 2001, dopo di che fallisce miseramente.

 

Per tutto quel tempo Olivati e la DEPETI s.r.l. continueranno imperterriti ad accumulare materiale di scavo sulla spianata di Pian di Poma anche se le Fiamme Gialle con alla testa il capitano Maragoni fin dall’autunno del 1998 si esibiscono in periodici blitz sulla legittimità delle operazioni con massiccia acquisizione di fotocopie e con sopralluoghi a sirene spiegate e disturbo della quiete pubblica, però senza arrivare mai a una conclusione.  

 

Fino a quando il Comune, dopo un lungo e penoso iter burocratico a Genova per i necessari assensi, non riuscirà ad appaltare con un ribasso del 17,18 % a un’impresa pugliese, la “Michele Crudo s.p.a.” di Brindisi, su una base d’asta di 4 miliardi e 800 milioni i lavori di costruzione di una scogliera di protezione lunga 800 metri a alta 5 all’interno della quale finirà, con costo separato e aggiuntivo, la montagna di terra assieme a materiali di demolizione scaricati lì dalle imprese edili.

 

La superficie del rilevato rubata al mare con questo specifico intervento sarà di circa 25.000 metri quadrati con un costo medio unitario per il Comune che si aggira sulle 200.000 lire a metro quadro, costo in realtà di gran lunga inferiore  perché la scogliera era comunque indispensabile per contenere l’intero terrapieno che ha una estensione dieci volte maggiore.

 

Comunque sia, per la “Fioroni Sistema s.p.a.” e per la DEPETI s.r.l. - che hanno agito a costo zero - l’operazione si è risolta con un beneficio di non meno di 2 miliardi di lire, calcolando in 200.000 metri cubi il volume complessivo scaricato e in 10.000 lire a metro cubo la tariffa unitaria che avrebbero dovuto corrispondere, cioè quella da loro pagata alla discarica “Colli” di Taggia nel brevissimo intervallo dopo il sequestro giudiziario della discarica ex TRASCA.

 

Su questo beneficio tutti hanno chiuso un occhio, nella retorica di una mitica “Cittadella dello Sport” da 110 miliardi promessa dal duo Bottini-Bissolotti e progettata a Pian di Poma dallo Studio Cattaneo, e nell’euforia del trasferimento a monte della linea ferroviaria, evento atteso da oltre un secolo.

 

 

 

3.6.3 Uno strano condominio col “convitato di pietra”.

 

 

 

Avvolta nelle nebbie giudiziarie e congelata dal sequestro penale la discarica ex TRASCA con l’avvento del nuovo millennio è uscita definitivamente dalla percezione pubblica e collettiva per riprendere la sottostante sua dimensione privata, così recuperando l’originaria vocazione  agricola e forestale.

 

Dopo la tempesta questa volta a fare capolino dal “buco nero” saranno alcuni proprietari catastali – con l’appoggio del consorzio CONS.EDIL. aderente alla Unione Industriali di Imperia -  per rivendicare i loro diritti immobiliari e cercare di valorizzarli in conformità.

 

Un’aspirazione del tutto legittima e comprensibile ma difficile da realizzarsi per due precise ragioni, la prima di carattere organizzativo perché erano solo una parte e per giunta non andavano d’accordo con quella rimanente e la seconda di carattere economico perché su un’ampia porzione superficiale della discarica bisognava prima incanalare a proprie spese il rio Cascine e quindi restituire l’alveo artificiale al Demanio oltre a creare nuove difese d’acqua sui versanti, rendendo anch’esse demaniali.

 

E nel dicembre del 2002 sarà proprio il Demanio come il “convitato di pietra” nel Don Giovanni di Molière a mandare all’Inferno il tentativo di mettere a regime la discarica per poterne riutilizzare il suolo, tentativo portato avanti da un pugno di proprietari catastali sulla base dello studio di fattibilità predisposto dal geometra Marco Medlin.

 

Anche se è miseramente naufragato vale tuttavia la pena di parlarne perchè potrebbe essere la prova generale di ciò che Zoccarato e Fera vorrebbero fare in un futuro abbastanza prossimo.

 

Tutto partiva da una relazione idraulica dell’ingegnere Stefano Puppo che fotografava la realtà : tombino collassato, sue dimensioni comunque insufficienti in base alle ultime norme regionali, rischio che si crei un lago effimero a monte che potrebbe interessare le fondazioni del viadotto “Cascine” dell’Autofiori e comportare altri rischi connessi e conseguenti segnalati dal Piano di Bacino dell’Armea.

 

Si passava quindi a individuare i soggetti direttamente o indirettamente tenuti ad intervenire per ripristinare le condizioni di sicurezza idraulica del sito : cioè chi ha realizzato la discarica occupando abusivamente l’alveo demaniale e quindi la TRASCA s.r.l. e per essa dopo il fallimento il curatore.

 

Però la chiamata in responsabilità si estendeva anche alla COGEFAR s.p.a. per conto della quale - anche se non a nome suo – la discarica era stata effettuata e poi, un gradino ancora più in alto, puntava il dito anche sulle stesse Ferrovie che avevano affidato l’appalto dei lavori all’impresa in questione e avevano un dovere di controllo sul loro buon andamento.

 

Comunque, in caso di infruttuosa chiamata in causa di questi tre soggetti direttamente responsabili rimaneva la responsabilità oggettiva e pro quota dei proprietari catastali per avere esplicitamente o implicitamente consentito alla realizzazione della discarica sui loro terreni e comunque per non averlo impedito intentando azioni legali a tutela della proprietà e del possesso, e tra loro c’era anche il Comune di Sanremo e lo stesso Demanio per le aree di loro spettanza.

 

Ciò fatto, si passava quindi alla scelta dello strumento per raggiungere il risultato consistente nella esecuzione di un’opera pubblica in condizioni di somma urgenzaopera pubblica rappresentata dall’alveo artificiale del rio Cascine e dalle vie d’acqua accessorie sui versanti del suo compluvio.

 

Lo strumento non poteva che essere una ordinanza di somma urgenza emanata dal Sindaco con la quale sul presupposto del suddetto rischio idrogeologico si intimava a tutti i soggetti sopra indicati di ripristinare le condizioni di sicurezza preesistenti a monte (Autostrada) e a valle del sito sulla base del progetto approvato a suo tempo dal Genio Civile di Imperia, eventualmente aggiornandolo alle normative nel frattempo intervenute.

 

In caso di inottemperanza entro un preciso termine, l’ordinanza prevedeva l’esecuzione d’ufficio delle opere urgenti e necessarie attraverso l’occupazione d’urgenza delle aree e la loro espropriazione e la copertura delle spese relative attraverso la emissione di un ruolo straordinario di introito a carico dei responsabili da riscuotere secondo la procedura prevista dalla legge tributaria.

 

Condividendo questa ipotesi, il 15 ottobre 2002 un imprenditore locale del settore si imbarcava nell’acquisto dalla curatela TRASCA di tre mappali per una superficie complessiva di 4.326 metri quadrati, avviava trattative per acquisire ulteriori mappali senza escludere forme alternative o complementari di cogestione dell’operazione, tra cui la costituzione di un consorzio volontario tra i proprietari della maggioranza delle aree interessate, e otteneva un impegno di massima della COGEFAR a partecipare volontariamente alle spese.

 

Ovviamente, per i suoi elevatissimi costi il tentativo si basava sulla possibilità per chi se li sarebbe accollati di disporre di tutta o parte della superficie della discarica lasciata libera dall’opera pubblica idraulica per poterne godere a vario titolo in conformità alla destinazione urbanistica stabilita dal Comune.

 

Nello specifico, qualora l’imprenditore in questione si fosse accollato in tutto o in parte i costi suddetti avrebbe chiesto al Comune di poter realizzare nel sito un impianto per il trattamento degli inerti.

 

Insomma, un tentativo abbastanza serio di risolvere il problema attraverso una formula economicamente, giuridicamente e tecnicamente sostenibile.

 

Però il “buco nero” lo ha fagocitato come tanti altri, tutti abborracciati a livello di semplici idee negli anni successivi per fare della ex TRASCA una specie di discarica di strutture turistico-sportive obsolete, ingombranti o incompatibili, dal parcheggio per camper al campo di tiro a segno, da minigolf a circuito per go-kart e così via.

 

 

 

3.7 La ex TRASCA ritorna alla ribalta. 

 

 

 

3.7.1 Tre piccioni con una fava, non sono troppi ?

 

 

 

La fava sarebbe “Una discarica 7 volte il Duomo di Milano” come intitolava il 26 novembre 2011 un quotidiano e i tre piccioni dovrebbero essere il primo la messa in sicurezza del rilevato ex TRASCA, il secondo la soluzione per i prossimi 25 anni del problema dello “zetto” cioè di dove poter smaltire i detriti delle demolizioni, problema insistentemente sollevato dall’associazione degli edili e il terzo la rilocalizzazione dell’impianto di Colli che dovrà essere chiuso ed espropriato per diventare la sede dell’impianto unico per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani dell’intera provincia.

 

Il primo piccione basterebbe, però i costi da sostenere per prenderlo sono enormi, la grande crisi ha prosciugato le casse pubbliche e allora bisogna per forza andare a patti con i privati che in cambio dei quattrini pretendono gli altri due piccioni.

 

Questa in poche parole è la sostanza dell’idea approdata al tavolo di Zoccarato e di Fera tra le vivaci proteste dell’associazione “Pro Bussana” che appena fiutata la cosa con un anticipo di due mesi è scesa immediatamente in campo rispolverando il dossier del 4 luglio 1984 e la petizione snobbata dal Commissario Calandrella con cui centinaia di firmatari chiedevano la riparazione del tombino collassato, la correzione del piano della discarica che all’epoca era inclinato verso monte e minacciava di creare un lago effimero di 300.000 metri cubi e l’abbassamento del colmo che superava di 14 metri la quota dei plinti del viadotto autostradale.

 

All’annuncio, dato un paio di mesi dopo, che l’idea di riaprire la discarica si era materializzata in una fava, cioè nello studio di fattibilità dell’ingegnere Enrico Masella per ulteriori 2 milioni e 800 mila metri cubi da depositare nel sito in modo da ricavarne 100.000 metri quadrati di superficie utile, l’associazione è nuovamente partita lancia in resta all’insegna del motto : “Un malaffare che diventa un affare”.

 

Sicuramente è così, perchè la ricostruzione degli avvenimenti del passato intorno alla discarica conferma - quanto meno - la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di poco corretto anche senza arrivare alla dimostrazione di un vero e proprio malaffare.

 

Sicuramente è così anche per l’affare che farebbero oggi i privati realizzando l’idea, ma è proprio questa la condizione perché il Comune possa avere in cambio il primo piccione, quello della messa in sicurezza del sito che ha un  peso enorme, come i dissesti idrogeologici di La Spezia e Genova stanno dimostrando.

 

In tempo di grande crisi si vende l’argenteria e il primo problema è trovare chi la compri a prezzi di mercato evitando imbroglioni e strozzini.

 

D’altra parte di imprenditori solidi e coraggiosi ne circolano sempre meno e le banche hanno smesso di finanziare investimenti a lungo termine per la realizzazione di progetti all’osso che non possono nemmeno garantire la copertura certa della quota annuale di ammortamento del debito.  

 

Questa infatti è l’amara realtà della quale deve prendere atto l’associazione “Pro Bussana”, cioè che la discarica va messa in sicurezza, che i soldi occorrenti non ci sono e che l’unico modo di procurarseli è insediarvi un’attività produttiva privata in grado di finanziare l’investimento.

 

Ma non deve essere una resa senza condizioni e neppure un rattoppo peggiore del buco, e soprattutto è fondamentale che chi manovra abbia ben chiare le idee per non dover fare ancora i conti con un buco, però questa volta non più nero ma nell’acqua.

 

 

 

3.7.2 Pericolo di fare un buco nell’acqua.

 

 

 

Pericolo sottovalutato dal Comune, almeno stando a quanto si legge sui giornali, perché la sua scelta di percorrere l’iter amministrativo previsto per le opere pubbliche o di pubblica utilità significa compiere un triplo salto mortale.

 

Il primo salto è il presupposto che la discarica di “terre e rocce da scavo” oggi esistente non sia abusiva e sia già stata messa in sicurezza, e non è così.

 

Il secondo salto è il presupposto che siano presenti tutte le ulteriori condizioni chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche, nessuna esclusa, per poter recuperare la discarica in questione abbancandovi rifiuti speciali non pericolosi come, all’articolo 33, prevede il “Decreto Ronchi” ( D. Lgs. N. 22/97) e non è dimostrato che sia così. 

 

Il terzo salto è il presupposto della compatibilità urbanistica (P.R.G.) e ambientale (P.T.C.P.) dell’intera operazione, consistente nel recupero e nell’ampliamento della discarica esistente e nella successiva destinazione d’uso del rilevato a impianto fisso per il recupero di rifiuti inerti provenienti da demolizioni e costruzioni, e così non è ancora.

 

Il trampolino col quale si prevede di fare i primi due salti mortali è l’esproprio delle aree per poter realizzare l’alveo artificiale e le opere indispensabili per stabilizzare definitivamente il rilevato nella sua interezza.

 

Nel primo caso le aree da espropriare sarebbero definitivamente precluse a ogni ulteriore utilizzo sia dal punto di vista fisico, perché su di esse dovrebbe scorrere il nuovo rio Cascine, e sia da quello giuridico, perché diventerebbe demaniali.

 

Nel secondo caso, invece, la superficie del rilevato al netto delle opere idrauliche demaniali sarebbe utilizzabile per un’opera di pubblica utilità, cioè – appunto – l’impianto fisso per il recupero di rifiuti inerti da concedere in costruzione e gestione a un soggetto attuatore scelto attraverso una gara ad evidenza pubblica, soggetto che anticiperebbe tutte le spese per poi ammortizzarle negli anni a venire con la formula del project financing.

 

Più o meno è lo stesso trampolino che la COGEFAR s.p.a. aveva tentato di usare il 18 novembre 1986 quando aveva chiesto al Prefetto di Imperia l’adozione di provvedimenti temporanei di occupazione d’urgenza per superare, attraverso l’allora vigente “occupazione appropriativa”, la resistenza di alcuni proprietari delle aree sulle quali avrebbe dovuto scorrere il nuovo alveo artificiale del rio Cascine e relativi affluenti e zona di rispetto.

 

In quella occasione la risposta del Prefetto era stata chiara soprattutto in merito alla natura dell’intervento  che la COGEFAR intendeva realizzare : “L’opera non si riferisce alla costruzione della linea ferroviaria, ma attiene a materia di competenza comunale, sia che si abbia riguardo alla sistemazione della discarica complessivamente intesa, sia che si considerino esclusivamente i lavori di riassetto idraulico.”

 

Competenza comunale – sia detto tra parentesi – che in precedenza era stata esercitata ben quattro volte con altrettante successive concessioni edilizie per quanto concerne la discarica “complessivamente intesa” e mai per quanto concerne il “riassetto idraulico” che avrebbe dovuto essere realizzato sulla base del progetto delle Ferrovie - Prima Unità Speciale di Savona - approvato il 14 marzo 1986 dal Genio Civile.

 

All’epoca il Prefetto Gaetano Spirito aveva gettato il pallone in tribuna e così indirettamente affossato ogni buona intenzione della COGEFAR s.p.a. di rimediare agli abusi commessi dalla sua subappaltatrice TRASCA s.r.l., e di farlo costruendo a propria cura e spese le opere idrauliche per la messa in sicurezza del rilevato, un po’ come se si fosse trattato di opere di urbanizzazione primaria che non intaccavano la restante proprietà parziaria del suolo della discarica da parte dei legittimi intestatari catastali, con esclusione di circa 4.500 metri quadrati del sedime in pianta del canale artificiale.  

 

Ed è proprio lì che è cascato l’asino, su quella dozzina di ditte catastali che risultavano intestatarie di una quindicina di particelle dei fogli 2 e 4 di Bussana i cui titolari o erano irreperibili oppure hanno detto di no ad una cessione bonaria, qualcuno in maniera esplicita e qualcun’altro implicitamente ponendo condizioni inaccettabili come  l’ammontare esagerato dell’indennizzo richiesto o la pretesa che venisse  modificato il progetto.

 

Il pericolo di fare di nuovo un buco nell’acqua è esattamente quello, sembra un dettaglio di poco conto e invece è fondamentale nello schema operativo che il Comune si è dato, perché le aree di quell’esiguo manipolo di proprietari sono le “forche caudine” sotto le quali il procedimento amministrativo si deve sviluppare se davvero si vuole quadrare finalmente il cerchio.

 

 

 

3.7.3 Adesso chi ha il coltello per il manico ?

 

 

 

Paradossalmente chi oggi lo impugna non è in grado di usarlo mentre chi potrebbe farlo - il Comune e il suo concessionario privato – lo tiene per la lama e rischia di tagliarsi le dita.

 

Alzare bandiera bianca e acquistare il coltello con trattativa bonaria e a caro prezzo non è possibile per le identiche ragioni che hanno provocato i buchi nell’acqua della TRASCA nel 1980, della COGEFAR nel 1986, della DEPETI nel 1997 e di parte dei proprietari catastali nel 2002.

 

E allora se si vuole addomesticare il mostro preistorico e renderlo utile in questo tempo di grande crisi e anche nei decenni futuri bisogna afferrarlo per le corna, ma avendo le idee ben chiare e farlo nella maniera giusta.

 

Cose semplicissime che si riassumono in un imperativo categorico : “Mettere a posto le carte ! prima di usarle, perché per finire con l’ennesimo buco nell’acqua basta una ordinanza del TAR o anche il semplice timore di dover andare a spiegarlo in Procura della Repubblica o alla Corte dei Conti.

 

Perché il dinosauro “pirandelliano” si è svegliato ma è ancora legato da “lacci e lacciuoli” e qui la gente lo guarda incuriosita come in un gioco di specchi che mostra “uno, nessuno o centomila” proprietari pronti a scioglierlo, tenerlo al guinzaglio o mettergli la museruola.