Butto giù queste mie riflessioni mattutine quando a Washington è l’una di notte di venerdì 18 dicembre 2020 e scadono oggi i 45 giorni entro i quali il “Rapporto Ratcliffe” deve essere consegnato ai quattro destinatari indicati dalla legge.

La legge è il celeberrimo Executive Order 13848 del 12 settembre 2018 con il quale Trump ha aggiornato quello precedente emanato da Obama nel 2015 e che con l’avallo del Congresso è tuttora in vigore.

Il rapporto riguarda le “Foreign Interference in a United States Election” del 3 novembre scorso, deve essere steso da John Ratcliffe “the Director of National Intelligence” (DNI) e da lui inviato entro e non oltre 45 giorni dalla chiusura delle urne cioè entro oggi, 18 dicembre 2020, a quattro destinatari diversi che sono Donald Trump POTUS, Michael "Mike" Richard Pompeo Segretario di Stato, Steven Mnuchin Segretario del Tesoro e Mark Esper Segretario della Difesa.

L’Ordine Esecutivo in questione è una specie di “Senatus consultum de re publica defendenda” quando a Roma le istituzioni repubblicane erano sotto attacco dei vari Gaio Gracco, Lepido, Catilina e Cesare e scattava l’allarme: “Videant consules ne quid detrimenti res publica capiat!”.

Comporta la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale e quel che ne consegue e deve essere applicato dallo “Stato Profondo”, quello patriottico di Thomas Jefferson come il 23 novembre scorso sul mio sito internet “Miacatemiu.it” sotto il titolo “Di che cosa stiamo parlando? Cap. I°” ho definito lo Stay-behind, le Vestali della Nazione, lo Stato nello Stato da non confondere con il “Deep State” dei traditori.

Rimango nella metafora per dire che le oche del Campidoglio sono quelle che si radunano sotto l’acronimo CI, Community Intelligence, che riunisce FBI, CIA e altre strutture, Agenzie e servizi del genere.

La comunità in questione è chiamata dalla legge a presentare a Ratcliffe una “Valutazione Riservata” sulla quale tutti devono concordare ed è qui che casca l’asino, perché fino a ieri l’accordo non c’era e cresce il sospetto sulla lealtà e fedeltà di qualcuno che rema contro e vuole bloccare tutto in attesa di Biden, beneficiario delle interferenze e interessato a farle sparire.

Fuori dalla porta del bunker sotterraneo che ospita il “Deep State” costituzionale in questi 45 giorni c’era già stata, non dimentichiamolo, una prima “trahision des clercs” da parte del responsabile della cybersecurity che aveva anticipato il rapporto affermando che quelle del 3 novembre scorso erano state le elezioni più corrette e sicure di sempre.

Poi dentro il bunker era stata la volta del Procuratore generale William Pelham Barr, che con il Segretario per la sicurezza interna Chad Wolf doveva collaborare alla stesura del “Rapporto Ratcliffe” ma che ha tradito il proprio mandato rifiutandosi di intervenire d’ufficio come parte civile nei procedimenti giudiziari elettorali promossi dal team legale del Presidente e in questi giorni è stato da lui licenziato su due piedi per justice denied al popolo americano.

Adesso, come dicevo, casca l’asino e lo fa sotto il peso delle numerose segnalazioni già in mano alla CI da 45 giorni e che sono ancora in attesa di una sintesi e di un accordo su di essa, ovviamente riservato.

A Ratcliffe, dunque, manca ancora la materia prima per poter stendere un rapporto che per espresso dettato dell’Ordine Esecutivo deve basarsi su “qualsiasi questione materiale di fatto” che “materialmente” abbia minacciato la sicurezza o l’integrità delle elezioni interferendo o sulla “infrastruttura elettorale” oppure sulla “'organizzazione politica, campagna elettorale o candidato”, ipotesi separate ma complementari da esporre entrambe in due distinti capitoli.

Il “Rapporto Ratcliffe” non ha effetti diretti sul risultato delle elezioni ma soltanto sui responsabili stranieri dell’interferenza e su quelli americani che hanno partecipato ad essa, e si tratta di effetti durissimi, veramente micidiali, vanno dalla confisca alle sanzioni su licenze pubbliche, da blocchi commerciali a veti di ingresso e molto altro ancora e potrebbero colpire Wall Street, i Big Tech di Silicon Valley e la rete dei media.

Però il rapporto potrebbe produrre anche effetti indiretti, di carattere morale e politico sul procedimento parlamentare di elezione del Presidente e del suo Vice quando il 6 gennaio 2021 si conteranno i voti dei “Grandi Elettori” espressi il 14 dicembre 2020 scorso in sede di sessione congiunta del Congresso, cioè con Camera dei Rappresentanti e Senato riuniti.

All’appuntamento di lunedì scorso mi dicono che alcuni Stati hanno depositato non uno solo ma due elenchi di “Grandi Elettori”, quello ufficiale del Partito vincitore e quello degli “unpledged” cioè degli eletti indipendenti che nell’accettare la candidatura non si erano impegnati a votare -se eletti-  per i candidati Presidente e Vice designati dal Partito.

Non è una novità, per esempio J.F.K. nel ’60 vinse per un pelo contro Nixon e aprì la storica stagione della “Nuova Frontiera” grazie anche a questo fenomeno innescato dalla lotta sui diritti civili degli afroamericani in Alabama (6+5) e Mississippi (8).

Questa volta parrebbe che si sia ripetuto in quattro Stati, Pennsylvania, Georgia, Nevada e Arizona, mentre in Michigan i 32 Grandi Elettori eletti si sarebbero equamente divisi 16 a 16 non per una precedente manleva ma a causa delle controversie sorte sul procedimento elettorale.

Non sto svelando il terzo segreto di Fatima o lambiccando alchimie fantapolitiche, si tratta di questioni discusse su decine e decine di giornali, riviste, blog dappertutto nel mondo, tranne qui in Italia dove per Renzi il suo amico Biden il 20 gennaio 2021 invece di giocarsi con Trump la presidenza si limiterà a entrare nella stanza ovale e a cambiare la serratura alla porta.

Resta il fatto che il Codice degli Stati Uniti (3 U.S.C. Sezione 6) impone ai 50 Governatori di depositare i certificati di voto del proprio Stato, firmato e timbrato, indistintamente di tutti i candidati a “Grande Elettore” siano risultati eletti, o non lo siano, inclusi quelli “unpledged” o dissidenti.

Resta anche il fatto che il 6 gennaio 2021 in sede di formazione del “Collegio Elettorale” i possibili casi di opposizione alla inclusione o alla esclusione passeranno sotto la competenza separata della Camera di appartenenza e in caso di disaccordo con l’altra Camera a quella dell’assemblea dei 50 Stati con assegnazione a ciascuno di essi di un solo voto.

Resta, infine, il fatto che comunque “le pecore si contano al cancello” e che il cancello si aprirà il prossimo 20 gennaio 2021 quando il “Collegio Elettorale”, di 538 oppure di 50 “Grandi Elettori” lo vedremo, sarà contato e non pesato.

Con buona pace del gatto Giorgetti e della volpe Renzi che hanno scambiato la Casa Bianca per il “Campo dei Miracoli” dove un burattino ha seppellito nel 2016 il tesoro riservato a pochi suoi grandi amici italiani.