L’anno scorso ad oggi domenica 27 dicembre 2020 la notizia erano le dimissioni del grillino Fioramonti dal Ministero della Pubblica Istruzione, un tragico evento che ha spalancato le porte alla grillina Azzolina. Ho fatto su di esso alcune considerazioni che un anno dopo Facebook riporta alla mia memoria. Doveva ancora venire il COVID e con lui i banchi a rotelle e anche i concorsi pubblici per titoli ed esami per docenti precari con positiva esperienza trentennale a contendersi un posto fisso con ragazzini inesperti freschi di laurea breve e online presa in improbabili materie e su altrettanto improbabili Atenei con esami “alla Suarez”.

Ecco le mie considerazioni.

Accadde oggi: un anno fa. Bruno Giri sta leggendo “Quaderni dal carcere” di Antonio Gramsci.

Mettersi nei panni di qualcun altro è il modo migliore per cercare di capirlo, non per giustificarlo e neppure quindi per condividerlo ma almeno per risalire alle ragioni “umane” di ciò che fà, scrive o dice.

Però si corre il rischio di essere fraintesi e sospettati di contagio e di aver voltato gabbana.

Le dimissioni di Fioramonti mi offrono lo spunto per entrare nei panni di un eretico, Antonio Gramsci, il fondatore del partito comunista, pienamente consapevole di rischiare la scomunica latae sententiae, con l’aggravante di averlo preferito a Giovanni Gentile, ma lo faccio per lo spazio che nel suo pensiero ha riservato -da intellettuale- al tema della scuola quando per un rivoluzionario gli argomenti non mancavano.

Non a caso le sue opere rientrano nella cinquina di autori italiani “Post XVI° Secolo” più citata al mondo e Dio solo sa quanti sono i nomi che pensavamo di trovarci e che invece ne sono stati snobbati ed esclusi.

Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso.”

Così scriveva nel suo Quaderno 12 l’intellettuale comunista e spiegava: “E’ un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio, a domandare <facilitazioni>. Molti pensano addirittura che le difficoltà siano artificiose, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale”.

Per me, da Nonno, i panni nei quali entro ogni giorno oltre che di Gramsci sono dei miei due Nipotini in età scolare e soprattutto del personale della scuola che li sta educando e me ne rendo conto perché umanamente l’intellettuale comunista deve esserci entrato anche lui dentro a quei panni, se a Turi in carcere si preoccupava più della scuola per detenuti che della propria salute.

Chi, invece, se ne sbatte altamente i coglioni è “Giggino ‘o Filone” che da piccolo ha fatto filone a scuola al tempo dei congiuntivi e da grande in Consiglio dei Ministri al tempo della manovra ha fatto filone in Libia a far seghe ai morti.

Così capisco umanamente Fioramonti anche se nei suoi panni mi ci sento un po’ stretto e non riesco invece ad entrare in quelli dei nipotini di Gramsci che ne parlano bene senza averlo letto e che lui, se resuscitasse, li ammazzerebbe di botte.

La sua era l’epoca dell’emigrazione delle sole braccia, la nostra anche dei cervelli finché l’università e la ricerca reggono, altrimenti l’esodo si ridurrà a quello dei camerieri.

 

Anche questo deve aver spinto Fioramonti a prendere le distanze da chi queste cose non può capirle perché gli manca la materia prima, il cervello.