Leggo questo mio post dell’anno scorso e penso alla “Gaia Scienza” dove Nietzsche mette in bocca al demone queste parole: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te…”.

Cioè a ognuno di noi, purtroppo.

“Accadde oggi, 10 gennaio 2020, esattamente un anno fa quando Bruno Giri stava guardando “Memento Mori”.

Con la sveglia e con gli ansiolitici Giuseppi dovrebbe tenere sul suo comodino anche una clessidra e un teschio, la prima con sabbia sufficiente a farlo campare fino al 2023 e il secondo che invece lo condanni a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo.

Al Quirinale il “To be, or not to be” interpretato con un teschio in mano da Mattarella consisteva nell’alternativa offerta a Giuseppi tra il “soffrire colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna” oppure “morire, dormire” cioè scomparire nel nulla da cui proveniva, e l’istinto di sopravvivenza lo ha fatto optare per la prima soluzione.

Fino a quando nella guerra civile gialloverde il pericolo è stato soltanto il fuoco amico il bunker del cerchiobottismo ha funzionato egregiamente, ma ben presto nella guerriglia rossogialla Giuseppi ha dovuto uscire allo scoperto per affrontare la politica delle cose e scegliere tra il rosso e il giallo secondo il precetto di un grande romagnolo, Nenni, il quale diceva: “fai quel che devi, succeda quel che può”.

Però, per dirla con Giacomo dei Corti, “ognuno è ciò che è sempre stato” e per lui Aldo era stato uno stercorario, non sappiamo Giuseppi, però di sicuro non un leone, più facile che sia stato un coniglio per il suo modo di intendere “quel che devi”.

 Che per lui significa tirare a campare, vivere alla giornata, libero dall’ansia del domani garantito fino al 2023 dall’elisir di lunga vita del libro paga di una massa amorfa di parlamentari colpiti da improvviso benessere il 4 marzo 2018 e dalla necessità del “Sistema Italia” di apPRODare al Quirinale alla scadenza del settennato di Mattarella.

Ai tempi di Shakespeare si chiamava atroce fortuna, ai nostri si chiama sfiga, sta di fatto che i suoi dardi, come quelli dell’iraniano Serse alle Termopili, stanno oscurando il sole e Giuseppi, come Leonida, combatte all’ombra.

Ma che dico all’ombra! al buio, alla cieca, e lo fa a Taranto sull’ILVA e poco più sotto da ieri a Tripoli sulla crisi libica, tanto per citare gli ultimi due dribbling in corso per impedire le ripartenze in contropiede di Lakshmi Nivas Mittal nel primo caso e di Khalīfa Belqāsim Ḥaftar nel secondo.   

Limitando per ora il nostro discorso all’ILVA, Giuseppi prima di essere miracolato insegnava diritto a Firenze e conosce perfettamente i limiti dell’ordinanza di martedì scorso del Tribunale di Taranto sull’altoforno e non può non aver dato uno sguardo fugace anche al suo contenuto.

Si tratta di un provvedimento penale che allo Stato proprietario permette la temporanea e condizionata continuità di funzionamento di un suo macchinario assassino oggetto di sequestro preventivo e riguarda la sicurezza degli addetti al funzionamento e non mette affatto il dito sulla piaga aperta il 29 giugno 2012 dalla Procura nel costato di Riva Emilio + 7 per disastro ambientale contestato in cinque capi d’accusa.

A partire dal 1° giugno 2018 e fino a martedì scorso e quindi per 585 giorni, “quel che devi” imponeva a Giuseppi di impedire lo scontro frontale tra due ipotesi radicalmente opposte e incompatibili.

Per capirci, o un impianto a ciclo integrale monitorato con l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) per raggiungere il target annuo di otto milioni di tonnellate di acciaio liquido oppure una mini acciaieria elettrica da quattro milioni con annesso centro servizi e per il resto, 276 ettari decontaminati e bonificati, con destinazione d’uso ad attività economiche eco-compatibili.

La prima ipotesi applica l’articolo 2 della Legge Renzi del 2015 che assicura lunga vita all’impianto attuale cioè almeno fino al 23 agosto 2023 col semplice monitoraggio delle fonti inquinanti mentre la seconda è scritta nel contratto di governo Lega-Movimento 5 Stelle che alla voce “ambiente” recita testualmente: “Programma di riconversione economica dell’ILVA chiudendo le fonti inquinanti”.

Invece di scegliere Giuseppi ha preferito buttarla in caciara e così il 9 ottobre scorso ha condiviso la decisione di tredici senatori grillini di togliere al gestore lo scudo penale in sede di conversione del decreto legge n. 101/2019 per aprire la strada all’ipotesi B, quella della miniaturizzazione dell’acciaieria.

Così il 4 novembre il gestore franco-indiano ha receduto dal contratto di affitto di una acciaieria che gli era stata offerta in “formato maxi”, sicura ed ecologica ma che invece era diventata bonsai, in “formato mini” e per giunta a rischio galera e non solo a causa dell’inquinamento come era capitato al povero Riva ma anche per la messa in sicurezza dei lavoratori dopo l’omicidio di Stato del povero Morricella.

Però c’era il pericolo che il Tribunale di Taranto confermasse lo spegnimento dell’altoforno e desse ragione ai franco-indiani e allora 16 giorni dopo, il 20 novembre, Giuseppi ha pensato bene di far spedire un bonifico da 3.573.075 euro a favore della Paul Wurth s.p.a. come acconto del 25 % della fornitura e del collaudo dell’apparecchiatura di automazione del foro di colata dell’altoforno, e quindi ha imboccato la strada dell’ipotesi A, quella del ciclo integrale.

Per completare il casino manca solo più la sentenza della Corte Costituzionale che dovrà presto pronunciarsi sulla legittimità dell’ipotesi A messa in dubbio l’8 febbraio 2019 dal G.I.P. di Taranto.

Ecco alcune righe della precedente sentenza n.  58/2018 del   23 marzo 2018 scritte sempre sulla stessa materia e con riferimento al “Sistema ILVA” dal Giudice Marta Cartabbia: “Considerate queste caratteristiche della norma censurata, appare chiaro che, a differenza di quanto avvenuto nel 2012, il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.)”.

Rileggendole e pensando che adesso il Giudice redattore è stata eletta all’unanimità Presidente della Corte è facile prevedere che presto Giuseppi spegnerà la luce e si nasconderà sotto il tavolo lasciando che gli attori di questo psicodramma se le diano di santa ragione.

E poi, come diceva Nenni, “succeda quel che può!”.

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Post scriptum: nell’eterno ritorno di Nietzsche oggi 10 gennaio 2021 torna Renzi e Marta Cartabbia è nell’elenco di chi a Palazzo Chigi dovrebbe sostituire Giuseppi in caso di scioglimento delle Camere.