Capisco e solidarizzo con chi si preoccupa, giustamente, per il proprio domani, perchè anche lui potrebbe subire dalle piattaforme il medesimo trattamento riservato a Trump.

Di solito i singoli individui non hanno nulla da temere sempre che rispettino i “Rules” della Proprietà del dominio.

Si tratta del divieto, che so? della violenza, del terrorismo o comunque dell’estremismo violento, dello sfruttamento sessuale minorile, degli abusi o delle molestie, oppure delle condotte che incitano all'odio o al suicidio o all’autolesionismo, ivi compresa la proibizione di pubblicare cose che urtano la naturale sensibilità umana o che violano la legge.

Tutti comportamenti che il singolo individuo evita di tenere quando pigia sui tasti di un dispositivo elettronico, salvo le immancabili eccezioni tempestivamente intercettate dagli algoritmi.

Chi invece ha da temere per il proprio domani è la persona che definirei “esponenziale”, fisica o giuridica che sia, ma anche privata o governativa, laica o religiosa, civile o militare, lucrativa o caritatevole, neutrale o politica.

Come il Titanic è sufficiente che venga a trovarsi in rotta di collisione con l’iceberg di una piattaforma.

Ho rubato all’algebra e alla trigonometria il termine di “esponenziale” pensando alla potenza di un qualsiasiNumero Primo” quando si traduce in un qualsiasiPotere” in grado di confliggere in qualsiasi modo e forma con il “Big Tech business”.

La “damnatio memoriae” di un Trump banned e le modalità “politiche” con le quali ci si è arrivati adesso spaventano i potenti della Terra che si trovano a dover fare i conti con un moderno Leviatano tecnologico che è scaturito dalla materia primordiale e sommersa dell’iceberg.

Il timore che un corpo mostruoso e onnipotente possa prendere vita dalla materia inerte è innato e ancestrale, lo sappiamo benissimo, e l’uomo lo evoca e lo esorcizza fin dalla notte dei tempi, dal Libro di Giobbe e dalla leggenda ebraica del golem, per arrivare ad Hobbes e alla Shelley col suo Frankenstein e infine ai robot, agli androidi, ai cyborg dei giorni nostri e alle più varie forme di intelligenza artificiale applicate alla materia.

Tutto questo -e molto altro- fino a una trentina di anni fa avveniva pacificamente però sempre a livello subliminale.

Finché il timore inconscio non si materializzerà in una sorta di angoscia collettiva profeticamente anticipata mezzo secolo prima da Orwell col leviatano da lui chiamato “Grande Fratello”.

Occorre premettere che all’epoca la tecnologia di controllo politico era soltanto ai primi passi ma che, spinta dal progresso scientifico, si è fatta avanti velocemente e in forme sempre più sofisticate e invasive e che in poco tempo è finita nelle mani di apprendisti stregoni che hanno plasmato i moderni leviatani tecnologici, le piattaforme, appunto.

Chi in questo momento ha timore per il proprio domani 25 anni fa è stato retroattivamente sorpreso in contropiede nella partita giocata dal 42 ° Presidente degli Stati Uniti William J. Clinton l’8 febbraio 1996 contro una squadra di alchimisti digitali, partita che si è conclusa a loro favore grazie alla promulgazione della legge americana sulle telecomunicazioni.

Con la “Communications Decency Act”, infatti,  il pallone ha lasciato all’improvviso e di colpo la metà campo avversaria dove era in corso la sorveglianza terrestre e satellitare USA di “Echelon” per intercettare e spiare nella rete di telecomunicazioni mondiale e-mail, fax, telex e telefonate di Governi, organizzazioni, aziende, gruppi e individui ed è entrato nella metà campo della tecnologia americana di internet, terra di conquista che all’epoca era semideserta e semisconosciuta come un nuovo Far West.  

Non esagero quando dico che per i pionieri quella è stata la “Partita della vita” per l’immenso valore della posta in gioco, diventare padroni del mondo e signori di tutti i popoli, oppure, come alternativa, la vita grama e spericolata di editori.

Imprenditori che in caso di indimostrato controllo (“praticamente impossibile anche con i più sofisticati algoritmi”) sono chiamati per legge ad assumersi ogni responsabilità penale, civile e (in quanto concessionari pubblici) anche amministrativa inclusa la rispondenza patrimoniale per danni, offese, falsità, plagi e ogni altra illiceità fino alle peggiori nefandezze, da condividere in solido con miliardi di utenti disseminati sull’intero pianeta autori di messaggi, tweet, post, link,  podcast, videoconferenze, streaming, e di ogni altro materiale da loro pubblicato a getto continuo.

La Storia ci dirà che con un contropiedi di 26 parole scritte nella Sezione 230 della legge Clinton del 1996 la sfida l’ha vinta Prometeo e il suo leviatano protetto dalla corazza legale della irresponsabilità assoluta, come quella dei produttori di vaccini, tanto per capirci.

Ecco le 26 parole che hanno sottomesso i popoli e regalato il mondo a quella squadra di alchimisti digitali: “No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider.”

E la loro traduzione in italiano: Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi”.

Le fondamenta giuridiche del formidabile business dei social network e del loro smisurato impero economico sono due: irresponsabilità e autodichia grazie al loro inquadramento -nel primo caso- come semplici intermediari, blogger ospiti e fornitori di hosting, cioè di spazio web, e -nel secondo caso- come titolari di giurisdizione domestica nell’esercizio privato e autonomo della loro attività commerciale.

È vero, come dicevo all’inizio, che ciascuna piattaforma si è autodisciplinata con i “Rules” ma la parte sommersa dell’iceberg da dato al leviatano artigli, denti, spine e fauci in grado di sbranare chiunque anche il “Numero Primo esponenziale” del “Potere” più grande della Terra, il Presidente degli Stati Uniti d’America.

È stato sufficiente per lui entrare in rotta di collisione con l’iceberg sulla irresponsabilità e sulla autodichia quando Trump ha twittato anni fa che sono entrambe incostituzionali perché la prima nega agli americani la giurisdizione pubblica contro gli abusi del web mentre la seconda la affida a un privato che diventa giudice di sé stesso e immediatamente il leviatano e i media mainstream suoi clienti lo hanno aggredito.

E hanno continuato a farlo per anni fino a sbranarlo sull’assalto al Campidoglio con l’accusa di istigazione accolta nell’ambito della giurisdizione domestica.

Sulla revoca della Sezione 230 proposta da Trump e dai repubblicani il leviatano ha tirato dalla sua i democratici in nome della libertà di parola.

In realtà la norma, valida solo nei confini degli Stati Uniti, ha creato un “Paradiso legale” perché tutte le grandi compagnie tecnologiche hanno sede lì e il Foro competente è quello americano che la deve applicare.

La tragica fine di Trump adesso, come dicevo, preoccupa chi ha da temere per il proprio domani perché il leviatano informatico è come il cane da guardia di un business economico colossale, stratosferico, con giro d’affari di gran lunga superiore a quello iscritto a bilancio dei propri Governi, organizzazioni, aziende o gruppi, e i suoi padroni hanno in politica una sola legge, quella di Rothschild, che diceva: “Non mi importa chi fa le leggi se controllo i soldi.

E loro i soldi li controllano e adesso col Covid li accrescono in misura esponenziale.