Giuseppi è ai titoli di coda, ieri Renzi ne ha fatto l’elogio funebre e Mattarella lo ha registrato e più d’uno si interroga: “Ma dov’è il tesoretto che custodiva?”

Risposta: “In Puglia, che diamine! Dove potrebbe essere per un pugliese di Volturara?”.

E io in un momento di onnipotenza e di fulgore di Giuseppi lo spiegavo un anno fa con questo post che oggi Facebook mi ricorda.

Eccolo

Accadde oggi, 29 gennaio 2020, un anno fa: Bruno Giri sta leggendo “Final testament”.

“Domani 30 gennaio 2020 scade il tempo massimo concordato da Giuseppi con Arcelor Mittal per chiudere la pratica ILVA.

O con un nuovo contratto da stipulare con l’inquilino franco-indiano che dal 4 novembre dell’anno scorso ha già messo i piedi fuori dall’uscio, oppure scegliere una tra le due soluzioni del dilemma cornuto da far prendere ai tre Commissari Straordinari: o continuare o chiudere bottega.

In tutte quante le ipotesi sul tappeto di Giuseppi a uscirne cornuto e mazziato sarà comunque l’organico fortemente ridotto o addirittura azzerato. 

Questa è la situazione, bisogna esporla con la trasparenza che è alla base del buongoverno.

Però è indispensabile farlo nella maniera più semplice e chiara possibile, per consentire agli elettori di rendersi conto se il governo è davvero buono e evitare di farsi prendere per il culo da uno sciame di sardine come è successo in Emilia Romagna domenica.

Lo dico perché in primavera voteranno gli elettori di sei regioni italiane quattro delle le quali, la Puglia, la Liguria, la Toscana e il Veneto, sono tappe della parabola dell’Ilva, passata dall’autarchia fascista al collasso antifascista di quello che fino alla sua svendita ai privati fatta dai Governi di sinistra era il gruppo pubblico (I.R.I.) a ciclo industriale integrale leader nella produzione e nel commercio dell’acciaio nel mondo.

I nostri progenitori dell’Età del Ferro che all’Elba estraevano il minerale e lo lavoravano a Portoferraio sapevano benissimo che è una attività che sporca e che fa fumo. Lo sapevano i Borboni che la praticavano in Calabria, poi i Savoia che l’hanno portata al nord e distribuita tra Piombino, Genova e Sesto San Giovanni.

Ne erano perfettamente consapevoli anche i tedeschi della Ruhr e i francesi della Lorena con la CECA e poi con la CEE, quella che con il socialista Karel Van Miert, commissario europeo, nel 1995 ha fatto da sponda ai Governi italiani di sinistra nello  smantellare l’IRI e nello svendere l’ILVA (ex ITALSIDER) alla famiglia Riva purchè spegnessero i camini di Cornigliano, Bagnoli e Piombino e continuassero a sporcare e a fare fumo soltanto a Taranto dove c’era già un impianto a ciclo integrale che lo faceva.

Finchè 17 anni dopo il 26 luglio 2012 i Riva finivano in gattabuia perché avevano esagerato e in loro vece lo sporco e il fumo ha continuato a farli la Repubblica Italiana, mentre la politica cominciava anche lei a fare lo stesso, metaforicamente, si intende.

Ci si è messo Letta nel 2013 con la gestione commissariale del Gruppo siderurgico che l’anno prima era finito sotto sequestro penale, poi Renzi nel 2015 con l’Amministrazione straordinaria e un anno dopo con il decreto di vendita e infine Gentiloni nel 2017 con la stipula del contratto di affitto e di futura vendita all’attuale gestore in uscita.

Lo sporco e il fumo della politica, va ribadito, sono metaforici però producono effetti soprattutto reali perché quello che finisce nei polmoni della gente è da sette anni e mezzo, come dicevo, sporco e fumo della Repubblica Italiana la quale grazie allo scudo penale continua a farli evitando che i responsabili finiscano in gattabuia.

Di grillini in libera uscita in Puglia che hanno eliminato lo scudo penale e che vogliono chiudere l’ILVA e mandare i 10.000 metallurgici a coltivare mitili, ce n’è una concentrazione assurda, addirittura il 68 % del totale dei parlamentari eletti il 4 marzo 2018 nel Collegio (42 su 62) a fronte dei 9 FI, 6 PD, 3 leghisti e 1 ciascuno a F.d.I. e L.e.U.

Per capirci uno sciame immenso, di gran lunga superiore a quello che in Emilia Romagna ha rianimato Zingaretti in codice rosso e che ha fatto vincere Bonaccini in affidamento politico.

Però l’operazione “Trapianto” riuscita in Emilia Romagna in Puglia non è neppure immaginabile.

Trapiantare i 2/3 dei voti presi due anni fa dal Movimento delle cinque stelle al PD e L.e.U. che non hanno avuto neppure 1/6 dei consensi sarebbe come trapiantare su una sardina il corpo di una balena.

Ecco perché Giuseppi ha alzato la cresta ed è entrato a gamba tesa in politica.

Lui si è portato a Palazzo Chigi tutti i dossier pugliesi, dai crack di Banca Popolare di Bari e delle Ferrovie Sud Est, dalla TAP, gasdotto in arrivo in provincia di Lecce all’ILVA per aprire il “Cantiere Puglia” con dentro il “Cantiere Taranto” da appaltare a sé stesso come erede “mortis causa” del movimento cinque stelle.

Sappiatevelo.