Su Facebook oggi, venerdì 12 febbraio 2021, leggo il ricordo dell’anno scorso e mi sento Nostradamus.

Le quartine scritte un anno fa si attagliano perfettamente alla coreografia odierna nella quale Draghi in queste ore è intento a compilare la lista dei ministri, dopo aver tirato fuori dall’armadio il vestito bello delle grandi occasioni e aver fatto mentalmente le prove generali della “Grande Investitura” nel salone del Quirinale.

Ecco il mio post profetico.

Accadde un anno fa, 12 febbraio 2020: Bruno Giri sta guardando “Pittore ultra futurista”.

“Se oggi Pelizza da Volpedo si sfilasse dal collo il nodo scorsoio che lo ha strangolato e tornasse tra noi a dipingere il “Quarto Stato” postmoderno dovrebbe ispirarsi a una questione sociale distante anni luce da quella dei tempi suoi, e questo è ovvio.

Non altrettanto pacifico e scontato è invece che riuscirebbe a far convivere nel medesimo dipinto e a tener ferme le varie icone del “lumpenproletariat” dei tempi nostri, un sotto proletariato senza prole.

Alcune di queste figure sono addirittura invisibili, si nascondono per la vergogna, dormono nelle automobili rottamate, rovistano nei cassonetti e combattono la fame alla Caritas.

Altre vivono la quotidiana guerra tra poveri su campi di battaglia disegnati apposta per metterli uno contro l’altro.

Molte altre rimuovono miseria, degrado e emarginazione stordite dall’oppio dei popoli postmoderno, somministrato in pillole di blasfemia e di dissacrazione e dosato dagli algoritmi fino all’overdose di effimero, di superfluo, di fatuo e di artificiale con costi che dissanguano senza uccidere. 

Completa la rassegna delle icone del “Quarto Stato” postmoderno quella di coloro che a pieno titolo ne fanno già parte, però a loro insaputa, perché hanno ancora in tasca il biglietto della Lotteria della Politica che estrarrà il numero vincente il giorno delle elezioni.

Il primo premio è la felice composizione della questione sociale con il ripristino degli equilibri tra aree del territorio, tra generazioni, tra categorie economiche, tra fasce di reddito e soprattutto tra diritti e doveri, però oggi a sorteggiarlo non è lo Stato ma una sua fiction, un mix tra il circo e la moderna riedizione della Corte dei Miracoli.

Agli inizi, nella frazione giallorossa della staffetta, Giuseppi aveva preso in mano il testimone e aveva diviso tra Salvini e “Giggino ‘o Statista” il biglietto vincente della lotteria sul quale era scritto il “Contratto di Governo” tra loro due per eliminare il “Quarto Stato”.

Gli invisibili si dovevano recuperare col reddito di cittadinanza e con lavoro socialmente utile ma anche con pensioni sociali e welfare a misura d’uomo, la pace tra poveri si doveva ottenere con quota 100, con la flat tax e con misure di questo genere, la disintossicazione del modus vivendi e dei consumi fisici e mentali  si raggiungeva col recupero dell’identità nazionale, con la difesa del Made in Italy, con la valorizzazione della nostra cultura e tradizione e soprattutto con la politica della famiglia.

Così l’enorme massa dei retrocessi a loro insaputa al Quarto Stato avrebbe vinto il primo premio della Lotteria nazionale.

A questo punto Pelizza da Volpedo ha profeticamente immortalato gli sviluppi successivi in un altro suo famoso dipinto, “Lo specchio della vita” con sottotitolo “E ciò che fa la prima, e le altre fanno”, un passo del Canto III° del Purgatorio nel quale il Poeta incontra Manfredi re del Regno di Sicilia e dell’Italia Meridionale, un personaggio che quanto a scomuniche batte Salvini 3 a 1, Innocenzo, Alessandro e Clemente tutti Pontefici al numero IV° a fronte di un Francesco al I° che per ora la sua scomunica la trattiene “in pectore” ma la pratica nel suo magistero quotidiano.

La profezia sta nel seguito del verso dantesco che descrive il comportamento del gregge con Beppe Grillo nascosto dentro la prima pecorella: “addossandosi a lei, s’ella s’arresta, semplici e quete, e lo ‘mperché non sanno.

Il gregge non lo sapeva, lui sì ‘mperché ci s’arrestava a ogni capitolo di repertorio del burlesque satirico che il comico aveva trasferito dall’avanspettacolo al teatrino della politica.

Gli show di mille tournée sui palchi di mezzo mondo ripresi e amplificati da tv e media erano diventati parabole del Vangelo del movimento politico e comandamenti del suo decalogo.

Luoghi comuni, paradossi, contorsioni e salti mortali logici e tecnici, e soprattutto nonsenso contro buonsenso, al di là degli orizzonti della politica.

Salvini si è ribellato ed è diventato pecora nera, Giorgia e il Cavaliere si erano già staccati dal gregge e annerivano anche loro.

La difficoltà del redivivo Pelizza da Volpedo nel dipingere un nuovo “Quarto Stato” è tutta qui, si chiama Ilva, Whirpool, banche popolari, NO TAV, no Prescrizione, no ZLS (Zone Logistiche Semplificate), no Stadio Roma, no ZES (Zone Economiche Speciali), no Gronda Genovese, no Autostrade, no Olimpiadi, e le sue icone sono le vittime di questo olocausto sacrificato alle parabole evangeliche del comico genovese e tutto sommato possono avere una figura umana.

Nulla di umano, invece, ha ormai il gregge nel suo insieme, con 67 pecorelle che nascono mentre ne muoiono 100, con le porte del recinto spalancate ai lupi della droga, del caporalato, della prostituzione, della violenza veicolate dall’immigrazione selvaggia, e con un melting pot incontrollato, informe e senza freni al quale neppure un pittore maledetto, bohémiens dalla miseria, saprebbe dare un volto e una immagine.

Ecco perché nella pinacoteca del Quirinale questo dipinto del nuovo “Quarto Stato” non è mai arrivato.

Post scriptum: Nelle tre giornate di consultazione Draghi ha ascoltato tutti, compresa la prima pecora, in carne ed ossa e digitale, e anche quella nera che va all’opposizione, ma non è riuscito a consultare il “Quarto Stato” postmoderno nascosto, invisibile e inafferrabile anche dal Principe dei Banchieri che nessun pittore potrà mai dipingere.