Indispensabile premessa

Il virus della politica mi è entrato nel sangue 55 anni fa e non sono più riuscito a liberarmene.

Col tempo mi sono reso conto di poter sopravvivere alla malattia, a patto di conoscerla e di tenerla sempre sotto controllo, come per l’AIDS.

Oggi senza peccare di superbia mi considero un esperto in tecniche di sopravvivenza, al punto da mettere sul web i segreti dell’arte.

Ho deciso di farlo sotto forma di stage formativo offerto a tutti indistintamente i miei concittadini inconsapevoli dei rischi che corrono quando decidono di “scendere in campo”.

Le elezioni comunali a Sanremo sono il laboratorio ideale per mettere in pratica una teoria distillata per esigenze didattiche in brevi cicli tematici.   (Bruno Giri)

 

 

Lezione n. 1  : La politica a Sanremo

 

Nei decenni i luoghi, i soggetti e le regole sono profondamente cambiati ma la peculiarità della politica sanremese è rimasta intatta, riassumibile nell’aneddoto di Bacì che sulla cima del molo a Domineddio che gli propone di soddisfare qualsiasi suo desiderio a condizione di dare il doppio al suo avversario, gli risponde senza esitazione : “Signore, cavami un occhio !”.

Qui la politica è sempre “contro” qualcuno o qualcosa, perché è molto più facile demolire qualcosa che costruirla.

Ma c’è di più : se ti azzardi a proporre una qualche idea, sei accusato di avere il tuo bel tornaconto personale, naturalmente illecito.

Così, priva di idee e di progetti, la politica sanremese è stata quasi sempre uno sport, che si giocava tra molte squadre, tutte contemporaneamente sul medesimo campo, talvolta allineate su fronti comuni e talaltra isolate una dall’altra, all’interno delle quali si fronteggiavano bellicose correnti capeggiate da uno o più caporioni.

Quando la partita diventava impossibile o perché qualcuno era incappato nel codice penale o perché col dissolvimento delle maggioranze il pallone era finito in tribuna, ecco intervenire, sotto forma di commissario, l’arbitro romano o imperiese a rimettere le cose a posto.

I campi sui quali si giocavano le partite sono sempre stati quelli classici dei Partiti e dell’Amministrazione pubblica, mentre per il Parlamento il gioco dei veti incrociati ha fatto sì che Sanremo solo rarissimamente esprimesse un deputato o un senatore.

I verbi sono al passato perché con la Seconda Repubblica le cose sono cambiate, però in peggio.

Intanto, sono scomparsi i Partiti come luoghi di scontro ma anche di mediazione, all’interno dei quali, bene o male, maturavano idee ed iniziative, che poi venivano travasate nell’attività amministrativa.

I Partiti erano a Sanremo scuole di amministrazione più che di politica, nelle quali le sezioni corrispondevano alle elementari, il comitato comunale al liceo e quello provinciale all’università. 

Solo dopo una lunga gavetta di Partito i più preparati ed abili venivano messi in lista alle elezioni comunali e provinciali, pronti per una seconda gavetta di amministratori pubblici prima di essere introdotti nella vera e propria “stanza dei bottoni” cioè, se in maggioranza, in Giunta, nelle Commissioni e nei Consigli di Amministrazione e,  se in minoranza, nei “posti di sottogoverno che contano”.

Ma la stessa Pubblica Amministrazione è profondamente cambiata, perché adesso il Sindaco è eletto direttamente dai sanremesi e non più dalle maggioranze consiliari che, è vero, ne condizionavano pesantemente l’azione ma,  però, almeno lo tenevano sotto controllo.

Una volta le Giunte si formavano all’interno dei Consigli, attraverso sapienti dosaggi, frutto di reciproci condizionamenti ma pur sempre strumento di selezione dei più forti, anche se non sempre dei migliori.

Oggi, invece, l’Esecutivo viene direttamente nominato dal Sindaco, i suoi membri sono incompatibili con la posizione di consigliere comunale e rispondono non più all’assemblea ma a chi li ha nominati.

Inoltre il sistema elettorale contiene correttivi volti a rafforzare ulteriormente il potere personale del Sindaco sotto forma di ballottaggio tra i primi due candidati più votati, di premio di maggioranza per il vincitore e di automatico scioglimento del Consiglio e della Giunta per effetto delle sue dimissioni.

Benché il Sindaco di oggi, a differenza degli antichi Podestà, sulla carta non disponga più del potere di gestione, che la legge ha trasferito ai vertici della burocrazia, ma abbia unicamente quelli di indirizzo e di controllo sull’operato dei dirigenti, in realtà egli tiene ancora saldamente in pugno ogni potere attraverso lo “spoyl sistem” che comporta la designazione e la nomina dei Dirigenti, anche esterni, e soprattutto del Direttore Generale o “City Manager”.

A scardinare il vecchio sistema amministrativo sono poi intervenuti ulteriori correttivi, come la preferenza unica, che ha eliminato le quaterne, madri delle correnti di Partito, e soprattutto lo svuotamento di potere dei Consigli spesso ridotti a palestre di sterili discussioni mentre chi decide è la Giunta, oltre tutto liberata dall’asfissiante controllo preventivo del CORECO.  

Tutto questo in una città normale avrebbe snellito e semplificato le procedure, avrebbe reso meno difficile il compito degli amministratori e dei burocrati ed avrebbe contribuito a ridurre il sottobosco di faccendieri e di portaborse che con il pretesto della politica intasavano le segreterie, i corridoi ed il bar e facevano affari non sempre limpidi.

A Sanremo, no, per le ragioni che cercherò di approfondire nelle tre lezioni successive e che riguarderanno :

·        burattini e burattinai nel teatrino della politica sanremese

·        l’economia del desbaratu

·        la politica manichea.

In sostanza, non solo nulla è cambiato ma paradossalmente le novità hanno accentuato gli aspetti negativi della politica sanremese, che nel Sindaco eletto direttamente dal popolo ha trovato un paravento e un parafulmine, più che un condottiero capace di mediare e di tenere saldamente in pugno le situazioni.

 

Lezione n. 2 : burattini e burattinai nel teatrino della politica sanremese

 

La presenza di lobby più o meno occulte non è una novità in una nazione nella quale il conflitto di interessi è diventato la principale ragione del contendere tra maggioranza e opposizione, come se non ci fosse nient’altro a cui pensare.

Con la differenza che a Sanremo i burattinai, espressione  delle lobby, cambiano con la stessa velocità con la quale i burattini si avvicendano sulla scena.

Cinquant’anni fa a tirare i fili erano, sui vari fronti, le parrocchie, divise da antiche rivalità sotterranee, le associazioni cattoliche, i sindacati confederali e soprattutto quelli floricoli, le categorie dei commercianti e degli albergatori, gli ordini professionali, il Casinò, le due famiglie massoniche di Palazzo Giustiniani e di piazza del Gesù, alcune società sportive e le scalpitanti aggregazioni degli immigrati, quasi tutti provenienti dal Meridione, Sicilia, Abruzzo, Calabria, Campania e una nutrita schiera dal Piemonte.

Questo alla luce del sole.

Dietro alle quinte però agivano : il gestore privato del Casinò, per un lungo periodo e praticamente da solo, e poi gli appaltatori di lavori pubblici ed i costruttori, perché a quell’epoca a Sanremo l’edilizia era attiva e lo sarebbe stata per vent’anni ancora, più o meno fino alla legge Bucalossi.

Ben presto, inoltre, con l’inserimento nei Capitolati d’appalto del Casinò dei fondi turistici e per manifestazioni e degli accantonamenti “anteriparto”, alle lobby degli impresari edili si aggiunse quella degli impresari artistici e dei procuratori sportivi, che erano una vera potenza al punto da riuscire a scalzare il gestore della Casa da Gioco.

Fino agli inizi degli Anni Novanta questo binomio ha funzionato egregiamente, soprattutto sul fronte del turismo e delle manifestazioni, grazie anche al boom economico del Festival della Canzone esploso a metà degli Anni Ottanta, mentre l’edilizia agonizzante riceveva in quello stesso periodo una boccata d’ossigeno dal nuovo Piano Regolatore Generale  entrato in vigore il 27 maggio 1980.

Col passaggio dell’organizzazione del Festival alla RAI e col sedimentarsi del Calendario delle Manifestazioni su voci di spesa ormai intoccabili gli anni ruggenti degli impresari artistici sono cessati d’incanto e la mancanza di attrezzature ha eliminato la presenza dei vari procuratori sportivi.

Quanto all’edilizia, tutte le grandi imprese sanremesi del passato o hanno chiuso o sono fallite mentre nel campo degli appalti le poche superstiti si accontentavano delle briciole alla mensa di alcune importanti Imprese di livello nazionale ed internazionale impegnate nella costruzione del Mercato dei Fiori, del Carcere di Valle Armea, dell’“Aurelia bis” e della ferrovia a monte.

Dietro le quinte ormai deserte si è allora aperto - dopo il 1993 - un inedito nuovo franchising,  favorito da Tangentopoli, che a Sanremo praticamente non c’è mai stata ma che ha travolto le “Case Madri” partitiche a livello nazionale tagliando i ponti tra la periferia ed i grandi  franchisor democristiano, comunista, socialista e via dicendo.

E’ così che i burattini del teatrino della Prima Repubblica si sono trasformati in burattinai di sé stessi, collegandosi con le formazioni nazionali che, di volta in volta, nascevano  e scomparivano.

Alla falange di questi politici riciclati si è poi aggiunta anche a Sanremo la legione degli imprenditori e dei professionisti  “prestati alla politica” nel ruolo di promotori di sé stessi e del “club” costituito nella ristretta cerchia dei familiari e degli amici intimi.   

Così, in questa confusione di uomini e di etichette, la Seconda Repubblica a Sanremo non ha potuto ripristinare il “gioco di ruolo” dei cinquant’anni precedenti, nel quale c’erano un paio di registi, un certo numero di burattinai e moltissimi burattini.

Oggi il gioco delle parti è capovolto perché con la scusa della managerialità i burattini di una volta si sono messi a tirare i fili degli antichi burattinai, che ora si chiamano “sponsor”, trascinandoli nelle spericolate avventure dell’economia mista ed innovativa, il tutto sotto lo sguardo distratto di un plotone di registi, referenti dei due poli e delle tante altre piccole e grandi Chiese nazionali.

Così, cinquant’anni dopo i “grandi elettori” sono scomparsi; le parrocchie storiche che hanno fatto la storia cittadina contano poco o nulla; le associazioni cattoliche hanno lasciato il posto a quelle del volontariato, refrattarie a sollecitare e ad essere sollecitate; i sindacati confederali e soprattutto quelli floricoli attraversano una eclissi irreversibile, speculare alla crisi del mercato del lavoro e della floricoltura; le associazioni dei commercianti e degli albergatori sono divise e politicamente deboli; gli ordini professionali non contano più nulla in politica, con l’unica eccezione dei medici, che però ora sono talmente inflazionati da neutralizzarsi a vicenda; il Casinò, ora che i Partiti sono morti, ha perso le grandi “correnti” che per decenni ne avevano pesantemente influenzato la vita; le due famiglie massoniche di Palazzo Giustiniani e di piazza del Gesù si limitano ormai a mettere lo spolverino su decisioni altrui; le società sportive, una volta scoperto il gioco del collateralismo alimentato dai contributi, sono finite sotto controllo e si sono ridotte a scatole vuote; le associazioni degli immigrati sono scomparse, tutti sono diventati sanremesi a pieno titolo, salvo qualche pittoresca e caricaturale individualità, mentre c’è già chi guarda con interesse agli extracomunitari.

In definitiva, la fine del vecchio teatrino della politica a Sanremo non ha liberato energie nuove in grado di restituire alla città il look perduto e di elaborare strategie per il rilancio dell’economia.

Senza aver fatto la gavetta politica, priva dell’indispensabile tirocinio amministrativo, attratta da diseducanti esempi di strepitose ed irripetibili carriere personali e convinta che la politica non sia un servizio reso alla collettività ma il trampolino di lancio per giovani esordienti oppure la sine cura per una agiata vecchiaia, la nuova classe dirigente cittadina balla sulle ceneri di un mondo ormai definitivamente tramontato.

Nel mondo che è sorto l’ultimo degli imbecilli, non importa se di destra, di centro, di sinistra, di centro-destra o di centro-sinistra, ha nella borsa firmata un bastone da maresciallo a condizione di genuflettersi al franchisor romano ed al suo rappresentante locale, di partecipare in devoto raccoglimento alle liturgie che danno il senso dell’appartenenza e di recitare con convinzione le giaculatorie distillate dal pensiero lib-lab che va sempre bene e si porta su tutto.

   

 

Lezione n. 3 : l’economia del desbaratu

 

Professionalmente ho avuto la ventura nella mia esistenza di lavorare negli Anni Sessanta nel Casinò gestito da privati, di dirigere il dazio nel decennio successivo, di mandare avanti subito dopo i Settori formazione professionale, lavoro ed assistenza scolastica della Regione a Genova per poi passare al consorzio sanremese per le deleghe regionali in agricoltura fino agli inizi degli Anni Novanta e tornare quindi per un paio d’anni a Genova in Regione alla direzione del Servizio controllo interno, finanziario ed operativo, dell’Ente.

Dunque, la mia parabola lavorativa è stata parallela alla curva discendente dell’economia sanremese.

Come se non bastasse, tra il 1950 ed il 1993, ho fatto parte di tutti gli organi politici decisionali della Democrazia Cristiana a partire dalla sezione del mio quartiere, la Foce, fino alla Direzione regionale ligure passando attraverso i comitati comunale e provinciale e le direzioni di  Sanremo e della  provincia di Imperia, e occupando in quest’ultima per molti anni la carica di vice-segretario provinciale così da meritare il soprannome di “Vicario”.

Sul terreno amministrativo ho fatto parte per tre lustri del consiglio comunale di Sanremo e per cinque anni, tra il 1984 ed il 1989, come assessore ho avuto la responsabilità dell’urbanistica e per sette anni sono stato amministratore della società che ha contribuito a realizzare il mercato dei fiori di Valle Armea.

Dunque, sono tanti gli osservatori privilegiati dai quali ho potuto assistere al progressivo declino ed alla definitiva stagnazione dell’economia di Sanremo che definirei del desbaratu, cioè della svendita dell’argenteria e dei gioielli di famiglia.

 

v                Il Casinò : la gallina dalle uova d’oro.

 

Al Casinò ho lavorato fianco a fianco con i migliori employès del mondo : Gandolfi, Scarella, Cavallero, Martini, Ardoino, Lupi, Scalabrini, Carlo, Olivieri, Raffaelli e tanti, tanti altri. Ho visto la migliore clientela del mondo, ospitata nei grandi alberghi ed attratta non soltanto dall’azzardo ma dai galà, dalle grandi gare di tiro, da spettacoli e manifestazioni straordinarie, impeccabilmente organizzate.

La nostra Casa da gioco era l’unica al mondo ad aprire anche cinque tavoli di chemin de fer tutti i giorni dell’anno, al pomeriggio e poi alla sera, con partite che spesso terminavano all’alba e nelle grandi occasioni quando il sole era già alto.

La politica, un decennio dopo l’altro, ha svenduto la gallina dalle uova d’oro, dapprima torchiando il gestore privato per poi allentare la presa in cambio di assunzioni e promozioni che hanno finito con l’intasare l’azienda, squilibrare l’organico a favore della fureria e a danno della sala da gioco e abbassare paurosamente il livello qualitativo del servizio e la professionalità degli addetti. Fallito il privato, sono subentrate a completare l’opera le Commissioni Amministratrici zeppe di politici ed i Commissari prefettizi.

Il frenetico avvicendarsi di gestori provvisori, tutti politici o burocrati politicizzati, ha impedito la pianificazione aziendale di medio e lungo termine, resa necessaria dal mutamento della clientela, dei collegamenti, della concorrenza e della tipologia dei giochi. 

Così, a distanza di trent’anni, ancora oggi il Casinò non dispone di un adeguato parcheggio e di una dependance estiva e per i giochi americani e soprattutto è privo di strategie sul personale e sull’offerta del prodotto in generale che vadano al di là di un miope business plan destinato a restare sulla carta.

La stessa novità delle slot machines, che non abbiamo inventato noi e che ha salvato l’azienda, è stata introdotta male, tra mille resistenze perché non produce mance e richiede poco personale, in locali inadatti non solo funzionalmente ma soprattutto per una questione di immagine e di commistione tra generi di clientela completamente diversi.

Oggi la gallina ha perso molte piume ma non è morta. Con le sue uova d’oro riesce ancora a tenere in piedi l’azienda ed a finanziare tutto e tutti. Tranne un pollaio sempre più obsoleto, sottodimensionato per un Casinò di massa e sovradimensionato per un Casinò di élite. In mano a persone che con i politici delle vecchie Commissioni Amministratrici e con i Commissari prefettizi di una volta hanno una cosa fondamentale in comune, quella di far pagare a Pantalone i propri errori e di non rischiare mai in proprio.

Prima o poi la legge sui giochi in discussione in Parlamento, la prevedibile apertura di nuovi Casinò e la liberalizzazione delle slot machines ci coglieranno impreparati di fronte ad una nuova realtà nella quale a fare le uova d’oro saranno le galline degli altri.  

 

v                La floricoltura, nobile decaduta.

 

Ogni tanto la mia nostalgia va al fronte dei floricoltori schierato contro gli avidi “baroni” delle varietà e gli esosi esportatori, in una Sanremo dalle colline ricoperte di serre, vetrine e colture in pien’aria, nella quale tutte le mattine attorno al mercato di corso Garibaldi l’esercito contadino, come il sangue di San Gennaro, si scioglieva in mille rivoli diretti agli “scagni” dei commercianti per consegnare fiori in cambio di bigliettini sui quali erano scritte le promesse di pagamento.

La ricchezza dei campi era forse mal ripartita ma esisteva veramente.

Il genio dei nostri ibridatori creava a getto continuo meravigliose varietà, soprattutto di rose e di garofani, battezzate con nomi altisonanti nel corso di sontuose cerimonie.

Sarà forse per questo che li chiamavano “baroni”, ma è certo che meritavano davvero un titolo nobiliare perché rappresentavano l’aristocrazia del fiore di Sanremo nel mondo e giustamente il loro feudo era la capitale della Riviera dei fiori.

Un mercato è forte se è forte la domanda”, usavano ripetere i vecchi esportatori molto tempo prima che inventassero il mercato telematico, e lo dicevano come per giustificare la loro presenza in giacca e cravatta in mezzo a gente di campagna.

In realtà la loro era una intermediazione preziosa come può essere quella di ambasciatori dei fiori di Sanremo nel mondo, a partire dalla ricca Germania per andare alla Svezia, all’Austria, all’Inghilterra ed alla stessa Olanda, senza trascurare il nostro mercato interno.

D’estate, quando il mercato languiva, i clienti più importanti scendevano a frotte dal Nord come ospiti, contribuendo non poco al successo di un turismo che era ancora elitario.

Ai floricoltori di Sanremo il boom degli Anni Sessanta ha ben presto affiancato e sostituito quelli abruzzesi, grandi lavoratori e attenti osservatori, che hanno rapidamente acquisito la medesima professionalità dei primi, contribuendo a mantenere alto il livello qualitativo della produzione.

Non è facile stabilire quando, e ad opera di chi, ha avuto inizio la decadenza della floricoltura sanremese che ha portato alla svendita del suo bene  più prezioso ed irripetibile : la terra.

E’ un fatto che a partire  dalla metà degli Anni Settanta le nuove generazioni hanno cominciato a voltare le spalle al mestiere dei padri, attratte dal miraggio della camicia bianca e del lavoro intellettuale, così che è venuto sempre più a mancare nelle aziende floricole il ricambio generazionale.

Proprio in quel periodo iniziava il boom della floricoltura olandese e dei mercati di Aalsmeer e di Nalswick, realizzati e gestiti dalle cooperative dei produttori con formule innovative che saranno applicate in Valle Armea solo vent’anni dopo,  provocheranno  un processo non ancora concluso per truffa alla Comunità Europea e allo Stato e soprattutto non riusciranno a farci recuperare il tempo perduto.

La concorrenza olandese ha avuto su di noi effetti devastanti, ma il colpo di grazia è venuto dalla legge sui patti agrari che ha reso l’affittuario padrone in casa d’altri, al punto da far preferire ai proprietari di aziende e di terreni agricoli il mantenerli incolti piuttosto che darli in affitto.

E’ così che gli esportatori non potendo più contare sulla produzione locale per soddisfare la richiesta dei loro clienti hanno cominciato a rifornirsi in sempre maggior quantità sul mercato estero e ad attingere da altre produzioni nazionali, spesso contrabbandate come “fiori di Sanremo”.

La nobile decaduta ha allora cominciato a svendere i gioielli di famiglia : col Piano Regolatore Generale del 1980 interi comprensori floricoli sono finiti nelle zone Bc di completamento la cui normativa transitoria consentiva di costruire lottizzazioni turistico-alberghiere ben presto trasformate in seconde case; oppure sono diventati zone C di espansione residenziale o qualcos’altro ancora di diverso dalla utilizzazione floricola.

Finiti i gioielli, col nuovo Piano Regolatore, il famigerato P.U.C., la svendita è passata all’argenteria ed ai soprammobili : le aree floricole estese ancora per 2.220 ettari, non sono neanche più catalogate o regolamentate come tali e su di esse è possibile costruire con gli indici della cosiddetta “edilizia rada” che consente un edificio ogni 2.000 metri quadrati di superficie.

Chissà dove sono finiti i “baroni”, gli esportatori ed i floricoltori di una volta, ora che non c’è quasi più terra da coltivare ?  Me lo chiedo ogni tanto ed ho sempre solo una risposta : “Saranno andati ad incrementare le fila dei tanti sanremesi dispersi nel mondo alla ricerca di una fortuna e di un benessere che avevano a portata di mano in casa, se solo vi fosse stata un po’ più di lungimiranza da parte di tutti, e specialmente dei politici.”

 

v                Il turismo a Sanremo : vu cumprà ?

 

A Sanremo la storia del turismo è la storia della città.

Inutile ripercorrerne le tappe, perché ne parlano i muri dei grandi alberghi e delle ville d’epoca, le eleganti infrastrutture sportive ed i nomi delle strade più famose.

Peccato che di tutto ciò sia rimasto ben poco, perché gli alberghi sono stati trasformati quasi tutti in residences o in seconde case o nella sede di enti pubblici. Quanto alle ville, molte sono sopravvissute, ma in mediocre stato di conservazione, mentre di alcune tra le residenze più prestigiose è rimasto soltanto il nome e qualche albero del parco.

D’altra parte anche gli impianti di tennis, tiro a volo, golf, ippica e calcio hanno seguito la medesima parabola discendente, pur conservando ancora i tratti dell’antica nobiltà perduta.

Ma sono soprattutto le strade ed alcuni luoghi-simbolo a testimoniare la fine di un’epoca, quella del turismo elegante, di elite, dei villeggianti che svernavano nei grandi alberghi e nelle ville prestigiose e degli eventi storici che attiravano su Sanremo l’attenzione universale.

Eppure questo mondo, seppure riciclato e ridimensionato da due conflitti mondiali, da una rivoluzione russa e dalle grandi trasformazioni politiche, sociali ed economiche della prima metà del “secolo breve”, era riuscito ad arrivare quasi indenne fino all’inizio degli Anni Sessanta.

Addirittura, nello squallore e nella desolazione del dopoguerra Sanremo era riuscita a riorganizzare la propria offerta turistica, attirando nelle sale da gioco e nel “Jardin d’hiver” del Casinò  e nei grand’hotel cittadini molti finanzieri, petrolieri e capitani d’industria, i borghesi arricchiti, la cosmopolita società mediterranea e levantina dei mercanti e degli affaristi ed un insospettato esercito di benestanti attratti dai simboli della ricchezza dopo le privazioni e le rinunce del lungo periodo bellico.

E’ stato un lampo e subito dopo ha avuto inizio il desbaratu fino a raschiare il fondo del barile.

Tutto è cominciato quando il gestore del Casinò ha visto progressivamente ridotta e poi eliminata ogni sua influenza sulla politica sanremese.

Fino a quel momento dietro le quinte c’era sempre stato unicamente lui, a dettare ai burattinai locali di maggioranza e di opposizione le strategie da seguire in campo turistico, strategie che vedevano la Casa da gioco al centro di tutto.

Sennonché ad ogni scadenza della concessione i burattinai cambiavano, non erano più a Sanremo ma a Roma, a dettare a loro volta le condizioni per dribblare la gara di appalto e proseguire con il rinnovo della concessione per un congruo numero di anni.

In cambio, il Festival della Canzone Italiana, di proprietà del gestore, è uscito dalla Casa da gioco ed è stato affidato all’organizzatore designato da Roma, sempre meno interessato al gioco d’azzardo.

Ma non è questa l’unica manifestazione del formidabile Calendario invernale e primaverile di allora ad uscire dall’orbita del Casinò e ad entrare in quella del Comune e quindi della politica.

Però, grazie a Dio, fino a quando gli albergatori ed i commercianti hanno avuto un peso sulla politica il cambiamento ha inciso pochissimo sulla offerta turistica, perché era loro interesse favorire calendari orientati sul Casinò.

Ma ben presto non è stato più possibile rinnovare tacitamente la concessione dell’azzardo e per vincere la gara e salvare il salvabile il gestore è stato costretto ad aumentare di dieci punti il canone, portandolo all’83 %, cioè al suicidio finanziario che, infatti, è intervenuto dopo pochi anni sotto forma di fallimento.

Con l’ingloriosa fine dell’ultimo Gattopardo privato, la politica ha messo le mani sul Casinò e non le ha più tolte fino ad oggi.

I riflessi si sono subito visti : a colmare il vuoto, si sono installati dietro le quinte i costruttori, pronti a svendere castelli, ville e interi pezzi di litorale ed a rilanciare ciò che Italo Calvino aveva descritto in uno dei suoi più realistici racconti dal titolo eloquente : “La speculazione edilizia”.

Parallelamente la redditività di uno spettacolo o di una manifestazione non è più stata misurata, come si faceva in passato, secondo il parametro delle presenze nella Casa da gioco dalla quale, in definitiva, provenivano i soldi spesi per organizzarla.

A significare che dietro le quinte a dividersi la torta dei fondi turistici si erano insediati anche gli organizzatori di manifestazioni e di spettacoli, con una presenza che perdura tuttora.

Intanto, una dopo l’altra, tutte le grandi infrastrutture turistiche ereditate dai Podestà tra le due Guerre Mondiali o chiudevano come la “funivia più lunga del mondo” e il tiro al piccione, oppure imboccavano strade opposte rispetto a quella percorsa dalla Casa da  Gioco, come se fossero stati su pianeti diversi.

Portosole, unica infrastruttura turistica realizzata in controtendenza in quel periodo, è un altro esempio del desbaratu di un ampio tratto di costa e dell’ambiente incontaminato che lo sovrastava, ricco di splendide ville e di parchi secolari, senza soluzione di continuità.

In altri tempi il porto turistico sarebbe stato costruito sotto il Casinò nella prospettiva del trasferimento a monte della ferrovia e di un collegamento diretto con il centro, anche per valorizzare i prestigiosi negozi, i pubblici esercizi e gli alberghi esistenti.

Unica controindicazione era quella del radicale ridimensionamento delle “opere a terra”, che erano invece il vero obbiettivo di chi costruiva su terreno demaniale e non si accontentava dei proventi dei posti barca.

La scelta è così caduta su un tratto di costa privo di tutto  e sul quale era necessario costruire tutto, salvo poi vedersi prima bocciare e poi drasticamente ridimensionare dalla Regione i vari progetti e finire sulle secche di interminabili diatribe giudiziarie.

Il caso Portosole è la metafora della politica sanremese nella quale poche persone fanno una scelta sbagliata a beneficio di qualcuno al quale non si può dire di no, e subito dopo, quando non è più possibile tornare indietro, piovono le critiche oppure saltano fuori le controindicazioni a bloccarne la conclusione, così che il tutto rimane incompiuto per decenni.

Il caso delle spiagge e delle passeggiate a mare è emblematico se raffrontato all’esempio di Nizza e della Promenade des Anglais.

Non occorreva la genialità della dinastia dei Mèdècin per capire che la soluzione ideale, verso cui nei decenni doveva tendere il turismo sanremese, era quella di una passeggiata da Capo Verde a Capo Nero, al di sotto la quale vi fossero stabilimenti balneari e ritrovi sul mare, a fianco della quale vi fosse una pista ciclabile e sopra di essa una strada riservata al traffico automobilistico interno ed ai mezzi pubblici, mentre tutto il traffico pesante e quello di attraversamento dovevano essere convogliati sull’“Aurelia bis” tra Taggia e Ospedaletti, con almeno quattro svincoli da e per il Centro cittadino.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e neppure l’acquisizione delle aree ferroviarie dismesse potrà servire a molto per correggerlo.

Il bilancio della svendita è desolante : i fondi del Casinò che dovrebbero servire ad incrementare i proventi attirando la miglior clientela sono spesi in spettacoli e manifestazioni destinate al popolino senza la minima ricaduta sulla Casa da Gioco.

Perchè, secondo una leggenda metropolitana risalente agli Anni Sessanta quando era di moda l’interpretazione severa del Capitolato per fiaccare la resistenza del gestore privato, questi fondi non possono essere investiti in infrastrutture turistiche ma esclusivamente in spese di produzione cioè in spettacoli.

Come dire : visto che siamo obbligati a spenderli in manifestazioni, li spendiamo come vogliamo, e in certi casi, a quanto pare, come vuole l’impresario che sta dietro le quinte.

Dello stato desolante delle infrastrutture turistiche ho detto e del cosiddetto “Teatro del Mare” è meglio tacere; resta da dire a questo punto ed a svendita esaurita, che sarebbe più serio invitare i turisti a non venire nella nostra città, perché è rimasto poco da vedere e per evitare brutte figure.

A meno che i turisti non intendano andare al Casinò a giocare e sempre che, nel frattempo, qualche politico non decida di svendere anche lui, magari a qualche vu cumprà vestito da manager rampante.

 

v    Commercio e pubblici esercizi : l’ultima spiaggia.

 

A Villa Zirio nell’ufficio che era stato il salotto del Kaiser Guglielmo II° ho avuto la ventura di dirigere per sei anni l’ultimo dazio di Sanremo, prima che la riforma tributaria lo sopprimesse per sempre.

E’ stata un’esperienza straordinaria perché vissuta sullo spartiacque tra due realtà in movimento, quella dei negozi che avevano fatto la storia della città, immortalati, con insegne in inglese e francese, negli sbiaditi dagherrotipi color seppia della “Famija Sanremasca” e quella ancora all’orizzonte dei supermercati e delle grandi catene commerciali, anonime e senza volto.

Tra il 1967 ed il 1972 ho visto chiudere gli ultimi storici negozi ed esercizi pubblici ed ho avuto il privilegio di firmare l’abbonamento col primo supermercato di Sanremo.   

Ogni volta che arrivava sul mio tavolo la comunicazione di chiusura di uno di quei negozi, magari per lasciare il posto ad una banca, mi si stringeva il cuore, perché sentivo che ad essere svenduto era un pezzetto della storia e dell’immagine di Sanremo.

Ma, per fortuna, non sempre vi è stata svendita, perché ogni tanto il vecchio negozio veniva sostituito da un nuovo locale quasi sempre straordinario per eleganza, stile e richiamo.

A far compere ho visto arrivare - ed ancora oggi certamente arrivano seppure in numero minore -  i più bei nomi del jet set internazionale, della mondanità e dell’economia, però partendo da Montecarlo e dalla Costa Azzurra e ritornandovi subito dopo, velocemente.

Negozi che non sfigurerebbero sicuramente in via Condotti o in via Montenapoleone e che sono lo “zoccolo duro” e l’ultima spiaggia dell’economia cittadina perché, non ostante tutto, riescono ancora a richiamare lo shopping più raffinato ed elegante.

Ma non è sempre e dappertutto così perché il fenomeno riguarda poche isole felici, mentre nel resto del territorio i negozianti hanno ceduto locali e licenze ai supermercati, alle banche, ai concessionari di automobili ed alle agenzie immobiliari che sorgono come funghi un po’ dappertutto.

Nei vari quartieri cittadini interi fronti stradali, prima illuminati e vivi, alla sera e nei week-end si spengono e si addormentano, perché i nuovi venuti abbassano le saracinesche e staccano l’interruttore.

A resistere sull’ultima spiaggia vi sono anche i pubblici esercizi, ristoranti, pizzerie, gelaterie e bar, che sul piano della qualità e dei prezzi non temono rivali, anche se Sanremo negli ultimi trent’anni ha visto chiudere alcune tra le antiche glorie dell’alta cucina internazionale come il “Pesce d’oro”, il “Rendez-vous” e “Pastorino”, per citare quelli che ricordo e che erano il nostro fiore all’occhiello.

A prezzo di enormi sacrifici finanziari e personali, i gestori degli stabilimenti balneari contribuiscono non poco a questa resistenza, reagendo al più grosso desbaratu ambientale mai effettuato sul nostro territorio, quello del litorale.

Qui le scogliere artificiali la fanno da padrone, mentre tutti sanno che contro l’erosione delle coste la miglior difesa è l’arenile, ovviamente protetto e alimentato da scogliere sommerse ed emerse al largo, opportunamente orientate rispetto alle correnti dominanti e prevalenti.

Il miglior esempio lo abbiamo negli stabilimenti balneari realizzati nella Belle Epoque al Morgana ed all’Imperatrice.

Il fatto è che a Sanremo le scogliere, anche se costruite nel posto sbagliato, non proteggono la costa di tutti, ma quella riservata a pochi, cioè agli alveari di alloggi-cabine e seconde case, ai tanti porti, porticcioli, approdi, piscine e pontili che i privati si sono accaparrati nel tempo.

In sostanza, il commercio è forse l’unico settore della nostra economia che ha saputo reggere la sfida del tempo e rinnovarsi, anche grazie alla clientela francese ed alle campagne pubblicitarie dei numerosi supermercati.

Non a caso si tratta di un settore affrancato dalla politica anche se da decenni paga a caro prezzo le conseguenze delle scelte errate dei politici.

Ma anche questa risorsa ha un limite, perché Sanremo rischia di trasformarsi in un paesone di bottegai, osti, pizzaioli, gelatai e bagnini al servizio del turismo massificato, com’erano vent’anni fa certe cittadine della costa adriatica, con la differenza che noi non abbiamo tradizione, infrastrutture, spiagge e retroterra per il turismo di massa.

 

Lezione n. 4 : la politica manichea.

 

 

In questi giorni un autorevole esponente politico di Sanremo ha aperto la campagna elettorale amministrativa per la sua coalizione ammonendo gli elettori a non votare per quella antagonista perché sarebbe equivalso a tagliarsi i testicoli per far dispetto alla moglie.

Un modo elegante per chiedere a Domineddio di cavargli un occhio.

Lo stesso esponente ha paragonato il proprio candidato sindaco “libero professionista prestato alla politica”  al Podestà Agosti, come lui ingegnere ed autore delle più importanti opere pubbliche del primo dopoguerra, dimenticando che quel gran galantuomo pose fine tragicamente ai suoi giorni per non essere stato ricevuto dal Capo del Governo di allora che ingenuamente aveva preso per buone le calunnie di alcuni politici sanremesi nei suoi confronti.

Pochi giorni fa un altro politico nel presentare la sua lista ha rivendicato il merito di avere denunciato alla Procura della Repubblica le malefatte di alcuni suoi avversari, uno dei quali è stato addirittura tratto in arresto.

Sono solo alcuni dei tanti episodi che rivelano in tutti i tempi e sotto tutti i regimi la vera natura della politica sanremese, fondamentalmente inquisitoria e settaria, manichea e giacobina, intollerante e talebana

A Sanremo va rovesciato l’aforisma di Bismarck, perché non è la guerra ad essere la prosecuzione della politica “mit anderei mitteln”, ma è la politica ad essere la prosecuzione della guerra con gli stessi mezzi, o forse peggiori.

Insomma, tutti indistintamente i politici sono convinti che il loro compito non sia quello di perseguire il bene comune, facendo l’interesse della collettività e contribuendo a soddisfarne i bisogni, ma quello di smascherare la disonestà reale o supposta dei propri avversari con ogni mezzo ed in ogni sede, soprattutto quella giudiziaria.

Fin da ragazzo, quando, arrivato da Torino, attaccavo i manifesti per gli onorevoli Manuel Gismondi, Durand de la Penne, Lucifredi e Zaccari e per il sindaco Asquasciati, ho imparato che qui più che in qualsiasi altro luogo l’umanità si divide in due sole categorie : i buoni ed i cattivi.

I buoni, che eravamo noi, dovevano combattere i cattivi ed eliminarli dalla scena politica; altrettanto pensavano gli altri di noi.

Le storiche contrapposizioni tra clericalismo e laicismo e tra comunismo e liberalismo, le barriere ideologiche ed i muri che per decenni hanno diviso popoli e continenti erano semplicemente il pretesto per dar sfogo all’anima manichea dei sanremesi in politica.

E’ questa la vera chiave di lettura di tutto quanto avviene a Sanremo in campo politico ed amministrativo : se l’avversario, cioè il cattivo, propone qualcosa di realmente utile per la città la sua proposta diventa automaticamente “il male” e dunque deve essere combattuto con ogni mezzo, anche con la carta bollata.

La sponsorizzazione innocente e disinteressata di una iniziativa privata realmente utile per Sanremo è come il “bacio che uccide”,  perché automaticamente tutti gli altri la combatteranno fino all’ultimo respiro.

Potrei riempire pagine e pagine con l’elenco delle occasioni perdute e dei treni passati  sui quali erano seduti fior di imprenditori privati, italiani e stranieri, con proposte che oggi tutti rimpiangono.

Ero ragazzo quando venne bocciata la proposta del conte Orsi Mangelli, le cui scuderie erano famose nel mondo, per una valorizzazione del campo ippico quando ancora i francesi non avevano lanciato l’ippodromo di Cagnes sur Mer, proposta caldeggiata da repubblicani e liberali, nostri grandi avversari perché laici e massoni, e che venne liquidata con la storica frase “Chi u sa cantu u ghe gagna !”.

Molti anni dopo una analoga proposta, addirittura appoggiata dall’UNIRE, fece la stessa fine, questa volta perché era caldeggiata da noi.

Prima che nascesse il Festival del Cinema di Cannes ricordo le tante proposte, tutte bocciate, per fare nel campo della cinematografia ciò che stava nascendo in quello della canzone italiana.

Sulla valorizzazione del rilevato di Pian di Poma ci sarebbe molto da dire : dal famoso progetto “Sanremo Mare” presentato da una solida cordata meneghina e silurato perché sponsorizzato da noi, alla proposta “chiavi in mano” di una delle più importanti imprese tedesche di costruzioni, anch’essa archiviata per lo stesso motivo prima ancora di essere discussa.

La gestione privata del Casinò fin dalla riapertura della Casa dopo la parentesi bellica è stata l’oggetto dell’interesse e del desiderio di quasi tutti i più bei nomi del rinascente capitalismo italiano, molti dei quali hanno avanzato proposte di rilancio e di valorizzazione veramente brillanti, tutte bocciate, respinte, affondate perché caldeggiate dagli uni e non dagli altri.

L’ho detto, ci sarebbe da scrivere un libro sui fin de non recevoir con i quali negli ultimi cinquant’anni i politici hanno risposto alle più diverse iniziative private nella nostra città.

Ma anche sulle opere pubbliche accade lo stesso : personalmente prima come presidente della società del nuovo mercato dei fiori e successivamente come assessore all’urbanistica ho subìto tra il 1993 ed il 2003 due clamorosi processi penali, uno dei quali ha scomodato perfino il Gabibbo di “Striscia la notizia”, accusato di reati gravissimi su denuncia dei miei avversari, cioè dei “buoni”, almeno secondo il Procuratore della Repubblica dell’epoca, che hanno dipinto la costruzione dell’“Aurelia bis” e del Mercato dei Fiori di Valle Armea  come episodi conclamati  di truffa aggravata ai danni dello Stato e di falso ideologico.

Superfluo aggiungere che dopo dieci anni sono stato assolto in tutti i gradi di giudizio per assoluta insussistenza del fatto.

Questo non vuol dire che qualche “bracconiere”, o se preferite “mela marcia” oppure “mariuolo”,  non possa sempre esservi, ma la sete di giustizia degli “altri”, cioè degli sceriffi politici, aveva tutt’altro obbiettivo, cioè quello di eliminare l’avversario politico, obbiettivo che nel caso mio non è stato centrato perché quel “bracconiere” non ero io ma veniva da Imperia o da Roma dove frequentava i piani alti della politica.

Si spiegano così molte cose, dallo stato di abbandono e di degrado di tante nostre attrezzature e risorse pubbliche e private, fino alle incompiute che non ripartono, prima fra tutte l’“Aurelia bis”, per andare alle iniziative che non decollano come Portosole, il Palafiori e l’utilizzazione delle aree ferroviarie dismesse, e concludere con la fuga dell’imprenditoria privata dalla nostra città, che quando sente il nome di Sanremo grida “Alla larga !”, memore delle tante porte in faccia - e pure peggio - ricevute negli scorsi decenni.

 

Lezione n. 5 : istruzioni per l’uso.

 

Il mio “Breviario di sopravvivenza” lo sintetizzerei così :

Qualunque siano :

·        la bandiera sotto la quale intendi scendere in campo

·        le intenzioni che ti inducono a farlo

·        le obiezioni dei familiari e degli amici alla tua decisione

·        la somma che hai anticipato per la lista e che non vedrai più

·        il danno economico che è derivato dalla tua “discesa in campo

·        il numero di coloro che ti hanno promesso il voto

·        il numero di coloro che ti hanno votato

·        il numero di coloro che ti hanno preso in giro

·        il risultato che hai ottenuto,

 

ricordati, o candidato,

 

I.            di non pensare, di non avere idee e soprattutto di non manifestarle

II.            di non avere dubbi sulla infallibilità e sulla obbiettività del Burattinaio

III.            di stare sempre zitto, di capire in anticipo cosa vuole il Burattinaio e di approvarlo

IV.            di assopirti nelle riunioni politiche e in quelle amministrative

V.            di fingere attenzione e consapevolezza delle cose che si dicono nelle riunioni

VI.            di non fare ombra a nessuno e non esporti neanche contro gli avversari politici

VII.            di riferire solo notizie che non  nuocciono ad amici ed avversari

VIII.            di non raccontare a chi comanda i pettegolezzi che circolano su di lui

IX.            di avere sempre a portata di mano l’elenco dei tuoi elettori sicuri

X.            di esibirlo al momento opportuno come un passaporto,

Chi è il Burattinaio ? Beh, l’ho detto nella lezione n. 2, è colui che in un particolare momento ed in ogni specifico settore è chiamato a dirigere l’orchestra, però suonando sempre secondo lo spartito scritto da chi sta dietro le quinte.

Pirandello e quasi tutti i sanremesi direbbero che dietro le quinte c’è uno, nessuno o centomila; io invece dico che oggi dietro le quinte, a mettere ordine nella disastrata politica di Sanremo, c’è il solito arbitro romano, che questa volta è anche imperiese,  e che (l’amico Claudio perdoni la mia schiettezza) assomiglia sempre più a Bush in Iraq. Con la precisazione che qui ad essere torturati dai suoi Burattinai sono soprattutto il casinò, il turismo, la floricoltura ed il commercio.   

 

Ebbene, o candidato,

 

se ti sarai ricordato di fare tutto questo sarai diventato un vero politico e potrai evitare ciò che normalmente accade agli imprudenti, agli sprovveduti ed ai fessi come me, e cioè :

 

I.    acquistare comunque una certa “visibilità” che mette a nudo tutti i tuoi difetti

II.    essere “chiacchierato” sui giornali vicini ai tuoi avversari politici

III.    entrare, come protagonista nelle peggiori leggende metropolitane

IV.    diventare bersaglio di lettere anonime e oggetto di intercettazioni telefoniche

V.    essere finalmente denunciato alla Procura dai tuoi avversari politici

VI.    a cinquant’anni entrare per la prima volta in vita tua nella Procura della Repubblica

VII.    essere interrogato come “persona informata sui fatti” con obbligo di rispondere

VIII.    dover raccontare al Procuratore cose che userà contro i tuoi colleghi

IX.    ricevere il tuo primo “avviso di garanzia” con tanto di foto sui giornali

X.    diventare l’adesivo che i giornali attaccano tutte le volte che si parla di un’inchiesta

XI.    diventare sui giornali il “presunto” mostro di Sanremo con verbi al condizionale

XII.    sotto gli occhi dei vicini aprire a poliziotti che ti consegnano chili di carta

XIII.    ricevere una mozione di sfiducia concordata dai tuoi avversari esterni e interni

XIV.    dimetterti da tutte le cariche pubbliche per non danneggiare il Comune

XV.    venire a sapere  che il Comune si è costituito parte civile contro di te

XVI.    diventare “imputato” di odiosi crimini contro la Pubblica Amministrazione

XVII.    sedere per dieci anni e oltre sul banco degli imputati ed essere sempre assolto

XVIII.    ricevere dalla Corte dei Conti il tuo primo “Atto di incolpazione” per 3 miliardi

XIX.    venire a sapere che la responsabilità amministrativa è imprescrittibile e solidale 

XX.    appurare che detta responsabilità nasce anche per una lieve colpa, come per esempio, avere distrattamente partecipato a una seduta del Consiglio Comunale o a una Commissione nella quale si parlava di qualcosa che poi è finito sotto inchiesta.

 

Aggiungo, in conclusione, due consigli di carattere tecnico : fare una bella assicurazione per i danni derivanti dalla tua attività politica ed amministrativa e, soprattutto, per le spese legali e costituire un fondo patrimoniale al quale ascrivere tutti i tuoi beni. Per non finire sul lastrico…….

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