La butto in psicanalisi: l’empatia di un torinese per Sanremo lo ha coinvolto per cinquant’anni trasformandolo in relazionista partecipe fino a quando le legnate giudiziarie non gli hanno fatto indossare il camice bianco e non lo hanno convertito al classico lettino sul quale sdraiare la sua amata.

Parlo di me, mentre il controtransfert evidenzia nell’illustre paziente una psicosi maniaco depressiva da esplorare con attenzione.

Il “Caso- Sanremo” che alterna eccitazione a depressione rientra sicuramente nella nevrosi oggi tanto di moda sotto l’etichetta di spettro bipolare.

Bipolarismo alternativo e trasversale, oggi Festival domani “Furbetti del cartellino”, e tutti i giorni euforia politica e depressione burocratica.

Nulla a che vedere con Gramsci e col suo ottimismo della volontà e pessimismo dell’intelligenza perché qui siamo agli antipodi di entrambe le qualità, con una burocrazia abulica e una amministrazione acefala.

Qualche episodio aiuta a capire.

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C’è Festival e Festival, a Cannes quello del Cinema e a Sanremo quello della Canzone.

Leggo che la R.A.I. i giorni scorsi ha annunciato il last call for Palafestival dopo aver sborsato fior di quattrini nelle casse comunali a ogni rinnovo di convenzione a partire dalla prima, che risale all’agosto 1991 e da allora ininterrottamente per tutti i 25 anni successivi.

Malcontati, qualcosa come 175 milioni di euro convertiti in 338 miliardi, 847 milioni e 250.000 lire prendendo a riferimento, con approssimazione per difetto, i 7 milioni di euro oltre IVA del triennio 2012-2014 che il Consiglio comunale ha approvato il 5 dicembre 2011 con atto n. 92 e moltiplicandoli per 25 anni nei quali -tra parentesi- il Comune ha pagato ulteriori 20 miliardi di lire a Vacchino per l’affitto dell’Ariston.

Quasi quattro volte la somma -in partenza di 340 milioni di franchi francesi corrispondenti a 80 miliardi di lire italiane e poi portata a 100 miliardi di lire nei decenni successivi con tre ulteriori ampliamenti- che la Mairie de Cannes ha inizialmente investito tra il 1979 e il 1982 per realizzare sulla Croisette il progetto degli architetti Bennett et Druet del suo Palafestival, somma poi integrata del 25 % per far fronte alle nuove esigenze.

Il parallelo è impressionante: infatti entrambi i Festival debuttano nel Jardin d'hiver stile liberty del rispettivo Casinò Municipale, a Cannes tra il 20 settembre e il 5 ottobre 1946 e a Sanremo cinque anni dopo, dal 29 al 31 gennaio 1951.

Col boom del successo si è quindi imposta per tutti e due la necessità del trasloco.

A Cannes sarà un trasloco ragionato e programmato e avverrà tempestivamente in due successive fasi, la prima nel 1949 dal Casinò al Palais Croisette (poi destinato a diventare l’Hilton Hotel) e la seconda nel 1982 da lì all’attuale Palais des festivals et des Congrès.

A Sanremo, invece, tutto è accaduto alla rinfusa e all’insegna dell’emergenza, esattamente il 3 marzo al 5 marzo 1977, col trasloco provvisorio dal Casinò al cinema teatro Ariston, perché il Giardino d’Inverno, ampliato nelle precedenti edizioni con un soppalco sul lato sud (poco dopo dichiarato inagibile dall’Autorità di vigilanza sui pubblici spettacoli), era stato sventrato con uno scellerato progetto di adeguamento.

Superfluo aggiungere che la soluzione da provvisoria diventerà definitiva per altri 40 anni.

Altro parallelismo è la location, in tutti e due i casi lungo il litorale su un terrapieno rubato al mare e protetto da una scogliera, solo che a Cannes è stato realizzato mentre a Sanremo se ne parla da 36 anni.

Da quando nell’autunno del 1991 una delegazione di amministratori e di albergatori ha compiuto un sopraluogo a Cannes che si è concluso come l’asino di Buridano, morto di fame e di sete nell’incertezza se mangiare il fieno o bere l’acqua.

Sul litorale le location erano all’epoca addirittura tre, Pian di Nave, Morgana e Pian di Poma (il lungomare delle Nazioni arriverà solo 10 anni dopo col PUC di Busi ma sarà bocciato dalla Regione), mentre in terra erano due, il Savoia e l’ex Mercato dei Fiori di corso Garibaldi.

Sarà proprio quest’ultima la pietra tombale del Palafestival dopo la condanna a morte leghista in primo grado nel 1994, il ripescaggio di Pian di Poma del commissario prefettizio Piccolo e l’esecuzione forzista dell’attuale Palafiori nel luglio 1997 sul quale si sono dirottati 15 miliardi come primo assaggio dei fondi RAI accantonati fino a quel momento.

La saga del Palafestival in questi 25 anni ha conosciuto eccitazione e depressione, proclami di progetti faraonici ogni volta che la RAI chiedeva conto dei fondi versati e annunci funebri con ammaina bandiera non appena da via Teulada arrivava il rinnovo e il rifinanziamento della convenzione.

 

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Mirabolanti iniziative di oggi, domani finiscono in vacca.

Penso ai cantieri di Portovecchio, ma anche all’outlet in valle Armea, o alla palestra a Pian di Poma o all’auditorium Alfano o all’ex Tribunale o all’ex Tiro al Piccione e a tanti altri casi di ordinaria euforia seguiti da imbarazzato silenzio, misericorde oblio e qualche caritatevole compromesso.

Roba da psicofarmaci, per capirci.