La frase di De Gasperi sulla differenza tra l’orizzonte di un politico e quello di uno statista è logora e non voglio ripeterla qui come una frusta giaculatoria.
Però il cinismo della Storia alle volte offre al politico l’occasione per fare lo statista facendo la scelta giusta al momento giusto.
Vale per la grande Storia come per quella piccola, con la “S” minuscola, in politica come in amministrazione.
L’occasione si offre oggi a Sanremo al sindaco della Città, un amministratore che Lenin nel suo testamento avrebbe iscritto nella categoria borghese dei ciechi e sordomuti, condizioni che fin dal Codice di Hammurabi sono sinonimo di “idiota”, ma utili alla causa.
In effetti il personaggio per estrazione sociale, mentalità, cultura, professione e stile di vita è lontano mille miglia dal marxismo-leninismo (ovviamente inteso nelle sue progressive mutazioni genetiche che lo hanno fatto arrivare fino ai giorni nostri), ma ha messo la sua faccia borghese, moderata e accattivante a coprire le posizioni ideologiche minoritarie della sinistra cittadina più retriva e becera e a farle da sgabello e paravento.
Il caso dell’outlet in Valle Armea -si parva licet componere magnis- è l’ago della bussola che indica al sindaco la direzione da prendere prima del 22 maggio 2016 quando decadrà il PUC, piano urbanistico comunale, adottato il 16 ottobre di due anni fa ma uscito il 15 luglio 2009 dalla costola di un altro sindaco cieco e sordomuto però anche lui utile alla causa.
Il sindaco attuale dovrebbe lasciar scadere questo Golem urbanistico ma da ostaggio politico si guarderà bene dal farlo all’ombra delle bandiere del giustizialismo marxista che punisce le speculazioni edilizie, le rendite parassitarie e il plusvalore capitalista e premia le azioni virtuose al servizio del popolo.
Ma, come tutto il resto, anche l’identikit del protagonista del romanzo di Calvino e del film di Rosi non è più quello, da tempo il gioco non vale più la candela.
E’ una questione di convenienza, di sostenibilità economica e di mercato come dimostrano le decine e decine di incompiute private in abbandono e le aste pubbliche che lasciano deserte le dismissioni comunali con aiutino.
Oggi la speculazione e le mani sulla città hanno una fisionomia completamente diversa, distante dagli stereotipi di Calvino e Rosi e si chiamano urbanistica creativa e negoziata che punta alla sinergia pubblico-privata.
A Sanremo, poi, l’hanno consegnata agli uffici comunali come se il governo del territorio, dell’ambiente e del paesaggio fosse un gioco tipo Minecraft, e il suo packaging potesse essere lasciato a un ventriloquo brianzolo dopo che l’assessore expert aveva alzato i tacchi ed era uscito di scena alla chetichella.
La novità è la password del “favor Principis”, quella che traccia corsie preferenziali in nome della virtù da premiare, che rende equa una valutazione altrimenti iniqua, che scavalca ostacoli burocratici e che nobilita i “furbetti del trampolino”.
Peccato che tutte le volte la piscina sotto sia asciutta e che loro si rompano le ossa.
Ma tant’è, occorre far strada al nuovo che avanza, anzi al vecchio perché l’economia collettiva dei kolchoz ha un secolo di età, con una piccola differenza: è nata per mettere la falce e il martello nelle mani dello Stato, adesso li ha sostituiti con banche e carrello consegnati alle superpotenze private.
Un piccolo esempio: una volta in via Matteotti i rappresentanti dei grandi marchi della moda bussavano ad Annamode, Cremieux e a tanti altri, adesso il collettivo della moda è diventato il padrone di casa e saranno le boutiques superstiti a dover bussare alla sua porta.
Lo stesso vale per tutti gli altri settori della società sanremese e non soltanto della sua economia, all’insegna di neologismi magici, tipo polo, strategic urban areas et similia.
Ecco perché il sindaco dovrebbe fare come il Rabbino di Praga e come Zoccarato, mandare in soffitta il Golem brianzolo.