Due giorni fa, era il 2 novembre 2017, l’amico Dino Taulaigo ha pubblicato questa bellissima fotografia e l’ha così presentata: “E adesso facciamo un salto al porto, il porto del '64, visto dall'aereo e colorato, con la Nuova Capitaneria, e a sinistra la Vecchia Capitaneria, e le spiagge dell'Arenella, dei Bagni Italia e i Bagni Lido.

 

E ormeggiata al Molo di Levante la Motonave "Città di Sanremo" che portava turisti e residenti in "tour" notturni verso la Costa Azzurra, mentre l'orchestrina suonava e i passeggeri ballavano.”

 

Un altro amico, Mario Coluccino, ha allora postato un commento: “Bagni Italia e l’Arenella ancora aperti al mare: uniche spiagge con più di 50 mt di arenile… poi chiuse in un porto dagli allora "amministratori" di Sanremo...”.

 

Come “ex amministratore” mi sono sentito chiamare in causa e allora ho acceso la moviola.

 

Combinazione, proprio in questi giorni -lunedì 23 ottobre 2017- ambientato sul set cinematografico dell’archivio comunale era ritornato il romanzo a puntate ispirato a questa pagina nera della storia recente di Sanremo.

 

E’ la nuova puntata della “Saga di Portosole” una soap opera che per sottotitolo potrebbe avere la parafrasi di Goya: “El sueño de la razón produce eco-monstruos”.

 

Ciak si gira!

 

E’ vero che la vituperata creatura vedrà la luce soltanto dopo parecchie puntate, nel 1991, ma è figlio di una vendetta della Storia che, come quella del Conte di Montecristo, risale a vent’anni prima, sicché il riassunto delle puntate precedenti può restituire un po’ di suspense a quella che, altrimenti, si risolverebbe nella solita presa per il culo collettiva.

 

Sul fatto che a Sanremo occorresse un porto turistico non ci ha mai piovuto, ma a cavallo degli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso la necessità si è trasformata in imperativo categorico per la concorrenza, in Francia, di Menton-Garavan e in Italia di Punta Ala in Maremma, di Cala Galera all’Argentario e di Lignano sull’Adriatico.

 

Due però erano i problemi, soldi e sito, l’uno collegato all’altro perché le opere a mare sono l’osso e quelle a terra la polpa.

 

All’epoca il coltello per il manico lo avevano in tre: lo Stato “padrone” del demanio, la Regione arbitra della pianificazione in mare e il Comune di quella in terra.

 

I primi due avevano le braccia spalancate, il Ministro Tesini e dopo di lui Costa alla Marina Mercantile e Dagnino in Regione a Genova agevoleranno al massimo l’operazione, il problema è sempre stato Sanremo.

 

Qui nella città dei fiori il primo a scendere in campo nel ’69 era stato il sindaco Viale che aveva già all’attivo della sua Amministrazione il progetto Massara-Previde per la realizzazione della banchina lungo il Viale delle Palme e per la prosecuzione per 140 metri del Molo Canottieri e che con i 4 miliardi di lire del “Piano Azzurro” (60% Stato e 20% ciascuno Provincia e Comune) immaginava di allungare la diga foranea di 80 metri verso levante e di dragare il fondale portandolo a 13 metri di profondità per consentire l’approdo e la sosta anche alle navi da crociera.

 

Con i 78 metri del pontile galleggiante dello “Yacht Club” si sarebbe raggiunto il migliaio di posti barca e Sanremo sarebbe diventato per Viale il più grande porto turistico da Ventimiglia a La Spezia.

 

Ma poi l’anno dopo Viale ha fatto le valigie, Pancotti ha preso il suo posto fino a giugno 1971 quando è sopraggiunto Parise che sul tavolo si è trovato la famosa “Circolare Mannironi” del 28 luglio 1970 con cui il Ministero giocava sull’equivoco tra “porto” e “approdo” e  ammetteva i privati a realizzare approdi turistici cioè “stazioni di servizio e parcheggio dotate di impianti completi capaci di offrire oltre che asilo e possibilità di manutenzione e riparazione ai natanti, anche sosta e ristoro ai diportisti”.

 

El sueño de la razón che vent’anni dopo produrrà l’eco-monstruo sanremese risale a un paio di mesi dopo l’avvento di Parise, esattamente alla notte del 5 agosto 1971 quando tra i dieci progetti presentati e ubicati in punti diversi della costa, selezionati da una apposita Commissione tecnica e rimasti in due il Consiglio comunale sceglieva quello presentato dal C.N.I.S. di Vittorio Duina & C. situato davanti alla passeggiata Trento e Trieste.

 

Scelta numericamente obbligata, imposta dal veto determinante che la lobby degli albergatori, forte di sei consiglieri di maggioranza, aveva posto sull’altro progetto, suggerito dalla Commissione e previsto invece dalla società Valmarina di Antonelli & C. nello specchio acqueo antistante la stazione ferroviaria.

 

Una volta tratto il dado la strada sembrava spianata ma non è stato così, perché uno dopo l’altro diversi nodi di quella notte sin razón sono venuti al pettine.

 

Il primo nodo arriverà quando il promoter Duina, fino ad allora presidente del Milan, incappava in pesanti traversie finanziarie ed abbandonava il club e l’Italia sicchè si rendeva necessario ristrutturare il C.N.I.S. di “Martolini & Piras” per l’aspetto finanziario con l’ingresso di Suria del San Paolo sotto l’occhio vigile del commercialista Giovanni Lanteri, per l’aspetto societario con l’ingresso di Cozzi, Parise e Albani e per l’aspetto operativo rinegoziando gli accordi con l’Impresa Pali Franki.

 

Il secondo nodo era figlio della bugia degli albergatori che avevano giustificato il veto con la necessità di impedire la perdita di due terzi delle strutture balneari esistenti quando invece questa conseguenza non riguardava il progetto Valmarina  ma quello C.N.I.S. da loro favorito col quale sarebbero scomparsi gli storici bagni Florida, Aurora, Elios, Suore della Misericordia “Don Orione”, Mediterranée, Rotonda, Eden Roc e Bikini mentre al Morgana, Italia, Lido e alla spiaggia libera dell'Arenella la balneazione in mare sarebbe stata interdetta e affidata a tre piscine "che dovranno sostituire ai fini della balneazione lo specchio acque antistante ormai inidoneo per la presenza dei due porti che lo racchiudono".

 

Purtroppo la reazione degli otto gestori, assistiti dall’avvocato Calleri, sarà tardiva e avverrà a cose fatte cioè nell’aprile 1973 quando la locomotiva avviata poco prima dal Consiglio comunale con l’approvazione della variante al Piano Regolatore prendeva velocità verso l’ineluttabile rigetto di una decina di osservazioni contrarie (31 luglio 1973), la firma scontata della concessione  cinquantennale a decorrere dal 30 luglio 1974 da parte del Ministro (19 marzo 1974), la conseguente revoca delle concessioni da parte dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Sanremo, la notifica delle ordinanze  di sgombero e di occupazione   d’urgenza da parte del Comandante del Dipartimento Marittimo di Imperia (2 agosto 1974) e il fatale inizio dei lavori a mare (settembre 1974) col placet del Genio Civile, Opere Marittime di Genova.

 

Un altro nodo al pettine sul cammino dell’iniziativa era stato anch’esso superato dalla Regione nella primavera del 1974 con una provvidenziale norma ad personam di modifica della legislazione sulla portualità minore che riservava la possibilità di dotarsi di un porto turistico ai Comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti ma con il limite di un unico porto, quando la consistenza demografica di Sanremo era inferiore e sul suo litorale erano già operanti addirittura due porti, Portovecchio pubblico e Capo Nero privato.

 

Anche se la gravidanza ventennale dell’eco-monstruo era soltanto agli inizi questa volta davvero tutto ormai sembrava procedere tranquillamente verso il completamento dell’intervento grazie al veloce andamento dei lavori a mare e allo sbarco a terra del cantiere, e questo nonostante la quantità di ostacoli incontrati sul suo cammino, alcuni dei quali risolti, altri aggirati e altri ignorati, ma tutti figli della scelta sbagliata fatta all’origine il 5 agosto 1971 in Consiglio comunale.

 

Ostacoli di ogni genere, come, per esempio, quelli di carattere idrogeologico quando ci si è accorti ormai a cose fatte che il progetto Maggiora-Vergano a firma Martolini aveva inglobato nel bacino portuale lo sbocco a mare del rio Rubino e che il rilevato a ponente doveva fare i conti con la foce del rio San Lazzaro.

 

Anche il torrente San Martino era stato interessato perché la ferrovia impediva in altezza il passaggio dei bilici caricati con enormi massi provenienti da Poggio ed è stato necessario scavare una pista nell’alveo abbassandolo nel punto in cui sottopassava la strada ferrata.

 

Per non parlare delle interferenze con la viabilità pubblica, i servizi a rete e i rapporti con i privati confinanti, eccetera, eccetera, tutto sembrava ormai alle spalle.

 

Invece il bello doveva ancora venire al momento di passare dall’osso alla polpa.

 

A cucinare la polpa, cioè le opere a terra, era il Comune ma poi c’era la Regione che doveva dire sì e Genova non ci sentiva sui circa 140.000 metri cubi proposti dal C.N.I.S. il 17 giugno 1976, quando le opere a mare erano in dirittura d’arrivo.

 

La proposta, camuffata con l’etichetta di “Opere sussidiarie” applicava il Piano regolatore “Morini” datato 1960 e ormai superato e giocava in contropiedi col progetto di P.R.G. in itinere dell’architetto Salesi che, adottato dal Consiglio, era in pubblicazione con scadenza il 28 giugno 1976.

 

Tutto questo alla faccia della colata di cemento che nel 1971 era stata attribuita al progetto Valmarina.

 

Bocciati dalla Regione sia il progetto Martolini e sia il P.R.G. Salesi,  nella primavera del 1980 entrava in vigore il P.R.G. tuttora operante che ingabbiava Portosole in una zona urbanistica, la L/1, soggetta a piano particolareggiato di approvazione regionale, un piano attuativo che disegnerà l’identikit di un “mostriciattolo” sotto forma di albergo a cinque stelle e parcheggio su due piani costruiti all’interno  di una collinetta artificiale alta una quindicina di metri rivestita da piante, fiori e prato all’inglese, piano urbanistico che su progetto dell’architetto Muratorio toccherà al sottoscritto tenere a battesimo il 14 febbraio 1989 in veste di assessore all’urbanistica.

 

Era il male minore dal momento che la cerimonia ufficiale del taglio del nastro delle opere a mare risaliva addirittura a dodici anni prima -luglio del 1977- e che quelle a terra, inizialmente di solo cantiere erano pian piano dilagate grazie all’espediente del recupero e ristrutturazione delle volumetrie preesistenti.

 

Il progetto era diviso in 11 lotti e l’eco-monstruo avrebbe dovuto vedere la luce nel lotto n. 3 pensato dalla Muratorio come spartiacque verde fra il vecchio ed il nuovo approdo, con quattro piscine nella zona delle spiagge di corso Trento e Trieste e  l'eliminazione della balneazione nello specchio acqueo compreso fra i due porti,  l'allargamento a 7 metri della sede stradale, la realizzazione di una strada di scorrimento in galleria sotto la passeggiata a mare e la volumetria portata dai precedenti 140 mila metri cubi a circa 20 mila complessivi.

 

I volumi erano destinati soltanto a uffici, servizi igienici, box-magazzino, officina, con esclusione degli spazi commerciali confinati esclusivamente nella hall dell'albergo, sempre che il Piano Commerciale comunale lo avesse previsto.

 

La quota del lungomare, che era (come, del resto, è anche attualmente) a “corda molla”, cioè con quota centrale più bassa rispetto a quelle iniziale e finale, sarebbe stata allineata e in larghezza portata a 35 metri con l’inglobamento sia della tombinatura del rio Rubino che doveva confluire nel rio San Lazzaro e sia dei collettori fognari e la costruzione a livello leggermente superiore alle banchine di una nuova strada quasi tutta in galleria sotto la passeggiata a mare fino a collegarsi con via Vesco, mentre l’ingresso al porto non avrebbe più dovuto essere all’altezza di via del Castillo ma alla confluenza di via Anselmi dove c’era il ristorante “La Rotonda”.

 

Poco tempo dopo, il 16 settembre 1989, in base al Manuale Cencelli abbandonerò la carica di assessore all’urbanistica al socialista Conti e tornerò nel gregge dei “peones” e dopo di me il progetto Muratorio “adottato” dal Consiglio comunale il 14 febbraio 1989 con atto n. 43 sarà “adattato” prima di essere approvato dalla Regione Liguria con decreto presidenziale 30 agosto 1990 n. 1064.

 

Pochi mesi prima, esattamente il 28 marzo 1990 il CNIS cercherà di “mangiarsi” anche il Morgana, i bagni Italia e la spiaggia libera dell’Arenella chiedendo al Ministero il subingresso cinquantennale sull’intera area demaniale tra il rio San Lazzaro e il torrente San Francesco e sullo specchio acqueo relativo, per una superficie complessiva di circa 79.150 metri quadrati, sfrattando i relativi titolari di concessioni ancora lontane dalla scadenza.

 

Intanto l’anno successivo con rogito Notaio Donetti 30 novembre 1991 n. 8594 sarà stipulata la Convenzione urbanistica anch’essa generosamente “adattata” (ad esempio, il Comune partecipava al 30% alle spese per la viabilità!).

 

Quindi dulcis in fundo su istanza presentata il 14 dicembre 1991 e accolta l’8 marzo 1993 l’eco-monstruo -battezzato in codice C/1033- vedrà la luce non ostante Legambiente pochi mesi prima (dicembre 2002) avesse presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Sanremo seguito dal sequestro del cantiere.

 

Dopo di che - ad abundantiam- i “komunisti” Valeria Faraldi, Daniela Cassini, Luigi Ivaldi, Luciano Alberti, Giovanni Sciolè, Stefania Russo, Marco Andracco nel 2003 presenteranno in Consiglio comunale una mozione sulla convenzione “adattata” nel 1991 e sull’addebito tecnico mosso al mio Piano Particolareggiato consistente nell’abbassamento di quota al centro della “corda molla” della passeggiata a mare con una differenza di m. 1,02 tra la realtà (+m. 5,33 s.l.m.) e la Tavola E/1 del Piano (+m. 6,35 s.l.m.) che la raddrizzava allineandola all’altezza dei due capisaldi iniziale e finale.

 

Seguirà un processo penale a carico degli amministratori del C.N.I.S. e dei tecnici che nel 2006 si concluderà con la loro assoluzione per assenza di dolo nelle irregolarità denunciate da Legambiente e poi, tra l’altro, condonate.

 

Comunque dopo il parto e durante le doglie giudiziarie, il mostro crescerà con il rinnovo chiesto il 1° marzo 1994 e accordato il 26 agosto 1994 e, dopo una revisione della pratica effettuata nel 1996 da un Perito nominato dal Comune, con l’ulteriore proroga nel 1999 richiesta il 22 aprile e rilasciata il 27 luglio, senza mai ottenere, ovviamente, attestazioni di agibilità e di conformità.

 

Le successive puntate della “Saga di Portosole” fino a quella aperta il 23 ottobre scorso raccontano di una irragionevole guerra di posizione che ha progressivamente logorato entrambi i contendenti.

 

Quando los hombres no oyen el grito de la razón, todo se vuelve visiones”, commenta Goya, e vale anche in questo caso perché il vero mostro non è davanti alla passeggiata Trento e Trieste ma nella testa di chi avrebbe dovuto usare il cervello e non l’ha fatto.