C’è chi le chiama bufale, chi fake news e chi, come l’Oxford Dictionary, le cataloga come "post-verità", per la prestigiosa istituzione inglese post-truth è addirittura la parola dell’anno.

 

A Sanremo di indigene non se ne vedono in giro, tutte di importazione e accolte con il distacco di chi è abituato da generazioni a vendere fumo e a convivere con verità artificiali e posticce.

 

Come il quadro di San Napoleone, ignoto all’agiografia cristiana, che a Ferragosto del 1808 in un attacco di “ruffianesimo” collettivo è stato innalzato all’altare del Santuario della Madonna della Costa in coincidenza con il compleanno dell’Imperatore.

 

In fatto di bufale potremmo gemellarci con Battipaglia, loro ne fanno mozzarelle e noi polpette.

 

Sono le polpette soporifere che politici, amministratori e faccendieri di tutte le risme confezionano quotidianamente e dispensano a una massa di creduloni indifferenti e distratti.

 

Poi ogni tanto arriva un rompicoglioni a liberarla dagli effetti del “Battubelin”, il potente anestetico locale, e a contare le polpette di bufala ingoiate.

 

L’inventario è impossibile, sono troppe, mi accontenterò di prenderne una a caso.

 

Per esempio il Bando 2002 del Concorso Internazionale del Salone delle Feste sul Roof Garden del Casinò, tra salve di cannone, squillar di trombe, tintinnar di sciabole e sventolio di bandiere.

 

Lo vince il professor Umberto Di Cristina, ordinario di urbanistica nell’Università di Palermo scomparso cinque mesi fa alla tenera età di 90 anni. Lui era una delle più importanti figure dell'architettura italiana, soprattutto quando si parla di art nouveau, di ecclettismo e di liberty. Un guru, un nume, una eccellenza assoluta come i suoi colleghi Paolo Portoghesi e Giuseppe Samonà; con quest’ultimo, tra l’altro, assieme a Giancarlo De Carlo e Anna Maria Borzì era stato uno dei quattro saggi che tra il 1979 e il 1981 avevano assolto il pesante incarico di elaborare il Piano programma di Palermo, mai applicato per i noti motivi farciti di tritolo e pallettoni.

 

Sulla base della progettazione architettonica risultata vincente il luminare stende quella esecutiva, approvata dalla Giunta comunale, dalla Soprintendenza ai beni architettonici e dai Vigili del Fuoco e pronta per essere appaltata su base d’asta di 9 milioni ampiamente coperta dalla quota di proventi del gioco vincolata all’immobile perché all’epoca Berta filava e le vacche erano grasse.

 

Sul più bello, però, a trasformare una iniziativa seria in bufala ecco che arriva una nuova amministrazione, a trazione PD e “Uniti per Sanremo” (Ivaldi & Cassini), guidata da Borea e con dentro anche Biancheri, l’attuale sindaco, dopo aver tenuto la pratica chiusa in un cassetto che per quattro anni all’avvicinarsi delle elezioni ne annuncia una nuova a costi dimezzati.

 

Che fosse una polpetta di bufala lo dimostra il fatto che era pagata con lo stesso business plan che qualche mese dopo costringerà il Viminale a mandare tutti a casa per violazione dell’obbligo di rispettare gli equilibri di bilancio e a spedire il prefetto Calandrella a Palazzo Bellevue.

 

Da cosa nasce cosa e la nuova polpetta è quella che servirà prossimamente al tavolo del marketing del turismo elitario e di eccellenza il general manager alberghiero nominato di recente da Biancheri assessore al turismo invitando la clientela sul solaio dove il professor Di Cristina aveva progettato il Salone delle Feste, quello finito in vacca, anzi in bufala.