Tra la Storia e la Cronaca esiste una “Zona grigia” che non interessa ancora i cultori delle Memorie Patrie ma che per i cronisti non è più orto dove raccogliere notizie fresche di giornata.

 

Le piaghe in quella fascia sono aperte, la Storia non le ha cicatrizzate e la Cronaca le ha dimenticate il giorno dopo, eppure sono loro a far rimpiangere il passato e ad alimentare l’insoddisfazione del presente.

 

Questa “gray area” a Sanremo è la terra di nessuno nella quale si esercita la nobile arte del “cagâ e crêuvì”, per dirla in dialetto.

 

Oggi tra gli ominicchi che neppure capaci di farsi i cazzi loro pretendono in Comune di farsi quelli di tutti noi c’è la tendenza a cavalcare le “musse”, come i sanremaschi amavano definire le fandonie di ogni genere, consci che la verità resterà sepolta per sempre e che nessuno metterà mai il dito sulle piaghe anche perché “u ghe n’è pe l’ânse e pe chi u mena”.

 

Sono questi i pensieri che mi spingono a penetrare nella zona grigia e a mettere il dito su una delle tante piaghe aperte, quella del mercato annonario.

 

Si tratta di un complesso edilizio progettato a metà Anni Cinquanta da due numi dell’architettura moderna, il genovese professor Luciano Grossi Bianchi e il savonese ingegner Cesare Fera, e dichiarato bene di interesse culturale dal Ministero per i Beni e per le Attività culturali con decreto 16 dicembre 2011 come “testimonianza delle scelte tecnologiche e delle tendenze compositive del periodo Anni Cinquanta.”

 

La scritta “Mercato Annonario” che campeggia sulla facciata indica la destinazione prevalente ma non esclusiva dell’edificio che in due corpi di fabbrica contigui ma strutturalmente differenziati ospita attività diverse.

 

Il primo, rivolto a levante, è stato realizzato con pilastri in cemento armato e soletta piana in latero-cemento “tipo S.A.P.” (Senza Armatura Provvisoria) e la sua volumetria è distribuita su due livelli, superiore con destinazione uffici e inferiore con alle sue ali il mercato del pesce e il bar e al centro il porticato dal quale, in direzione ponente, si accede al grande padiglione sede del mercato ortofrutticolo, retto da arcate in cemento armato a formare un involucro quasi completamente vuoto, salvo la presenza di un modesto aggetto interno realizzato a mezza altezza sul lato sud per essere adibito a direzione del mercato e a sede del servizio sanitario.

 

La realizzazione del complesso è avvenuta, tutto intorno, parallelamente alla tombinatura dell’antistante torrente San Romolo e alla demolizione di alcuni retrostanti volumi incongrui così da ricavarne spiazzi e slarghi in grado di ospitare nei giorni di martedì e sabato il mercato ambulante e negli altri giorni circa 230 auto.

 

Il fabbricato per le tecniche all’epoca applicate, per i materiali utilizzati e per le dotazioni e il collegamento con i servizi a rete è fortemente “datato” e gli inconvenienti hanno preso ben presto a manifestarsi a livello manutentivo al pari di quelli derivanti al suo esterno dalla insufficienza dei parcheggi disponibili, utilizzati a rotazione dal traffico veicolare cittadino.

 

Inoltre la “datazione” si è rivelata come potenziale fattore di rischio già con l’entrata in vigore della prima legge regionale antisismica (agosto 1983) e ne darà conferma la variante al Piano Regolatore di adeguamento da me affidata al professor Bellini e approvata dalla Regione nel marzo 1987 in via definitiva.

 

Tuttavia, mentre le cautele antisismiche erano rivolte al futuro e non al passato e quindi non riguardavano “illico et immediate” gli edifici pubblici già costruiti, comprese le scuole, ospedali, carceri eccetera, tutte le altre inadeguatezze col tempo sono venute al pettine senza essere risolte fino a quando, addirittura, se ne dovrà occupare la Magistratura penale.

 

Infatti nel marzo 1993 l’allora sindaco Canessa riceverà dal Procuratore della Repubblica dottor Vincenzo Testa, attivato dall’U.S.L. n. 2 “Sanremese”, l’ingiunzione a fargli conoscere con urgenza “gli interventi che devono essere effettuati nel più breve tempo possibile per risanare gli ambienti fatiscenti”, perché in caso contrario, scriveva il Magistrato, “si ipotizza la chiusura dello stabile e di conseguenza procedimenti penali per i mancati interventi o per eventuali incidenti agli operatori o agli utenti che frequentano lo stabile stesso.”

 

Per affrontare e risolvere una volta per tutte sia le problematiche sismiche e sia quelle funzionali, senza oneri per il Comune e con sua manleva da ogni responsabilità garantita da una fideiussione di 3 miliardi, nel marzo 1988 un privato di Novara ha presentato una proposta di ristrutturazione e messa in sicurezza dell’edificio con la formula del project financing coperto dai proventi di 625 posti auto divisi fifty-fifty tra lui e il Comune stesso.

 

In aggiunta la proposta includeva tutte le opere esterne di arredo, la cessione gratuita al Comune di 49 parcheggi per gli operatori da ricavare nel sotterraneo esistente e, ovviamente, la installazione dell’impiantistica (illuminazione, climatizzazione, antincendio, barriere architettoniche, eccetera) compresi gli allacciamenti ai servizi a rete e quelli igienici e sanitari.

 

La proposta, supportata dal parere “pro veritate” di un docente universitario è stata approvata dal Consiglio comunale il 27 gennaio successivo unitamente al progetto redatto dall’ingegnere Giorgio Santagostino coperto da brevetto e alla bozza di convenzione che sarà rogata dal notaio Donetti il 9 giugno seguente.

 

La piaga si apre a questo punto e nei 28 anni successivi non sarà mai più rimarginata, se è vera e trova conferma la dichiarazione del sindaco Biancheri fatta il 13 ottobre scorso, giorno del Santo Patrono, dal palco del Casinò: Nuntio vobis gaudium magnum, abbiamo incaricato un tecnico di progettare la messa a norma degli impianti antincendio, elettrici e fognari, illuminazione e aerazione per un milione e ottocentomila euro da stanziare sul bilancio comunale.”

 

Della messa a norma statica, strutturale e sismica meglio non parlarne, specialmente adesso che Sanremo dal 19 luglio 2017 è diventata “zona sismica 2” con quel che ne consegue.

 

L’inchiostro con il quale il notaio Donetti aveva firmato il rogito era ancora umido e già l’avvocato Gabriele Boscetto depositava al TAR un ricorso per il suo annullamento e, nell’attesa, per la sospensione della sua efficacia.

 

Anche se poi diventerà presidente della Provincia e senatore, in questo caso agiva da difensore di 13 suoi clienti, titolari di altrettanti banchi nel mercato.

 

Chissà se dopo quasi trent’anni sono ancora lì a mordersi le dita per aver messo quella firma, comunque per la cronaca i loro nomi sono questi: Mancini Floriano, Modena Ines, Galliano Riccardo, Franza Luigi, Minti Fabrizio, Orengo Francesco, Franchetti Valeria, Ghersi Rosa, Bellone Giovanni, Gambetta Ada, Lupi Caterina, Mancini Adele e Sebastianelli Silvio, pubblicati con l’ordinanza 28 luglio 1989 n. 1239/89 con la quale il Tribunale ha respinto la richiesta di sospensione.

 

Poiché la convenzione all’articolo 5 fissava la cantierizzazione entro 120 giorni dal rilascio della concessione edilizia, cioè entro il 26 gennaio 1990, termine prorogato al 29 giugno 1991 a causa del ritardo non imputabile ai due contraenti, il Comune due giorni prima della scadenza faceva una piroetta logico-giuridica e ordinava la consegna parziale di un’area per l’esecuzione di opere strumentali.

 

Ma poco dopo alla prima onda d’urto giudiziaria, tutto sommato innocua, il 2 ottobre 1991 ne seguiva una seconda micidiale non appena il Comune ha individuato nell’ex mercato dei fiori di corso Garibaldi, quota + 3,80 metri la sede provvisoria dove trasferire per 300 giorni i banchi del mercato annonario e il 14 settembre 1991 ne ha dato avviso agli interessati.

 

I 28 ricorrenti al TAR questa volta si sono appoggiati all’avvocato Livio Sartore e allo studio Mazzoni di Genova e questi sono per la cronaca i loro nomi: Casbarra Angelina, Del Gratta Anna Maria, Filippi Flavia, Perotti Teresa, Scaramozzino Paolo, Verani Daniele, Cartacci Luisa Mirella, Berselli Guerrino, Cappello Giovanni, Abate Concetta, Cartasegna Lidia, Serafino Silvia, Squires Barbara, Amara Roberto, Rodi Giuliana, Martini Angela, Ciano Angela, Laura Angelo, Bovetti Teresa, Martignon Giselda, Campitiello Francesco, Armanetti Giovanni, Malagoli Giuseppe, Scarincella Concetta, Grasso Aurora, Restieri Domenico, Sardo Candido e Moraldo Clara.

 

Per carità, tutti ottimi cittadini e onesti commercianti che legittimamente hanno esercitato un loro sacrosanto diritto ma che, forse troppo ingenuamente, ritenevano coincidesse con il loro interesse di imprenditori.

 

Sta di fatto che il giorno dopo, esattamente il 3 ottobre 1991, il sindaco era costretto a far marcia indietro e a revocare la sua precedente ordinanza di trasferimento.

 

Per smussare gli angoli sul fronte interno, il 30 ottobre 1991 il contraente privato proponeva al Comune una variante che consisteva nell’alzare l’altezza del soffitto della sala di vendita portandola a metri 6,40 e a realizzare un piano parcheggi sotterraneo e si obbligava a pagare tutte le spese, compreso il guardianaggio, per il trasferimento provvisorio in corso Garibaldi, proposta che il 4 novembre 1991 veniva accolta dalla Giunta.

 

Sul fronte esterno, invece, quello del mercato ambulante del martedì e del sabato, indispensabile per allestire il cantiere, la marcia indietro del Comune è consistita nell’abbandono dell’idea di trasferirlo sul lungomare delle Nazioni e nella scelta di farlo in piazza Eroi Sanremesi.

 

Da democristiano salito sull’Aventino contro la Giunta Lanza dopo aver istruito per 5 anni da assessore all’urbanistica gran parte delle pratiche coinvolte mi ero fatto un’idea precisa, tipicamente “andreottiana”, del conflitto in atto che stava paralizzando quella del mercato annonario.

 

Cioè che i commercianti fossero “usati” come pedine nella gioco degli scacchi per accaparrarsi l’area di cantiere al quale partecipava l’impresa genovese che doveva realizzare il parcheggio di via Caduti del Lavoro.

 

Comunque spetterà al sindaco-meteora Canessa e all’assessore Solerio nel gennaio 1993 cantare il de profundis alla proposta con una sequela di ardite piroette giuridiche, alle quali seguirà l’insabbiamento in seconda commissione, l’intervento del Procuratore della Repubblica di cui si è detto, lo scioglimento del Consiglio comunale da parte del terzetto Scalfaro-Mancino-Malpica e l’arrivo del Commissario Prefettizio dott. Elio Priore che poserà sulla pratica la definiva pietra tombale non ostante due diffide sparate a salve dagli avvocati dello sventurato imprenditore novarese il 19 marzo e il 27 luglio 1993.  

 

Cose vecchie, superate, di altri tempi mi si obbietterà.

 

Certo, come vecchio, superato, di altri tempi è il suk col quale oggi abbiamo a che fare, una piaga aperta sulla quale Biancheri annuncia di voler mettere un costoso impacco da un milione e ottocentomila euro invece di capire dove e perché il project financing non ha funzionato e pensare quali correttivi si possono adottare in futuro che funzionino coinvolgendo i privati e senza onere per il Comune.

 

Come trent’anni fa, nel 1988, quel privato di Novara aveva proposto.