Fiano con la sua proposta di legge, ora peraltro decaduta, combatteva i rigurgiti fascisti ma non poteva prendersela anche con quelli nazionalistici non ostante il Partito di cui voleva proibire l’apologia si chiamasse P.N.F. -Partito Nazionale Fascista.

 

Glielo hanno impedito tre leggi non sue ma di un monaco agostiniano ceco, padre Gregor Johann Mendel, leggi che governano l’ereditarietà dei caratteri presenti nel cromosoma antifascista con alleli contrapposti, nazionalistici e sovranazionali.  

 

Mendel ha studiato le mutazioni genetiche del pisello odoroso io osservo, invece, quelle dell’antifascismo antemarcia, addirittura preunitario, mazziniano e risorgimentale dalle cui ceneri nascerà nel secondo dopoguerra il “Partito d’Azione”, antidoto storico alle camice nere.

 

Prima del 1921 gli unici fascisti da mandare in galera sono stati quelli siciliani, quelli dei “Fasci del popolo” che contestavano la dogana su vino, frutta e zolfo e la tassa sui mulini e che nei loro covi sotto il crocefisso appendevano le effigi di Garibaldi e Mazzini a fianco di quelle di Umberto I° e della Regina Margherita.

 

L’antifascista ante litteram fu, come sappiamo, Francesco Crispi, siciliano pure lui, epigone in gioventù del regionalismo e poi convertito al patriottismo colonialista, che stroncò i rigurgiti fascisti dell’epoca condannando a 18 anni di galera il loro capo, cancellando dalle liste elettorali quasi un milione di contestatori, sciogliendo i loro Partiti e alcune centinaia di loro organizzazioni sovversive benedette a Caltagirone dal giovane don Luigi Sturzo.

 

Poi, alla caduta di quello originale, il Partito Nazionale Fascista fondato dal socialista Mussolini nel 1921, è toccato nel 1952 a un altro siciliano, Mario Scelba, anche lui di Caltagirone e allievo di Sturzo, seppellire il morto e impedirne la resurrezione con una  legge che porta il suo nome e che all’articolo 4 punisce la “riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”.

 

Toccherà poi alla Corte Costituzionale chiarirne i limiti nel senso che Scelba non intendeva ripetere le gesta del suo predecessore e conterraneo Crispi e che il divieto si limitava a impedire una «esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista», cioè in una «istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente».

 

Palazzo della Consulta all’epoca, attenzione !, non era un covo di fascisti, ma un posto dove si erano riunite persone come Enrico De Nicola, ex Presidente della Repubblica, Gaetano Azzariti, Tomaso Perassi, Gaspare Ambrosini, Ernesto Battaglini, Mario Cosatti, Francesco Pantaleo Gabrieli, Giuseppe Castelli Avolio, Mario Bracci, Nicola Jaeger, Giovanni Cassandro, Biagio Petrocelli e Antonio Manca, per verificare la compatibilità della legge Scelba con la XIIa disposizione transitoria e finale della Costituzione.  

 

Fin qui, dunque, l’antifascismo aveva avuto come bersaglio il fascismo ed in particolare la resurrezione del morto e non il nazionalismo identitario e patriottico praticato in campo economico col protezionismo strategico, finanziario con la lira forte, industriale con IRI, ENI e compagnia bella e soprattutto previdenziale sociale a protezione delle fasce deboli della popolazione e del territorio.

 

Poi nel 1993 arriva Nicola Mancino, quello del processo sulla trattativa Stato-Mafia, per capirci, con una legge che più che anti definirei preterfascista, nel senso che non si limita a vietare l’atto ma anche l’intenzione e ultrafascista, nel senso che travalica i confini del fascismo mussoliniano e straripa sul terreno del nazionalismo tedesco o nazismo.

 

Nel mirino di Mancino c’è anche ogni altra "discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi" dove il nazionalismo che distingue gli italiani rispetto al resto del mondo diventa reato discriminatorio, al pari di quello mazziniano che addirittura era etnico e romano, anche lui diventato una forma di discriminazione razziale e a quello discriminatorio dei cristiani che non gradiscono a casa loro, nelle loro strutture sociali e istituzioni atteggiamenti, abbigliamento e quant’altro propri di altre religioni soprattutto quella islamica fondamentalista.  

 

Fino a ieri con il disegno di legge Fiano tutto questo avrebbe dovuto essere odiato per legge, fascismo, nazionalismo nostro e altrui e razzismo, compresi i loro simboli, cioè attraverso una inedita espressione di fascismo antifascista alla Crispi.

 

A meno che, essendo alla vigilia delle elezioni politiche di fine inverno, non valga l’aforisma di Nietzsche secondo il quale “non si odia finché la nostra stima è ancora poca, ma soltanto allorché si stima qualcuno come uguale o superiore” e il nazionalismo identitario nella coscienza popolare è ormai vincente in Italia.