Se ai miei tempi avessi fatto quello che vedo fare oggi, sarei -minimo- agli arresti domiciliari data l’età avanzata”, e non perché le leggi siano cambiate in senso più favorevole, anzi.

 

A essere cambiato, piuttosto, è chi dovrebbe farle rispettare e dare per primo l’esempio.

 

Questa mia riflessione parte dal raffronto di due casi identici, la vacanza del posto di dirigente del settore territorio nel Comune di Sanremo; la prima scattata nell’autunno del 1984 per impreviste e imprevedibili dimissioni volontarie e la seconda scattata il 30 settembre 2015 col pensionamento dell’interessato.

 

La copertura del posto vacante ai miei tempi, (Prima Repubblica e Amministrazione D.C.), è avvenuta nel rispetto della regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso e nel frattempo un professionista esterno per un breve periodo è stato incaricato dell’istruttoria tecnica di routine delle pratiche, la cui responsabilità gestionale all’epoca apparteneva agli organi elettivi cioè era ancora “politica”.

 

Invece, trent’anni dopo, esattamente il 10 giugno 2014, (Seconda Repubblica e Amministrazione a trazione P.D.) giorno del suo insediamento, non era soltanto previsto e prevedibile ma era assolutamente pacifico e certo il fatto che un anno, tre mesi e 20 giorni dopo il dirigente andasse collocato in pensione.

 

Dunque per sostituirlo c’era tutto il tempo occorrente ad esperire le indispensabili procedure concorsuali soprattutto in considerazione del fatto che sull’impero burocratico del dirigente in questione non tramontava il sole grazie all’interim di dirigente del settore dei lavori pubblici, posto anch’esso vacante.

 

Sotto il suo scettro fin dal 1993 la legge aveva messo “la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo”.

 

Poteri di gestione rafforzati nel 1997 dal “Bassanini-bis” e poi nel 2000 dal Testo Unico degli enti locali e nel 2001 da quello del pubblico impiego.

 

Lo ricordo non per pignoleria ma perché ancora il 25 febbraio 2015 la Corte Costituzionale annullava addirittura tre decreti-legge con i quali il Governo aveva autorizzato le proprie Agenzie delle Entrate, delle Dogane e del Territorio ad aggirare la regola del pubblico concorso.

 

Aggiramento che invece il 14 luglio 2015 farà furbescamente il Comune a Sanremo dopo avere permesso per tutto l’anno precedente che il suo personale d’ordine non abilitato esercitasse di fatto prerogative dirigenziali di fondamentale importanza, per esempio nelle istruttorie per l’adozione del Piano Urbanistico Comunale e per l’outlet “The Mall” in variante al Piano Regolatore Generale.

 

Il Comune lo ha fatto da “furbetto” trincerandosi dietro il paravento della selezione pubblica per l’affidamento dell’incarico a tempo determinato, decisione che la legge ammette in via residuale e quindi formalmente legittima, ma che alla scadenza lascia eluso l’obbligo costituzionale di esperire la procedura concorsuale e, ovviamente, non garantisce le indispensabili condizioni di “terzietà” della dirigenza incaricata.

 

Tutto ciò è puntualmente accaduto a fine anno 2017 con la “promozione” del benemerito a un importante posto in Toscana e col persistere, quindi, “sine die” della vacanza del posto di ruolo, il che conferisce al Sindaco un formidabile potere di condizionamento e di spoyl sistem su funzioni che la legge vuole imparziali e indipendenti dalla “politica” e dagli organi elettivi.

 

A dirlo non sono io ma la Commissione tributaria regionale della Lombardia con la sentenza n. 2184/13/15, depositata il 19 maggio, basata sulla sentenza costituzionale del 25 febbraio 2015, che ha annullato tutti gli atti dell’Agenzia delle Entrate firmati dai dirigenti incaricati e non stabilmente incardinati in organico a seguito di pubblico concorso, aggiungendo che tale nullità può essere rilevata in ogni grado e momento della lite, anche d’ufficio.

 

Se a Sanremo si fossero invertite le parti e oggi, e non nel 1984, ci fossi io in veste di “furbetto” mi troverei relegato a domicilio a sfogliare fascicoli penali che mi chiamavano a rispondere di una variopinta dietrologia, o di affinità o di sangue, o di conflitto d’interessi, o di voto di scambio, tutte cose che mi avrebbe indotto ad abusare del mio ufficio e a fare anche peggio.

 

Suffragette e toghe rosse sarebbero andate a leggersi il certificato storico catastale dei terreni dell’outlet “The Mall” per scoprire affinità o parentele mie o di miei familiari, oppure zelanti paraculi in carriera sarebbero andati a investigare sui miei rapporti con chi sta portando avanti l’operazione Ghersi bloccata da decenni o la permuta di via Barabino e avrebbero riesumato la fandonia della “cupola della Valle Armea”, mia e dei compianti Tetamo e Revelli, o chissà cos’altro ancora.

 

Ma a Sanremo c’è un detto che, più o meno, suona così: “Se, Barba Se ul’è u paire d’i cujassi!” e non essendosi invertite le parti il “cujasso” rimango sempre io mentre quelli di oggi risultano “furbetti” al di sopra di ogni sospetto.