Tra i due litiganti Minniti non gode, anzi soffre terribilmente perché sia lui che quelli che menano i suoi poliziotti hanno il medesimo colore, il rosso, la medesima religione, l’antifascismo, e la medesima matrigna “abbagasciata”, la democrazia.
Sul fronte opposto, invece, godono i nostalgici che, come Mao, marciano divisi ma sono calcisticamente uniti perchè, come il Barça, puntano a un unico bersaglio, la “remuntada”.
Si sprecano le analogie con gli Anni Settanta, sortilegio dei pavidi perché allora è andata bene e la democrazia ha vinto, e bugia dei furbi che accendono i riflettori sui peccatori e non sui peccati commessi dalla loro matrigna moribonda.
Ora la aspetta una eutanasia dolce per i vetero-antifascisti e un bel colpo alla nuca per tutti e due i litiganti, pseudo-fascisti e neo-antifascisti.
Una volta, con i vari Napoleone, Trotski, Lenin, Pilsudski, Primo De Rivera, Franco e Hitler e con i loro replicanti caricaturali in Sudamerica, in Africa e in Asia l’obitus si chiamava colpo di stato, adesso omicidio del consenziente.
E il suo consenso la democrazia italiana lo ha dato in un testamento biologico che risale a tanti anni fa.
Se fosse vivo don Luigi Sturzo, vetero-antifascista esiliato dal fascismo, potrebbe ricordarci la data precisa, il 16 settembre 1958, quando al Senato nella III legislatura ha presentato il disegno di legge n. 124 «Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche ed amministrative» in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione.
All’epoca dei due blocchi con i grandi Partiti strutturati e finanziati dall’Unione Sovietica e dagli USA la proposta del fondatore del Partito Popolare era come lanciare fumo negli occhi e lo stesso per i piccoli che tettavano dalle lobby economiche e finanziarie, salvo l’MSI di Almirante, fuori dal giro costituzionale antifascista.
Essere costretti come persone giuridiche a portare gli elenchi, i registri e i libri contabili in Tribunale e magari a dover rispettare qualche requisito statutario obbligatorio in materia di fedina penale e di titolo di studio dei candidati era incompatibile con la provenienza dei rubli e dei dollari e anche per il materiale umano a disposizione.
E dire che già in precedenza al Senato il 27 giugno del 1957 proprio in merito al rispetto dello spirito della Costituzione don Sturzo aveva lanciato un monito solenne: "La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà".
Terreno sodo che si chiama democrazia, che è stata offesa e manomessa ed è caduta nel cuore del popolo in questi sessant’anni non ad opera dei nostalgici additati come lebbrosi ma di quelle stesse autorità politiche e di quelle istituzioni che avrebbero dovuto difenderla e rispettarla.
A dirlo non sono io ma il “Democracy index” internazionale applicato a 167 Paesi e basato su precisi parametri come la legislazione elettorale, il pluralismo, le libertà civili, la funzione del governo e le forme di partecipazione politica e culturale.
Noi siamo al 29º posto della classifica generale ma il nostro punteggio di 7.85 ci colloca in Serie B, quella delle “democrazie imperfette”, quelle della confusione delle lingue e delle idee e dell’assenza della dialettica civile.
E infatti siamo alle botte da orbi, l’unica cosa in comune con lo squadrismo del primo dopoguerra.
Per il resto applicherei alla nostra moribonda democrazia il giudizio che don Sturzo, esule a Londra, diede del fascismo (L. Sturzo, Italy and Fascismo, London, Faber and Gwyer, 1926. p. 258): “Leviatan che assorbisce ogni altra forza e che diviene l’espressione di un incombente panteismo politico dove non c’è più posto per l’uomo, individuo libero, fine dello Stato e della società”.
Quello di Mussolini era un regime solido e forte che comprimeva con la democrazia lo Stato e la società, quello di oggi è invece un regime liquido e debole che non soltanto dissolve con la democrazia lo Stato e la società ma anche le più naturali certezze degli individui.