Eran mille e settecento, eran giovani e forti, e sono morti…” mi è venuta in mente la spigolatrice di Sapri con la sola differenza che quello, “con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro un giovin camminava innanzi a loro…” non era Pisacane ma Zoccarato.

 

Infatti, di questi tempi, ma nove anni fa, al teatro Centrale manipoli di camicie azzurre osannavano entusiasticamente un “enfant prodige” che alla testa di tre armate doveva cambiare Sanremo.

 

Secondo la Questura erano -appunto- 1.700 e i pompieri per sicurezza avevano dovuto lasciarne buona parte fuori dalla sala.

 

Al centro avanzava l’armata giacobina del “Popolo delle Libertà”, innalzando verso il cielo vessilli e alabarde, coprivano l’ala destra dello schieramento le 29 amazzoni di “Sanremo è donna” mentre a sinistra erano posizionati i 30 sanculotti di “Sanremo vince”.

 

La meteora leghista di Oddo era sparita all’orizzonte da decenni e poco dopo anche il Partito etnico degli immigrati abruzzesi, i grillini indossavano ancora la divisa dei “Figli della Lupa” e i post-comunisti di Borea avevano tolto il disturbo in anticipo consegnando le chiavi del Comune a un Commissario Prefettizio dopo aver prosciugato per quattro lunghi anni i pozzi che la disinvolta amministrazione di Bibì & Bibò aveva dovuto abbandonare per forza maggiore.

 

Davanti al rampante “Aiglon” di Scajola si erano spalancate pianure sterminate da attraversare al galoppo con la spada sguainata e su un cavallo bianco e nessun nemico avrebbe mai potuto ostacolarne l’irresistibile marcia verso la palingenesi cittadina.

 

Poi sappiamo come è andata a finire, in vacca, sul campo con la Waterloo dell’invincibile armata e nelle retrovie con un “8 settembre” e la guerra civile.

 

Così sotto le insegne post-comuniste di Biancheri, assessore e costola di Borea, disertava il fior fiore dei bellicosi giacobini, con Donzella, Il Grande, Di Meco e Menozzi, mentre il “Popolo delle Libertà” si divideva in “Forza Italia” del badogliano Rolando e in “Fratelli d’Italia” dell’ortodosso e integralista Berrino.

 

L’ingaggio a costo zero di altri giacobini “ante marcia” della prima ora come Bellini e Fera, e la cacciata dei trotskysti Faraldi e Cassini non servono oggi a sbiancare il rosso della costola Biancheri che, come un camaleonte mercenario, vorrebbe salvarsi la poltrona indossando la divisa di Sciaboletta e sparando sulla “banda Toti”.

 

La parabola calante della classe politica sanremese prosegue inesorabile in questi giorni sotto l’impulso di miracolosi ravvedimenti, di prodigiose vocazioni e di mistiche visioni notturne che spiegano il proliferare di scuole di pensiero, di laboratori di idee, di incubatori di startup, di circoli, di club, di salotti e di gruppi e gruppetti.

 

Tutto questo agitarsi fa la gioia e la fortuna di paraculi e opportunisti impegnati nella logistica di sostegno, nelle pr e nella fureria.

 

Così questa volta, ma nove anni dopo, al teatro Centrale la storia si è ripetuta non più come tragedia dei 1700 ma come farsa dei 100 giovani e forti, che indossavano camicie bianche in una atmosfera di managerialità e di professionalità utile a separare gli amministratori in pectore dal volgo che chiede a gran voce di essere amministrato,

 

I vessilli, le alabarde e i manganelli li hanno lasciati nei ripostigli, i toni messianici hanno fatto posto a un sano realismo verbale e il candore dei neofiti si è emulsionato con l’esperienza di vita vissuta dei vecchi marpioni resuscitati e della solita retroguardia degli apericena, delle vigorose vogate in mare e delle spensierate biciclettate in montagna.

 

Per carità, niente di male, è il ciclo delle stagioni, dopo l’inverno di sinistra arriva la primavera di destra o viceversa, ma - sono i contadini a ricordarlo - i frutti si raccolgono d’estate e d’autunno ed è lì che per raccoglierli i teneri virgulti di destra e di sinistra si sbranano, sradicano gli alberi e bruciano le messi.

 

Viene in mente a un pessimista come me il bisogno di integrare l’anatema di Brecht sulla sventura di quei popoli che hanno bisogno di eroi con l’aggiunta dei manager, degli enfant prodige e dei bisognosi non necessariamente economici ma anche soltanto narcisistici e autoreferenziali perché in politica e in amministrazione pubblica la sterile masturbazione delle idee e dei sogni non giova a nessuno.