Lunedì prossimo a Sanremo se sedesse in Consiglio comunale Aristotele chiarirebbe all’assemblea, convocata per approvare il bilancio 2018, la differenza tra forma e materia.

 

Non mi riferisco ai capitoli di spesa iscritti per memoria e da finanziare “a babbo morto” ma a un debito fuori bilancio che in passato qualche persona fisica con tanto di nome e cognome ha causato e che qualcun’altra ha ordinato e che adesso i consiglieri comunali saranno chiamati ad avallare e poi a spiegare alla Corte dei Conti.

 

L’ammontare del debito lo ha determinato il Giudice in € 1.109.000 e quindi non è in discussione ma la condanna del Comune ha contenuti ancora da chiarire in sede di responsabilità amministrativa perché il sindaco ha l’obbligo di trasmettere la delibera alla Corte dei Conti a Genova.

 

Sono gli elementi che potranno aiutare il magistrato inquirente a trovare i responsabili sia diretti e sia di regresso, questi ultimi già identificati nei consiglieri comunali che lunedì approveranno la delibera di accollo dei debiti fuori bilancio.

 

Di questo parlerò all’atto secondo, adesso mi riferisco a un aspetto dimenticato.

 

Dieci anni fa, in attesa del responso giudiziario, toccavo sull’Eco della Riviera sotto il titolo “Lo scolmatore: quando l’ingegneria diventa un’opinione, chi paga?” un aspetto non meno importante della vicenda, quello ambientale sollevato dal Secolo XIX in termini fortemente critici.

 

Lo riporto, pari pari.

 

“Oggi 14 dicembre 2008 è arrivato direttamente dal comune di Sanremo la sentenza: gli alberi di alto fusto di corso Mombello saranno interamente sacrificati allo scolmatore del San Romolo.

 

E’ una di quelle pillole amarissime alle quali i sanremesi hanno ormai fatto l’abitudine e a pubblicarla è il Secolo XIX sotto il titolo “Scolmatore, addio ai giardini del Mombello”.

 

Che l’opera fosse non solamente necessaria ma addirittura indispensabile e urgente, non ci piove.

 

Scontata è anche la riconoscenza alla Provincia di Imperia e alla Regione Liguria per averne dichiarato l’assoluta priorità e per averla finanziata.

 

Era poi del tutto pacifico, fin dagli inizi, che si trattava di opera impegnativa, da realizzare nel centro abitato, a contatto con edifici di varie epoche, tra mille interferenze da rimuovere e vincoli coi quali convivere, in continuo conflitto con le esigenze del traffico cittadino e col rischio sempre incombente di una piena improvvisa.

 

Però, non mi trovano d’accordo, come dire? la dominante sua aleatorietà nella fase realizzativa, la sostanziale imprevedibilità e la permanente incertezza per il continuo succedersi di scoperte, sorprese e varianti che hanno fatto saltare il cronoprogramma, la curva di Gannt e molte altri parametri dell’appalto, tra cui, immagino, anche i costi.

 

Che l’ingegneria sia diventata un’opinione?

 

Il dubbio mi assale rileggendo la relazione strutturale, illustrativa e di calcolo del progetto esecutivo originario, risalente al luglio 2002, dove il leitmotiv è quello dell’intervento sui manufatti esistenti “in modo più conservativo possibile” mediante impiego di paratie “berlinesi” realizzate con micropali legati tra loro da cordoli in cemento armato, con o senza tiranti a seconda delle caratteristiche delle fondazioni dei fabbricati ai due lati di via Feraldi e sul lato est di via Matteotti, via Roma e di corso Mombello.

 

Grazie a queste opere provvisionali le certezze, moltiplicate col “copia e incolla”, si sprecavano: “La soluzione provvisionale prevista consentirà di evitare ogni possibile cedimento delle fondazioni dei fabbricati limitrofi” (pagina 3, pagina 5, pagina 6, pagina 7); “Ai fini di realizzare lo scavo necessario senza arrecare alcun danno ai manufatti esistenti …” (pagina 5, pagina 7) e via dicendo.

 

Invece, a quanto pare, i cedimenti e i danni ci sono stati, se un giudice ha fermato i lavori e per poterli riprendere si rende ora necessario addirittura radere al suolo i giardini del Mombello.

 

Il Comune è assicurato per i danni ai terzi, mi si dirà, e meno male; ma quando a subire il danno maggiore è lui, come succede per la perdita di un inestimabile patrimonio naturalistico ed ambientale, chi paga?”.

 

Oggi 17 aprile 2018 posso rispondere sul milione e cento nove mila euro che intasca l’impresa ma non sul resto perché, purtroppo, il difetto è sempre e solo nel manico che a Sanremo è bravo a trincerarsi dietro alla burocrazia.

 

Troppo comodo per il cittadino che si lamenta ma per i responsabili funziona.