Per Scott Fitzgerald non esistono secondi atti nella vita degli americani.
A differenza dei sanremesi, aggiungo io, che di secondi atti ne hanno avuti a bizzeffe; con l’aggravante che il loro “decennio perduto” dura all’incirca trent’anni.
Non mi riferisco ai ruggenti Anni Trenta della bellissima esposizione della “Famija Sanremasca” a Santa Tecla ma a quelli successivi a partire dagli scellerati Anni Sessanta rievocati nell’affresco di Calvino sulla “Speculazione edilizia” per arrivare al trentennio che sta per concludersi che definirei degli schizofrenici Anni Novanta,
Il trentennio perduto è iniziato con la seconda Repubblica e anche a Sanremo ha avuto come levatrice “Mani Pulite” ma in chiave minore con tre maxi inchieste sul mercato dei fiori, sull’Aurelia bis e sulla nuova viabilità di valle Armea e con l’immancabile blitz al casinò.
L’atto secondo è stato quello dell’epopea di Bibì & Bibò alla corte di Sciaboletta, l’atto terzo il quadriennio rosso che ha inaugurato la stagione dei manager-Houdinì prestati alla politica e la comica finale l’hanno interpretata i due imprenditori, Borea e Zoccarato che in successione hanno abbandonato la bottega per salvare la Patria, non lo avessero mai fatto!
Sanremo si affacciava al Duemila nell’ultimo decennio del secolo avendo a portata di mano opportunità straordinarie a condizione che una accorta regia politica avesse saputo farle affrontare realisticamente le novità negative delle trasformazioni all’orizzonte nei settori trainanti della sua economia, il turismo, la floricoltura, l’edilizia e i servizi.
Il peccato mortale è stato quello di credere che la cabina di regia fosse ancora e sempre il Comune, come ai bei tempi quando tutto gli ruotava intorno, dall’edilizia delle licenze singole alla floricoltura gravitante sul suo plateatico, dal mostruoso budget degli spettacoli e delle manifestazioni turistiche al bacio dell’anello del gestore privato della casa da gioco.
I primi segnali che andavano colti provenivano dal Viminale e dai suoi prefetti inviati in Comune per non avere privatizzato il casinò e al casinò per snidare Capitan Uncino.
Poi sull’edilizia non si è voluto capire che la festa era finita e così i due PUC successivi sono caduti negli eccessi opposti del "troppo e male" il primo nel 2003 e del "nulla e peggio" il secondo dodici anni dopo,
Lo spostamento del plateatico da corso Garibaldi all’Armea è avvenuto fuori tempo massimo per tante ragioni, dal drenaggio dei grandi esportatori al rafforzarsi delle cooperative, dalla contrazione della produzione locale al boom dell’import straniero e alla rivoluzione della logistica.
Le grandi opere infrastrutturali, avviate al di sopra e al di fuori del Comune sul finire del trentennio precedente erano passate indenni sotto le forche caudine di “Mani Pulite” ed erano vaccinate, invece sono finite nel tritacarne dello scandalismo giustizialista e del carrierismo giudiziario.
Ma a soffrire maggiormente della schizofrenia politica è stato il turismo, un po’ di massa ma con ambizioni e strategie elitarie e un po’ a caccia della clientela VIP con sardenaira, noci e fichi secchi.
Il trentennio perduto finirà con la fine di questa amministrazione all’insegna della decrescita infelice e stordita che si lascia dietro macerie e debiti.
La Città, all’alba del nuovo trentennio avrebbe bisogno di una Costituente cittadina per scoprire le carte che le categorie economiche e sociali hanno ancora in mano e metterle sul tavolo ma non con il Comune dei burocrati col paraocchi e dei politici burletta che devono stare fuori dalla porta perché la cabina di regia non è più lì dentro.
Solo a queste condizioni dopo il trentennio perduto potrà esservi la riedizione dei ruggenti Anni Trenta col medesimo spirito di allora.