Si deve a Giuseppe Conte la scoperta che l’acronimo c.v. non significa cavallo vapore e da quel momento il curriculum vitae è diventato la carta vincente per chiunque aspiri a una carica elettiva.

 

Sanremo non fa eccezione e ogni aspirante sindaco, grazie ai meriti del proprio passato, è persuaso di essere il Conte della situazione in grado di realizzare il contratto di governo cittadino sul quale mettere d’accordo un pugno di cronici incorreggibili litiganti.

 

E’ un modo autoreferenziale per eludere qualche imbarazzante interrogativo.

 

Il primo: ma se possiedi tutte queste capacità e hai a portata di mano tante opportunità, chi te lo fa fare di perdere tempo e danaro in una carica onorifica a basso reddito e ad alto rischio?

 

Il secondo: sei davvero convinto di poter concentrare sulla tua persona 13 mila voti per andare al ballottaggio e poi di aggiungerne altri 3 mila che servono per uscirne vincitore?

 

Il terzo: ti sei coperto di gloria nel tuo mestiere, ma se lo cambi quali garanzie offri di saperlo fare altrettanto bene?

 

Chi ignora il passato è condannato a riviverlo, sulla paternità di questo monito l’aforismario è incerto, non però sulla sua perenne validità e anche in questo caso Sanremo non fa eccezione viste le tante sue storie da ricordare.

 

Storie di palingenesi, perché i sanremesi non hanno mai amato le mezze misure fin dai tempi della D.C. quando da piazza del Gesù arrivavano i tagliatori di teste a eliminare una intera generazione di amministratori per sostituirla con un’altra in nome del rinnovamento reso necessario da uno scandalo o imposto dal padronaggio correntizio degli imperiesi.

 

Dopo “Fiffo” Siffredi e il suo c.v. partigiano ho visto sorgere e tramontare col c.v. dell’Azione Cattolica la generazione di “Nanin” Asquasciati, seguita dall’intermezzo del “Carrozzone” del senatore Anfossi col c.v. del socialismo ecumenico, quindi quella di Francesco Viale col c.v. doroteo, e poi quella dei “Giovani Leoni” col c.v. corto per ragioni anagrafiche fino al quinquennio 1984-89 di terapia intensiva in codice rosso nel quale mi sono trovato invischiato per il mio c.v. di dirigente pubblico che ama il proprio lavoro.

 

Con la Seconda Repubblica e “Mani Pulite” il c.v. è venuto a coincidere con l’iscrizione nel Registro Mod. 45 “Atti non costituenti notizia di reato” della Procura della Repubblica e quindi era “ad excludendum”, veicolato dai mass media, rosso come il mittente e la toga del destinatario.

 

Si inaugura così la stagione del “Codice Penale nel cavagno” che manda in soffitta la Politica infingarda e i Politici profittatori e personalizza il c.v. del Sindaco che deve essere un “non bisognoso” che scende in campo ma soltanto in prestito.

 

Sanremo, dopo un avvocato leghista, sindaco per caso, finirà quindi in successione sotto le cure di un otorinolaringoiatra e poi di tre venditori, il primo auto usate, il secondo di bidet e il terzo, tuttora in carica, di bulbi.

 

Per carità, niente da eccepire se agli esordi a queste attività avessero aggiunto nel loro c.v. un giorno, dico: un giorno, di esperienza amministrativa.

 

Invece niente, il che li ha resi ostaggio della burocrazia comunale con la quale questi Sindaci hanno convissuto pensando di guidarla mentre invece ne era guidati.

 

Soltanto l’ultimo, Biancheri, lo ha capito e per convivere con la Politica, locale e fiorentina, invece di bandire i concorsi per i posti vacanti si è creata una burocrazia “ad personam” con dirigenti di staff usa e getta sfruttando la facoltà che l’articolo 110 del Testo Unico gli riconosce di conferire incarichi fiduciari fuori ruolo e a tempo pieno ma determinato che scade alla scadenza del proprio mandato sindacale.

 

Grazie a questo escamotage la Politica è rientrata dalla finestra dopo essere uscita dalla porta.

 

Alle prossime elezioni amministrative il c.v. del Sindaco uscente sarà quello del proprio staff, gli elettori è bene che lo sappiano, la sua è la voce del ventriloquo e non del Conte di Sanremo.