Per adesso a Sanremo c’è un solo capocordata con la corda dal basso, Sciaboletta.

 

Tutti gli altri si arrabattano ancora in una ammuina a base di spritz e salatini, si ammirano e si compiacciono come i cicisbei del Settecento, cavalier serventi di un Tommasini sospettato di essere imbragato dall’alto alla corda aziendale.

 

Il boss imperiese è tifoso della Roma e come Mister Eusebio non cambia mai modulo, così ogni sua mossa in campo è sempre prevedibile e io ho capito tutto da un pezzo, modulo e squadra.

 

Il metodo è sempre quello: pazienza e assiduità nel catalizzare il dissenso, organizzarlo alla chetichella per vie parallele e separate una dall’altra e trasformarlo in consenso con la tecnica della distrazione dai temi originari, del “problem solving” su questioni inconferenti create “ad hoc”, del presentare la soluzione come il male minore, della melina e dell’abbassamento dei toni, dell’autoconfessione collettiva che cancella le colpe individuali, della vischiosità nelle relazioni personali per restare sempre aggiornato sui movimenti nell’accampamento avversario.

 

Tutto questo senza mai apparire se non nelle occasioni ufficiali.

 

Il modulo segue il metodo e così la partita fuori casa di Sanremo copia fedelmente quella casalinga di Imperia, con l’unica variante della punta, che per forza di cose è Biancheri non avendo lui il dono dell’ubiquità.

 

In questo momento, martedì 6 novembre 2018, sul taccuino di Sciaboletta le caselle sono ancora vuote, i giocatori con le gabbane pronte negli spogliatoi e per la formazione delle due squadre c’è soltanto l’imbarazzo della scelta.

 

Due squadre, sottolineo, perché quella del maggio 2019 a Sanremo più che una partita si profila come una simulazione, sempre che le cose non cambino nel frattempo.

 

Per rendersene conto occorre riavvolgere la moviola fino al 9 dicembre 2001 quando Sciaboletta, da sei mesi al Viminale, ingabbiava il consenso bulgaro di Bottini e dei club sorti spontaneamente sul territorio e lo affidava a una “nomenklatura” di obbedienza cieca e assoluta, come lui nella DC aveva imparato a fare con Taviani e come aveva praticato con Berlusconi come coordinatore nazionale di “Forza Italia”.

 

I nomi degli “apparatcik de noantri” sono noti: “Bibì” coordinatore cittadino, suo vice e tesoriere Giampiero Correnti, poi come membri Giuseppe Di Meco, Alessandro Mager, Onorato Lanza, Giuseppe Sbezzo Malfei, Enrico Paglialunga ed Elio Bossi.

 

Il povero sindaco Bottini, bontà loro, fu cooptato senza diritto di voto assieme a Giuliano, presidente della Provincia e al senatore Boscetto.

 

Per mascherare il “golpe” e addolcire la pillola ai peones della “rivoluzione azzurra” che col 74 % di suffragi si erano impadroniti di Palazzo Bellevue, vennero ammessi ad assistere per i club Bruno Serpi, per i “Promotori azzurri” Romano Capponi, per le donne forziste Monia De Rogatis e per i seniores Pierino Mureddu.

 

È da quel momento che i peones di “Forza Italia” hanno cominciato a non capire ed è caduto tra le loro file il germe del malumore, poi dello scontento e infine col Mago Zoc del dissenso, un seme cresciuto in 17 anni fino a diventare l’albero dei malpancisti dal quale cadono i frutti che Sciaboletta adesso raccoglie.

 

La cordata Biancheri si allunga con gli sherpa della Lega che di malpancisti se ne è lasciate dietro intere legioni grazie alle purghe della “nomenklatura” imposta prima da Milano, poi da Ventimiglia e infine da Genova.

 

In sintesi: gli elettori di Sanremo in questo momento sono tutti incazzati, non hanno ben chiaro con chi e perché, ma sono tutti fortemente incazzati.

 

Lo dimostrano i grillini, passati dai 2.897 voti del 2014 agli 8.030 delle politiche di marzo, e i 6.195 voti dei leghisti contro i 1332 delle amministrative insufficienti ad aprire loro le porte del Consiglio comunale.

 

Per capirci, se per assurdo a Sanremo ci fosse un Mattarella e un Conte capocordata, lui arriverebbe in vetta al primo turno, senza ballottaggio e in barba ai giochi di Sciaboletta.

 

Ma non è così, e il capocordata di Imperia è uno skipper formidabile nello sfruttare il vento del dissenso, lui viaggia di bolina stretta mentre l’altra barca insegue in fil di ruota e rischia di strambare.