Ingegneri! Vi ammiro, ma vi disprezzo!” questa è la mia opinione-ossimoro sulla Corporazione e su ciascuno di loro quando lo incontro per strada.

 

Hanno il potere di eccitarmi la ghiandola pineale, di scaricare la “molecola di Dio” nella mia testa e di aprire il terzo occhio che vede l’invisibile.

 

E soprattutto, prevede.

 

Devo ammettere, a onor del vero, di aver conosciuto molti ingegneri che ho ammirato senza doverli disprezzare ma la loro specie, purtroppo, si va velocemente estinguendo.

 

Tanto per citarne uno a mo’ d’esempio, ho davanti a me la figura dell’ingegner Ilarione Poli capo del Genio Civile di Imperia, austero ministro di una professionalità asettica e neutrale che nel suo delicato ruolo possedeva l’arte di adattarla alla realtà con equilibrio e buon senso.

 

Questa mia riflessione nasce dalla notizia che a distanza di vent’anni una delle tante ferite aperte nel corpo di Sanremo non sarà rimarginata in tempi brevi e -stando alle statistiche di Boeri (INPS) sulla speranza di vita- si accompagna alla previsione di non riuscire più a salutarne la guarigione definitiva.

 

Parlo dell’auditorium “Franco Alfano” progettato dall’architetto Antonio Opassi sull’Imperatrice all’interno del Parco Marsaglia e realizzato dal Comune nel 1957, tre anni dopo la morte del musicista.

 

Per quarant’anni esatti ha ospitato spettacoli fino a quando nel luglio del 1997 la Commissione di Vigilanza della Prefettura di Imperia l’ha dichiarato inagibile a causa della presenza di lesioni nel sottopalco e di carenze dell’impianto elettrico.

 

Se ne occuperà da allora e usque ad ultimum exitum vitae un ingegnere ubiquo, polivalente e perpetuo, prima in qualità di “esperto” consulente tecnico del Comune, poi -a cascata- di progettista del risanamento conservativo, quindi di coordinatore capofila dell’equipe di progettazione architettonica, edilizia e strutturale della demolizione e ricostruzione con ampliamento, poi anche di progettista e di coordinatore della sicurezza e di direttore dei lavori e ultimamente di nuovo di progettista assieme a sua figlia delle opere di completamento, in attesa di riacquistare per usucapione ventennale le funzioni dismesse sui lavori e sulla sicurezza non appena il Comune avrà aggiudicato l’appalto del primo lotto di 700.000 euro.

 

Ed è appunto leggendo il 7 dicembre scorso sul Secolo XIX che tutte e venti le Imprese sorteggiate e invitate a presentare una offerta avevano risposto picche che la mia epifisi ha rilasciato il “divino neurotrasmettitore” il quale, a sua volta, ha attivato in me il terzo occhio e scatenato una sindrome che in gergo ligure si chiama “mia c’a te miu”.

 

Tutto ciò mi ha riportato indietro nel tempo, esattamente al 3 marzo 1995 quando un corpulento assessore leghista al turismo annunciava al popolo plaudente che l’incarico di rifare da cima a fondo il teatro all’aperto, già allora pericolante anche se ancora agibile, era stato affidato dal sindaco Oddo nientemeno che all’architetto Gaetano Castelli, docente della “Sapienza” di Roma e scenografo RAI di 19 edizioni del Festival, una figata.

 

Passano neppure due mesi e il 27 aprile un golpe verde-azzurro stroncherà sul nascere l’avventura leghista a Palazzo Bellevue e al posto del celebre progettista che era stato autore anche del “Moulin Rouge” di Parigi arriverà poco dopo (e per altri meriti) il nostro ingegnere domestico, ma poliedrico, polivalente e polimorfo, che in passato era stato anche consigliere e assessore socialdemocratico, per poi diventare presidente della Commissione Edilizia e infine responsabile del settore “Territorio” nella “Forza Italia” di Scajola, Bissolotti e Mager.

 

Su incarico dell’ingegnere-capo comunale e nella versione iniziale di “esperto” il nostro eroe nel marzo del 1998 stenderà una lunga consulenza che riassumo nella parola “galleggiamento”, a significare che le crepe nel palco e nelle tribune provenivano dalla presenza nel sottosuolo di acque ipogee non meglio identificate sulle quali, appunto, l’auditorium si trovava a galleggiare.

 

Una delle ragioni del mio disprezzo per la Corporazione nasce da casi come questo, frequentissimi a Sanremo, come dimostra la statistica delle frane ricorrenti, da Capo Verde al Solaro, dalla Villetta al Borgo, sul litorale e nell’entroterra.

 

Invece di affrontare il male alla radice con opere costose, che non si vedono e che interferiscono pesantemente con la vita quotidiana ma sono indispensabili, l’ingegnere-tipo presenta la quadratura del cerchio che al cliente (Pubblica Amministrazione o soggetto privato) permetterà di portare a casa il massimo risultato col minimo di spesa rimuovendo o minimizzando o scaricando sul prossimo i costi e, quando si verificano, anche le responsabilità e le conseguenze relative.

 

Il caso “Auditorium Alfano” non fa eccezione, anzi rientra perfettamente nella regola perché galleggia è vero sul reticolo sotterraneo dei rii Rocco e Mafalda però lo fa all’insaputa dell’ingegnere multidisciplinare che si limita ad attestare il fenomeno senza andare oltre. 

 

Si tratta di un bacino-fantasma di poco più di mezzo chilometro quadrato a forma di triangolo con la base sull’Imperatrice e con il vertice appena sotto la curva “del Parente” della strada che sale a San Bartolomeo.

 

Fantasma perché i due corsi d’acqua non si vedono mai ad occhio nudo e il loro percorso sotterraneo verso il mare è sconosciuto se non nei tratti terminali incanalati in collettori di cemento.

 

La loro presenza però è puntualmente percepita ad ogni esondazione, come è successo nel 1994 quando il rio Mafalda ha allagato il ristorante dell’albergo Lolli e quattro anni dopo, il 30 settembre 1998, quando (riferiscono gli atti tecnici ufficiali) “l’insufficienza dei rii ha provocato l’esondazione delle portate defluenti a monte di Corso Inglesi che si sono riversate lungo via Nuvoloni, via F.lli Asquasciati e via Roccasterone, provocando l’allagamento in prossimità di Largo Nuvoloni, invadendo con un battente di acqua di 60-70 cm il corso Imperatrice ed il piazzale della stazione ed allagando completamente il sottopasso pedonale.”

 

La quadratura del cerchio all’inizio millennio si imponeva al nostro ingegnere perché quelli erano gli anni delle vacche grasse, quando dallo scalone del Casinò scorrevano fiumi di miele e di ambrosia e l’assessore al turismo Bissolotti era impegnato a stupire il mondo con spettacoli pirotecnici e magici eventi pagati a peso d’oro.

 

Il Teatro del Mare, come sappiamo, è figlio di quella sfida che si concluderà nel modo che tutti ricordiamo.

 

E’ stata la fretta in questo caso più che il danaro a indurre una ulteriore insaputa nel Nostro, questa volta in tema di geometria dei solidi dopo la demolizione dell’auditorium e davanti a una voragine con fronti di scavo di una dozzina di metri con palme da dieci tonnellate e una quindicina di metri di altezza pericolanti sul ciglio.

 

C’è un gruppo facebook che pubblica i dagherrotipi del Castello Marsaglia e ancor prima quelli dell’albergo inaugurato da pochi anni e demolito per creare il Parco con materiale di riporto e essenze tropicali e la strada di accesso a fianco del rio Rocco.

 

Bastava dare un’occhiata a quelle immagini, non necessariamente con occhi esperti di ingegnere ma anche soltanto di geometra prestato alla Politica (come gli assessori Cugge e Silvano) per capire che lì per ricostruire  in quel posto un auditorium ancora più ampio e più profondo occorrevano “opere costose, che non si vedono e che interferiscono pesantemente con la vita quotidiana ma sono indispensabili”, come dicevo prima, e soprattutto opere che ritardano il taglio del nastro e la ripresa della “festa continua” coi fondi del Casinò.

 

Così i quattro ingegneri che hanno progettato (Delaude), appaltato (Trucchi) e collaudato in corso d’opera (Rolando e poi Risso) hanno messo l’appaltatore (Negro) davanti a una alternativa: o scappare come adesso hanno fatto i venti invitati dal quinto ingegnere (Burastero) oppure eseguire le opere di bonifica e consolidamento non previste dal progetto e non finanziate.

 

Quindici anni fa decise di restare, fare i lavori e poi pretendere di essere pagata, mal gliene incolse, mai scelta fu peggiore di quella.