Ai miei tempi spettava alla religione e all’ideologia servire le verità di fede, adesso dopo la morte di Dio, di Marx e dei rispettivi antagonisti le verità di fede vengono servite da un oracolo economico-finanziario, come se il destino dell’uomo fosse il pareggio di bilancio in terra e il dividendo in Cielo.

 

Al posto del catechismo e del Capitale c’è la partita doppia mentre a scandire le tappe della moderna Via Crucis sono i misteri dolorosi contabili, bancari, fiscali e contributivi.

 

Fa male a un cattolico obbediente e osservante toccare quotidianamente con mano questa triste realtà quando Cristo invece nella parabola dei talenti ha messo in bocca al servo “malvagio e pigro” un giudizio errato del suo padrone per giustificare la propria ignavia nel seppellire il danaro per non perderlo: “Da quando mi hai fatto fiducia, io sapevo che sei un uomo duro, esigente, arbitrario, che fa ciò che vuole, raccogliendo anche dove non ha seminato”.

 

Oggi nella moderna parabola degli euro il padrone invece è davvero come lo ha dipinto il servo, ed è per questo che il nostro destino è l’inedia (da non confondere con la decrescita che invece è la fuga dal consumismo esasperato, compulsivo e fine a sé stesso, succube del mercato finanziario che raccoglie senza aver seminato).

 

 

 

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A chi va bene l’inedia e vi si adagia la mia idea di gestione pubblica e privata della ricchezza non è mai piaciuta e in altri tempi ha trovato il modo e l’occasione per farmelo sapere con denunce, mozioni di sfiducia e sputtanamento mediatico da cui sono uscito vincitore forte del motto “omnia munda mundis”.

 

Il fatto è che la cura di un malanno prodotto dalla carenza di nutrienti non può che consistere nella loro somministrazione, senza la quale la stabilità accompagna il declino dell’organismo fino alla morte per inedia.

 

I privati falliscono e quelli più accorti o semplicemente più fortunati chiudono senza fallire, mentre gli enti pubblici sono condannati a convivere con l’inedia perché non possono fallire ma ne scaricano gli effetti sui cittadini, sugli utenti e sui contribuenti di riferimento.

 

Un servitore fedele e accorto della società in cui vive ha il dovere morale di agire in campo pubblico e privato affinchè affluisca ad essa dall’esterno la maggior quantità possibile di nutrienti in formato umano, economico e finanziario, indifferentemente dalla loro provenienza e destinazione privata o pubblica.

 

Questa in sintesi è sempre stata la mia personale mission in politica.

 

 

 

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Un’idea che mi porta a considerare scellerato il comportamento degli ultimi tre sindaci di Sanremo che hanno accompagnato per 14 anni il declino della nostra comunità civile, succubi, (il primo di loro fino all’olocausto), del dogma dell’equilibro di bilancio comunale mentre, sotto i loro occhi e nella loro più assoluta indifferenza e inadeguatezza, nell’organismo umano, economico e sociale della Città le risorse interne andavano implacabilmente consumandosi fino all’inedia.

 

Con Gino Napolitano e Stella mi sono sbattuto a Bruxelles e a Roma per portare nutrienti indispensabili a realizzare il Mercato dei Fiori all’Armea, con Ninetto Sindoni lo stesso ho fatto a Roma per spostare il carcere, con Emidio Revelli ho fatto altrettanto per l’Aurelia bis e poi per via Frantoi Canai, l’Italgas e in passato con Peppino Rovere per il raddoppio a monte della ferrovia, per l’acquedotto del Roya, con il depuratore di Capo Verde e via dicendo.

 

Certo eravamo un gruppo e io ero solo uno dei tanti, non sono Pietro Micca e neppure Garibaldi, però il credo delle nostre generazioni era quello e quindi anche il mio.

 

Da 14 anni a Sanremo invece si amministra come nel Vangelo il servo “malvagio e pigro” amministrava il talento, cioè quello che passa il Convento e nell’amministrarlo si fa credere alla gente che il suo futuro dipende dall’equilibrio del bilancio comunale e non invece dallo sviluppo oppure dal declino della società civile di cui l’Ente pubblico è soltanto espressione politica.

 

 

 

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A questo punto mi si può obiettare che Anonymous sta costruendo in valle Armea un grande magazzino e io rispondo che non sono nutrienti esterni ma interni al nostro organismo economico perché sono frutto della cannibalizzazione delle boutiques storiche del centro città.

 

E poi basta con gli specchietti delle allodole (si chiamano così le prese per il culo) dei rendering, dei project financing, dei leasing in costruendo, dei “Piani Casa” ad personam, tutto ciarpame che non illude più nessuno, neppure quelli che ci hanno investito speranze e soldi.

 

Scrivo queste righe come sfogo personale dopo la due giorni dello Smilzo in chiave elettorale leggendo di leadership da lui riconquistata, evidentemente non rispetto ai suoi due predecessori che sedevano in quel momento al suo tavolo a brindare, ma a quelli della Prima Repubblica.

 

Dimenticando le date di quel tanto che Sanremo ha portato a casa in quegli anni e di quel niente che ne è rimasto in quelli successivi.

 

Sappiatevelo, azz!!!