Assolto per insussistenza dei fatti in tre maxiprocessi, fino a ieri più che un imputato mi ritenevo un manichino caduto nel tritacarne del giustizialismo rosso e della gogna mediatica in un’epoca storica esaurita da tempo e paragonabile, in piccolo, al Terrore giacobino.
Da oggi invece sono costretto a rivedere in senso giolittiano la mia versione sulle Toghe rosse con una chiave di lettura che vuole la legge “applicata” ai nemici e da “interpretare” per gli amici.
Per la corrente della Magistratura che si riferiva a Bertinotti e a Rifondazione Comunista in quanto esponente DC ero considerato un nemico giurato ed è logico che in passato la Toga Rossa sanremese, che sindacalmente ne faceva parte, abbia “applicato” la legge nei miei confronti trascinandomi in giudizio fino alla Cassazione.
Ma adesso abbiamo voltato pagina, è cominciato il dopoguerra con il flop del PD e della galassia di cespugli alla sua sinistra, Davigo ha stravinto le elezioni all’interno del CSM, un grillino è approdato al Ministero di via Arenula e non ci sono più i nemici di una volta (e neppure i compagni) e dunque la massima di Giolitti va aggiornata in senso evolutivo.
Oggigiorno, devo pensare, i nuovi nemici per le toghe sono quelli che non fanno tendenza, non seguono le mode e non rispettano gli stereotipi, quelli, per capirci, che mandano in tilt le memorie rigide di operatori giudiziari troppo indaffarati e che affaticano le loro menti.
Gli amici sono tutti gli altri, quelli “socially correct”, che nel coro non stonano, che non disturbano e che galleggiano su una melassa di leggi velleitarie del “volere e non potere” e di responsabilità fumose ed evanescenti, quelli, per intenderci, che, quand’anche indagati, possono sempre beneficiare come scriminante di una “interpretazione” della legge -secondo le circostanze- o elastica, o comprensiva, o misericordiosa, o costruttiva, o empirica oppure anche filo-manageriale.
Insomma, il conformismo ha sostituito il comunismo.
Esemplare il caso del PM estemporaneo e anticonformista che posta su Facebook “Quanto è bello Garko” e che arriva fino a Palazzo dei Marescialli mentre in rete compaiono decine di altri post ben più seri e rilevanti che però nascono morti perché, appunto, nemici del conformismo e non dell’algoritmo.
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“Ciù in là u gh'è tapau” dicono da queste parti quando la misura è colma e si supera il limite della decenza e più di una volta negli ultimi tempi ho creduto di assistere a questo sconfinamento di fronte a provvedimenti del comune di Sanremo che gridano vendetta sotto il profilo strettamente legale.
Non per aspetti formali, tipo la retrodatazione al 27 dicembre 2016 di un modulo asseverato sotto comminatoria di reclusione da uno a tre anni in caso di falso.
Un modulo che a Roma sarà concordato tra Stato e Regioni come uniforme e standardizzato soltanto cinque mesi dopo, esattamente il successivo 4 maggio 2017, quindi recepito dalla Regione Liguria il 20 giugno 2017 e infine reso obbligatorio a Sanremo a decorrere dal 1° luglio 2017.
E neppure per alcune “dimenticanze” sostanziali, tipo il passaggio di Sanremo a decorrere dal 19 luglio 2017 da sottozona “a bassa sismicità” a sottozona “a sismicità media” con obbligo per gli interventi strutturali in cemento armato di presentare allo Sportello Unico i relativi calcoli in allegato alla domanda ai fini del rilascio dell’autorizzazione sismica da parte della Provincia.
Oppure tipo la scorciatoia della “scheda semplificata” al posto dell’Autorizzazione Paesaggistica, scorciatoia che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha escluso d’accordo con la Regione Liguria il 30 luglio 2007 in caso di realizzazione di parcheggi (art 1, comma 1, lettera B) e di nuovi edifici ricadenti nei territori dei Comuni costieri (ivi, lettera G).
Oppure tipo la tutela dei “territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare” (art. 142 del Codice dei Beni Ambientali) che comporta l’obbligo di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 successivo.
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No, gridano vendetta per cose ben più gravi e inaccettabili al comune sentire.
Tipo quando l’Assemblea cittadina il 29 marzo 2018 ha espresso assenso a una magica metamorfosi che ha visto una serra metallica agricola diventare un edificio/fabbricato/capannone pericoloso e incongruo da riallocare nel Paradiso terrestre anche se non risulta a catasto fabbricati.
Proprio così, una serra di 3.152, 97 metri cubi installata in argine sinistro del torrente Armea, nella fascia rossa di esondabilità “a rischio molto elevato”, alluvionata nel 1998 e condonata sempre come serra ma adibita a deposito agricolo.
Lo sanno anche i sassi che le serre non sono edifici, ma la Regione per non esporre un progettista/assessore a guai peggiori, anche perché ha addirittura preso parte alla Conferenza dei Servizi successiva, ha invitato (inascoltata) il Segretario Generale a togliere la ciliegina dalla torta in autotutela, istruendo d’ufficio la revoca della delibera del Consiglio comunale, con la scusa che il proprietario della serra è persona diversa da chi ha presentato il progetto per costruire la bellezza di 4256,51 metri cubi di appartamenti di lusso in una zona con esclusiva vista mare.
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Oppure tipo quando la Giunta comunale il 2 dicembre 2015 ha autorizzato la “procedura concorrenziale” per la vendita dell’ex Tribunale consistente nel confronto tra le eventuali offerte pervenute e “l’offerta da parte di Cassa Depositi e Prestiti Investimenti SGR che perviene alle ore 14,22 all’indirizzo e-mail del Dirigente del Settore Patrimonio”, come si legge nel verbale 9 dicembre 2015 di aggiudicazione provvisoria (quella definitiva avverrà il 22 dicembre con Determinazione n. 2584) al prezzo di 8.011.000 euro a fronte della perizia di stima di 14.000.000 redatta dai Tecnici comunali sulla scorta del Prezziario regionale, in applicazione delle regole consolidate e basilari dell’estimo e in conformità con le valutazioni dell’Osservatorio immobiliare erariale.
Vicenda surreale perché la “Cdp Investimenti Società di Gestione del Risparmio S.p.A” non è l’oracolo e neppure un Ente pubblico ma una normalissima società mista “pubblico-privata” della galassia delle società strumentali della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A, una delle tante che svolge attività d’impresa in campo immobiliare e finanziario.
Che garanzie offre, mi chiedo, un imprenditore come la Società in questione non faccia a sapere a un altro imprenditore la cifra-base che offrirà “alle ore 14,22 all’indirizzo e-mail del Dirigente del Settore Patrimonio”?
Forse il fatto che il 70 % del suo capitale è pubblico oppure il fatto di essere soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Cassa Depositi e Prestiti?
Con un paradosso forse riesco a spiegarmi meglio: se “Cdp Investimenti SGR s.p.a.” per non assumersi responsabilità avesse scritto nell’e-mail che l’ex- Tribunale valeva “nummo uno” (tradotto: un euro), sapendolo, con due euro lo si poteva comprare, sia pure provvisoriamente, perché il Dirigente avrebbe ritenuto incongrua l’offerta.
Azz! Ma è successo proprio questo con la verifica di congruità affidata all’ingegner Pancotti, cambia soltanto la cifra.
Questo perché la procedura adottata è esclusivamente destinata alla vendita dei beni dello Stato da parte dell’Agenzia del Demanio in quanto garantita da Uffici Tecnici Erariali, Avvocatura, Corte dei Conti e Consiglio di Stato e altri organi statali impegnati nel riscontro istruttorio di legittimità e di congruità dei decreti di alienazione del Direttore Generale.
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Mi rendo conto che istruire rogne amministrative come queste e come altre, tipo la faccenda del project financing sul Porto Vecchio o quella dell’outlet in valle Armea, è pesante e impegnativo mentre è più semplice esercitare lo “ius corrigendi” su vigili in mutande o in canoa.
Mi rendo conto che siamo alla vigilia di una campagna elettorale europea e amministrativa e bisogna evitare l’accusa di essere una giustizia a orologeria.
Ma io non ho perso le speranze e lo scrivo lo stesso, a futura memoria.