If I hang myself, I want a good hangman, My God!” è l’ultima libertà che COVID-19 ha rubato a noi ultraottantenni, quella di poterci scegliere un buon boia.

Per la nostra fascia di età il prolungamento sine die del “lockdown” fino alla vaccinazione con il promesso “presidio sanitario di interesse globale” corrisponde a una condanna a morte convertita nell’ergastolo, come se quella marea di gente che i mesi scorsi abbiamo visto in tv ammassarsi a San Siro, sulle piste da sci e lungo i navigli con lo spritz in mano fossero stati tutti arzilli “octogenarians”.

 

E allora, visto che a sceglierci il boia non saremo noi ma il virus, non ci resta che guardarlo negli occhi e -statistiche alla mano- capire di che morte è morto fino a ieri il 42,2 % dei pazienti impiccati al COVID-2019.

 

Ma per farlo non serve la lente d’ingrandimento, ci vuole il meglio che la nanotecnologia mette a disposizione degli stregoni che manipolano la materia, bisogna disporre di un microscopio elettronico AFM a scansione atomica e molecolare di ultima generazione.

 

Per capirci, di un apparecchio di quelli in uso nei laboratori di avanguardia della sanità, della farmaceutica e dell’agricoltura transgenica perché il virus è avvolto in droplet di saliva, cioè in uno sputo, che ha tra i 15 e i 300 milionesimi di millimetro di diametro.

 

Però sono pochi i vecchietti che ne possiedono uno, di questi mostri tecnologici, io per esempio non ce l’ho, e così mi tocca fidarmi degli scienziati ed è a questo punto che rivendico il diritto di sceglierli buoni e di non essere preso per il culo da quelli tra loro che confondono Sars-Cov-2 con un foruncolo al photoshop.

 

Per cominciare bene mi sono procurato un libro profetico dal titolo “Spillover, l'evoluzione delle pandemie” un saggio divulgativo scientifico di 608 pagine scritto otto anni fa da un americano, David Quammen, il quale effettivamente, dopo aver passato in rassegna tutte le precedenti pandemie, ha previsto l’avvento di COVID-19.  

 

O Dio! il suo non è un selfie, è solo una profezia sbiadita e controluce, un po’ come le centurie di Nostradamus.

 

Però la pandemia è data come inevitabile e imminente ed è immaginata come una zoonosi (in inglese “spillover”) cioè come tracimazione del virus da un animale “progenitore” a un essere umano, transitata su un secondo animale intermedio in funzione di “serbatoio”.

 

L’identikit della prossima pandemia è sul modello della SARS coronavirus del 2003 e la probabile griglia di partenza è situata in Cina in un “wet market” di Wuhan.

 

La profezia ha già un soprannome e Quammed lo ha rivelato in queste righe: “Il Next Big One, la prossima grande epidemia, è un tema ricorrente tra gli epidemiologi di ogni parte del mondo. Ne ragionano, ne parlano e sono abituati a vedersi per un parere in proposito. Mentre fanno esperimenti o studiano le pandemie del passato, il Big One ha sempre un posticino nei loro pensieri.”

 

E’ questo il passo del libro che ha acceso in me una insana curiosità e così mi sono chiesto: “Dopo tutti questi presentimenti e prima che Big One COVID-19 ci piombasse addosso c’è stata una last call, un’ultima chiamata?”  

 

Ultima chiamata al “check-in” della pandemia, intendo, pensata come un qualcosa di concreto con dati alla mano come concreto nelle Guerre Puniche era il cesto di fichi che Catone mostrava in Senato davanti alla minaccia di Cartagine.

 

E soprattutto con dati scientifici alla portata dei decisori politici, come appunto era il Senato Romano, perché è in quel mondo che qualcosa deve essere andato storto.

 

Senza dimenticare quello che Henri Poincaré diceva della scienza, cioè che non è un ammasso di dati così come una vera casa non è solo un ammasso di pietre

 

E stando attento anche a cosa c’è dietro, perché ad essere un “parassita obbligato” non è soltanto il virus ma spesso anche chi lo studia, nutrito da prosseneti dell’industria e della finanza vestiti  da filantropi e con l’intermediazione di istituzioni pubbliche umanitarie, di fondazioni e di enti morali di ogni estrazione, di prestigiose e storiche riviste e di centri di ricerca universitari senza dimenticare mai i freelance che in questo conflitto tra salute e economia sono i moderni soldati di ventura.

 

Tutte queste mie cautele sono da intendersi ovviamente al netto dei costi delle spedizioni scientifiche e delle ricerche di laboratorio, cavie comprese, perché il lenocinio non riguarda le spese vive, è tutta un’altra cosa.

 

Riguarda brevetti, royalties e quote di mercato per l’industria multinazionale che ha i soldi e non le motivazioni e all’opposto riguarda la spesa sanitaria per il decisore politico che invece ha la motivazione ma non i soldi, e si manifesta nella “gestione” venale e opportunistica dei dati scientifici.

 

Oltre tutto certe spedizioni scientifiche sono ad alto rischio personale, come quella nelle grotte di Hong Kong a caccia dei pipistrelli progenitori dell’epidemia SARS coronavirus del 2003, esperienza che nove anni dopo porterà Quammed a concludere che quella volta “l’umanità l’ha scampata bella” perché i sintomi hanno preceduto e non seguito il picco della infettività.

 

All’opposto della “spagnola” e oggi del Big One, perché il virus Sars-Cov-2 come l’influenza del 1918, fa l’autostop su soggetti asintomatici ad altissima infettività e impicca gli ospiti alla polmonite COVID-19 prima che si ammalino.

 

All’uscita dalle grotte di Hong Kong al termine della spedizione con il professor Aleksei Chmura tutto ciò otto anni fa era stato previsto da David Quammed.

 

Queste le sue parole profetiche in “Spillover”: “E’ ipotizzabile che la prossima Grande Epidemia (il famigerato Big One) quando arriverà si conformerà al modello perverso dell’influenza [“spagnola”, n.d.r.], con alta infettività prima dell’insorgere dei sintomi. In questo caso si sposterà da una città all’altra sulle ali degli aerei, come un angelo della morte.”

 

Esattamente come sta accadendo in questi giorni, siamo nel 2020.

 

E’ così che da “octogenarian” si è radicata in me la convinzione di dover stare alla larga dagli umani asintomatici, una cautela però temperata dalla curiosità di domandare   proprio allo scienziato Aleksei Chmura di Hong Kong, il compagno di Quammed, cosa è successo sull’interfaccia umano del coronavirus dopo quella loro avventura nella grotta di Guilin a caccia di pipistrelli rinolofidi  (“Rhinolophus sinicus”) di una delle tre sottospecie “Ferro di cavallo (“Rhinolophus pusillus, Rhinolophus affinis e Hipposideros larvatus”) per prelevargli due gocce di sangue, per fargli un tampone anale e per analizzarne le feci.

 

Il seguito umano, questa la risposta, è contenuto nei risultati di una “Indagine sul rischio sierologico e comportamentale di lavoratori a contatto con la fauna selvatica in Cina” svolta dallo staff di Chmura tra il 2009 e il 2013 in collaborazione con il Centro Cinese per il Controllo delle malattie (CDC) e pubblicata il 30 aprile 2018.

 

Test sierologici accurati e interviste comportamentali su 1.267 persone tra i 18 e i 65 anni che hanno cacciato, venduto, macellato o mangiato animali selvatici in 12 prefetture all'interno della provincia cinese del Guangdong.

 

I test sono stati eseguiti su tre ceppi di virus, SARS, Hanta e Bunya e sono risultate positive 53 persone pari al 4,2 % del campione e in particolare 17 al coronavirus (1,3 % del campione ma 9,0 % dei macellai testati).

 

Dunque, mi sono detto, dal 30 aprile di due anni fa la comunità scientifica mondiale era perfettamente al corrente che Annibale non era più alle porte ma dentro casa, dormiente.

 

L’editore giapponese Hiroshi Nishiura della Hokkaido University aveva pubblicato e messo a disposizione di tutti gli scienziati del mondo l’indagine dello staff di Chmura, e questa è stata una prima risposta alla mia curiosità sulla “last call”, sull’ultima chiamata prima del Big One COVID-19.

 

Risposta confermata dai ringraziamenti di Chmura dove è scritto che “questo studio è stato reso possibile da Google / Skoll e dal generoso sostegno del popolo americano attraverso il programma PREDICT sulle minacce pandemiche dell'Agenzia per lo sviluppo internazionale (USAID) degli Stati Uniti”, e dai suoi ringraziamenti anche a Metabiota Inc., società assicurativa commerciale californiana leader scientifico mondiale nel monitoraggio globale delle pandemie i cui risultati vengono offerti peraltro gratuitamente da una sua apposita rete dedicata e aggiornata in tempo reale.

 

Ma la risposta finale l’ho avuta quando ho guardato negli occhi Rhinolophus affinis, la pistola fumante della SARS del 2003 e ho saputo che finalmente a novembre 2017 era stato scovato dai ricercatori dell'Istituto di virologia di Wuhan in una grotta nella provincia dello Yunnan, nella Cina sudoccidentale.

 

Siamo a circa 1.000 chilometri di distanza dal Guangdong, una provincia che invece si trova nella parte meridionale della Cina, ma un qualche animale “serbatoio” prelibatezza “yěwèi” deve aver dato un passaggio al coronavirus, probabilmente un pangolino macellato nel “wet market” di Wuhan visto che all’85.5-92.4% il suo genoma si è rivelato uguale a quello del “paziente 1”.

 

Dunque, cronaca di una epidemia annunciata, sorellastra della SARS del 2003, che era circoscritta a minuscole aree del nostro pianeta, col contagio preceduto dai sintomi, e quindi con vaccino “economicamente” improduttivo e investimento in perdita secca, e infatti nei 17 anni successivi trascurato dall’industria privata e non finanziato dai decisori politici di Singapore, Macao e Hong Kong.

 

Errore madornale degli scienziati che oggi 14 aprile 2020, a 94 giorni da quando l'11 gennaio 2020 la sequenza genetica di SARS-CoV-2 è stata pubblicata, si trovano -73 sui 78 confermati-  ancora nella fase esplorativa o preclinica.

 

Questo mentre l’orizzonte temporale per l’uscita dal laboratorio degli altri cinque è il 21 giugno 2021 per il primo “Moderna” negli USA sulla proteina “spike”, è il 20 dicembre 2022 per il secondo “CanSino Biologics Inc.” nello Jiangsu in Cina sull’adenovirus 5, è misterioso per il terzo “Inovio Pharmaceuticals” eseguito negli USA su elemento sconosciuto, è il 31 dicembre 2024 sia per il quarto che per il quinto condotti entrambi dall’Istituto medico geno-immunitario di Shenzhen in Cina, uno su cellula dendritica e l’altro su cellula presentante l'antigene artificiale.

 

Per il resto siamo alla stregoneria scientifica col moltiplicarsi delle piattaforme tecnologiche che del virus valutano ogni dettaglio sequenziabile.

 

Si va dall’acido nucleico (sia DNA che RNA) alle particelle simili a virus, ai peptidi, ai vettori virali, replicanti e non replicanti, alle proteine ​​ricombinanti, con approccio al virus vivo attenuato e al virus inattivato.

 

C’è di tutto e di più, compresi i Dulcamara del chinino e dell’eparina, mancano soltanto i riti voodoo.

 

 Chi parte dai vaccini già autorizzati e in circolazione, magari da quelli oncologici o veterinari e li tratta con strumenti di ultima generazione per accelerarne lo sviluppo e la produzione, e chi li adatta a specifiche categorie di popolazione come appunto noi altri anziani, o i bambini, le donne in gravidanza o i famosi immuno-compromessi.

 

A noi “octogenarians”, a seconda del nostro stato di salute, viene raccontata la versione consolatoria per i sani, quella compassionevole per gli affetti da 2 o 3 patologie e quella placebo per gli intubati.

 

Io per ora rientro nella prima fascia e come Ippolito Nievo posso lasciare ai posteri queste mie memorie di un ottuagenario al tempo della pandemia.