Sul “maxi-furto elettorale”, come la ha definito Trump, mi sono formato una personalissima opinione molto diversa da quelle gettonate, favorevoli o contrarie che siano.

Mi spiego subito con la metafora della flotta straniera ostile che il 3 novembre scorso sonnecchia nei porti ormeggiata alle banchine mentre la portaerei “Donald Trump” naviga sicura in alto mare a dispetto dei sondaggi che invece fino al giorno prima erano unanimi e sicuri nel prevedere che sarebbe colata a picco.

Di qui l’allarme “Marinai in coperta!” che il Partito Democratico a mezzodì di quel giorno potrebbe aver lanciato alla nave passeggeri “Joe Biden” sulla quale i flussi di voto raccolti dalle macchine “Dominion Voting Systems”, “Premier Election Solutions”, “Hart InterCivic” e altre sconosciute segnalavano che l’acqua stava entrando nella stiva.

Subito dopo, in fretta e furia, potrebbe essere partito l’ordine: “Scialuppe a mare!” che lasciava sotto shock ufficiali e ciurma.

Di “lifeboat” da calare ce ne sarebbero state ben 50, quanti sono gli Stati americani, ma quelle-chiave da tenere a galla ad ogni costo per impadronirsi del loro carico di grandi elettori erano soltanto sei: Pennsylvania (20), Michigan (16), Wisconsin (10), Massachussetts (11), Georgia (16) e Nevada (6), ed è su di loro che i “Democrats” colti alla sprovvista, impreparati e disorientati, potrebbero aver preso le contromisure di emergenza direttamente e su due piedi.

Però, se lo hanno fatto, sarebbero state prese “alla Fantozzi” con frettolose e maldestre manovre umane e cibernetiche e sarebbero stati beccati con le mani nel sacco.

Un sacco dentro il quale si nascondono le storiche vulnerabilità del colabrodo elettorale americano, inclusa la variegata disciplina di voto studiata dalla maggioranza di ciascuno Stato a presidio delle proprie lobby e dei gruppi di potere politici ed economici locali, vi sono pure le  trappole tecnologiche gestite da aziende private straniere e infine vi pullula tutto un sottobosco di mercenari singoli o associati che operano in questo campo a raccogliere o addirittura confezionare pacchetti di voto da assente quasi sempre per cederli al miglior offerente.

Quindi se si vuole smascherare il presunto “maxi-furto elettorale” bisognerà prima svuotare il sacco.

Cioè riconoscere che non c’è stata “illico et immediate” alcuna interferenza straniera “sul pezzo” e questo non perché oggi essa non possa essere presente e in corso negli USA, ma unicamente perché lo straniero colto di sorpresa non avrebbe avuto tempo e modo di interferire.

Quanto al malaffare domestico, endemico e diffuso è assurdo pensare che le sue infinite propaggini e anime abbiano potuto coagulare di colpo e mobilitarsi di nascosto contro Trump e a favore del “Great Reset” globale sotto lo sguardo distratto di tutti compresi, ad esempio, di quello del capo della “Cybersecurity and Infrastructure Security Agency” (CISA) del Dipartimento della sicurezza Interna degli Stati Uniti o del Governatore della Georgia, entrambi repubblicani DOC.

Logico che i due personaggi del mio esempio abbiano preso le distanze dalla versione di Trump, meno logico che quest’ultimo abbia licenziato il primo e scomunicato il secondo soltanto perché da pubblici ufficiali hanno cantato le lodi del proprio apparato tecnico e organizzativo.

Tutto ciò premesso, ritorno a Fantozzi che il 3 novembre, a metà giornata, potrebbe essersi scoperto senza l’ombrello cibernetico straniero mentre Trump gli faceva pipì in testa.

In altre parole e per molte ragioni sarebbe stato impossibile allo “High Tech” interferire dalla Cina sulla situazione, cioè riprogrammare le macchine per il voto “touch screen” che stampano schede cartacee che vengono lette e tabulate dagli scanner e soprattutto manipolare i loro mastodontici big data serbatoio.

Sbaglia, quindi, chi sospetta i cinesi perché loro in casi come questo navigano in scuro sul “deep web” anonimo e parallelo a internet e sbaglia chi punta il dito accusatore sulle tante loro diavolerie come il “Digital Silk Road” parallelo alla Via della Seta o come il 5G e il bitcoin o come il paravento del loro “Soft Power” veicolato dai giganti tecnologici, finanziari e commerciali tipo Huawei, Alibaba, Baidu e Tencent

Magari i cinesi lo avrebbero anche fatto se fosse stato possibile e non è detto che non lo stiano facendo altrove e altrimenti in questo istante mentre scrivo.

Però a mezzogiorno del 3 novembre le presunte interferenze satellitari con i sistemi di voto non avrebbero potuto comunque partire da loro, dal momento che le macchine “Dominion Voting Systems”, “Premier Election Solutions”, “Hart InterCivic” e altre sconosciute adottano tutte il medesimo software di gestione elettorale “Scytl” che opera  sul web, ovviamente con chiavi crittografiche e password e con le debite protezioni antivirus e garanzie anti hackeraggio.

Ma il loro tallone d’Achille è proprio quello, funzionare via internet e in chiaro il che rende tutte le loro operazioni individuabili, tracciabili e recuperabili.

La mia opinione, quindi, è che Fantozzi, messo alle strette, potrebbe aver deciso di espugnare alla disperata la Casa Bianca sotto le telecamere satellitari web di internet e rischiando gli “Affidavit” dei testimoni oculari che avrebbero assistito ai colpi di mano da compiere direttamente e non da remoto sulle macchine per il voto.

Però per riuscire in questa ipotetica missione impossibile avrebbe dovuto esserci per forza un “Cavallo di Troia” informatico che custodisse in pancia un “software-pirata” in grado via di interferire via internet con il softwareScytl” che comanda le macchine “Dominions” e loro sorelle.

La pistola usata in Venezuela con Maduro, per capirci, ma usata anche in molte altre parti del mondo e su questo punto io dopo aver assolto i cinesi assolvo anche i catalani di “Scytl” perché la pistola fumante di Trump ha la matricola abrasa.

So bene, con questo, di non fare un piacere a Donald perché cancello l’aggettivo “straniera” dalla sua asserita interferenza elettorale che invece per me sarebbe domestica.

Però, dato per scontato che il mandante sarebbe comunque un “insiders” del Partito Repubblicano degli Stati Uniti, resta da vedere chi materialmente avrebbe potuto premere il grilletto e da dove, e qui mi fermo perché la risposta potrebbe venire dalla Germania dove, secondo indiscrezioni, a Francoforte sarebbe stato sequestrato un server che nascondeva la pistola.

Oppure, una pietra dietro l’altra, Pollicino potrebbe portarci da qualsiasi altra parte nella giungla di internet.

Nell’attesa una prima novità arriva stamattina 2 dicembre dal Procuratore Generale Barr, uno della partita che siede nel bunker dello “Stato Profondo” patriottico di Thomas Jefferson, ed è che “finora” non gli è fornita dall’FBI nessuna prova di un “broglio” o frode elettorale che sia in grado di cambiare l’esito apparente del voto del 3 novembre a favore di Biden.

Nella mia personalissima opinione soltanto la pistola fumante del “software-pirata” di Scytl e l’identikit delle traiettorie internet dei suoi cyber-proiettili sulle macchine per voto, sulle schede cartacee e sui big data serbatoio potrebbe convincere lui, il “deep State” costituzionale e la Corte Suprema.

Ma sarà dura, direi anzi impossibile visto che a Francoforte, secondo il lieutenant general Thomas McInerney, la pistola con matricola abrasa era tenuta nascosta dall’omonima sezione segreta speciale della CIA, la “Impossible Mission Force”.

 

Un film di James Bond alla rovescia.