Non so a Napoli se il compianto Diego Armando ce l’avesse anche lui mentre entrava in campo al San Paolo però sicuramente a Washington di “cazzimma” ieri sera Trump doveva averne molta quando alla Casa Bianca ha fatto un discorso “… the most important he's ever made”, il più importante mai fatto prima.

In un paio di minuti il Presidente ha dichiarato ex cathedra l’attentato fraudolento alla Costituzione, ha accusato i media e i giudici di fare su di esso come le tre scimmiette e ha concluso con il richiamo al giuramento fatto di “difendere le leggi e la Costituzione degli Stati Uniti” che in questi giorni si trovano sotto attacco in attesa che “qualcuno” intervenga.  

Parole che mi hanno aperto gli occhi e spalancato la mente, anche se non muta la mia opinione che l’attentatore non sia “straniero” ma “domestico”, naturalmente fino a prova contraria.

Il riassunto delle puntate precedenti sta nel proverbio “tanto tuonò che piovve” e per arrivarci aggiungo che sul set nessuno degli attori si è fatto mancare nulla.

A partire dagli opinion maker, un tempo composti e misurati nei loro messaggi, sempre concorrenti ma mai brutalmente ostili e con gli editori equidistanti e in equilibrio tra loro, spalmati su un ampio ventaglio di lobbying pubblico e legale.

È sotto gli occhi di tutto il mondo, invece, che le cose oggi sono cambiate, polarizzate sul rosso repubblicano e sul blu democratico senza sfumature di colore, ma quello che una quarta scimmietta “imparziale” non riesce a vedere e nasconde è la concentrazione dell’intero spettro editoriale nelle mani di quattro grandi società e il loro interesse ad allargare la divaricazione tra i due colori e ad inasprire i rapporti reciproci e alla fine a far piovere.

Si inserisce in questa strategia il clima artificiale di apparente calma e di surreale normalità che si è creato non appena Joe è sceso dal Cielo a salvare l’America da Trump, e questo grazie a massicce dosi di buonismo ecumenico e pacificatore somministrate a getto continuo dai mass media in modalità blu democratico.

Sul fronte opposto le quattro editrici alimentano sapientemente l’aggressività e le tensioni nella frangia estremista, razzista e identitaria, usano la censura come provocazione e sfida per eccitarla e provocarne reazioni scomposte e violente e dipingono Trump come un Pinochet al tramonto in preda a crisi psicotiche in un quadro umano e clinico intriso di immunità perduta e ricco di oscure trame, di antiche molestie sessuali, di incombenti ripudi matrimoniali e di mille altri tormenti e affanni.

A questo punto il discorso di ieri sera, ai miei occhi, ha rotto questo specchio mediatico deformante e ha portato tutti a meditare, o almeno tutti quelli che sono ancora in grado di farlo.

Penso al quadro giuridico costituzionale all’interno del quale dovrebbe intervenire quel “qualcuno” invocato da Trump.

Siamo di fronte a un ordinamento ossessionato dalla minaccia (threat) contro la sicurezza nazionale, la politica estera o l’economia sistematicamente e puntualmente “unusual and extraordinary” alla quale consegue un Ordine Esecutivo del Presidente che dichiara “a national emergency to deal” e che detta le misure per farvi fronte.

Il bugiardino di questo genere di medicina emergenziale è copioso e riguarda il rispetto delle leggi di settore, la specificità della materia, i termini di scadenza e il coordinamento con i precedenti.

Trump, come sappiamo, si è inserito nel filone della cyber-minaccia fronteggiata nel 2015 da Obama nel “Russiagate” per emanare l’Executive Order 13848 del 12 settembre 2018 in vista delle elezioni di medio termine e di ogni altra elezione successiva ovviamente nel rispetto dei termini temporali di scadenza e in attesa di una legge che detti una disciplina organica con efficacia stabile e duratura.

È la prima volta che questo avviene in campo elettorale e il provvedimento la motiva con “la proliferazione di dispositivi digitali e di comunicazioni basati su Internet che ha creato vulnerabilità significative e ha amplificato la portata e l'intensità della minaccia di interferenza straniera, come illustrato nell'Intelligence Community Assessment 2017”.

La novità, secondo la mia personalissima opinione, non è dentro ma al di fuori di questo quadro giuridico e a un livello superiore.

Lo penso perché l’O.E. 13848 si è limitato a prendere atto di una minaccia reale al regolare e ordinato svolgimento delle elezioni e per neutralizzarla ha dettato le opportune misure a valere in modo oggettivo sia in caso di effettiva “interferenza straniera” e sia invece in presenza di semplice tentativo infruttuoso, a prescindere, quindi, dalle conseguenze sull’esito delle elezioni.

Ma quando le conseguenze consistono nel travolgimento del vertice della sicurezza nazionale proprio nel delicato momento della transizione della titolarità nella carica, nel pericolo di destabilizzazione e di instabilità civile e sociale, cioè si traducono in un attentato alla Costituzione, cosa succede?

Ovviamente il Presidente in carica, candidato alla propria rielezione, era ed è incompetente a disciplinarle sia per evidente conflitto di interesse e sia perché si tratta di materia costituzionale di livello superiore riguardante i vizi del procedimento elettorale, sanabili o meno, e in caso di nullità il titolo a dichiararla e a dettare modalità e termini della “vacatio”.

SCOTUS, acronimo di Corte Suprema, dovrebbe essere quel “qualcuno” e con una semplice risposta alla sbarra, un sì oppure un no, alla domanda: “L’interferenza nelle elezioni 2020 si è tradotta in un colpo di Stato tentato contro la Costituzione?”.

In caso affermativo vi sarebbe una prorogatio di Trump e scatterebbe la legge marziale per gestire “a national emergency to deal” dal momento che i vertici militari giurano direttamente fedeltà alla Costituzione e non al Presidente di turno.

Ecco perché ascoltando Trump ha subito pensato alla sua spavalderia, al suo coraggio alla sua scaltrezza, in altre parole alla sua “cazzimma”, quella dell’uomo più potente del mondo che sfida la sorte come un guagliune dei quartieri spagnoli: “O a Napoli 'n carozza o 'a macchia a fa' er carbone!”.