Succede ogni tanto di imbattersi in fatti che danno la dimensione precisa dello stordimento nel quale il sistema della comunicazione ci ha precipitati con la scuse più diverse.

La privacy che copre la censura, la legalità che si applica ad libitum a senso unico e la libertà che giustifica ogni arbitrio e licenza.

Il tutto codificato da una normativa deontologica double-face, dirimente per gli amici e cogente per tutti gli altri.

Anche se le parti in commedia sono rigorosamente pubbliche con tanto di nome e cognome o di ragione sociale dell’editore e anche se ogni testata è regolarmente iscritta, autorizzata e registrata, il sistema è impersonale, anonimo e impalpabile, è materia astratta, ossimoro oggetto di insegnamento accademico, di qualche best-seller di successo e di auto-compatimento collettivo.

Una misura dello stordimento, per fare un esempio, l’ho avuta ieri dalla mail che un quotidiano online di Hong Kong ha inviato alla mia casella di posta elettronica sulla performance di un professore cinese e dal tweet di un mio folloving su questioni fiscali di uno dei figli di Joe Biden, fatti idealmente collegati tra loro e significativi per tutti noi.

Il professore non è uno qualunque preso a caso nel miliardo 401 milioni e 586 mila cinesi ma un membro del Partito Comunista, vice-Preside della “School of International Relations” della “Remin University of China”, vicedirettore e segretario capo del Centro di “International Strategy Research” di Partito e socio ricercatore della “International Currency Academy” comunista, e soprattutto fa parte del ristretto think tank del Presidente Generale Xi Jinping.

La mail riporta stralci comparsi su un social cinese, e cancellati poco dopo, dell’articolo di una testata web nazionalista di Shangai che ha ospitato il professore nel corso di un evento seguito “dal vivo da almeno un milione di spettatori” dedicato alla analisi dei rapporti commerciali con gli Stati Uniti tra il 1992 e il 2016.

Stralci che non hanno bisogno di commento tanto sono chiari, espliciti e illuminanti.  

Il succo è questo: di crisi in 24 anni ce ne sono state molte, compreso l'attentato statunitense all'ambasciata cinese a Belgrado nel 1999, ma tutte sono state risolte con successo in un paio di mesi perché (testualmente) “ci sono vecchi amici lassù nel cerchio centrale del potere politico degli Stati Uniti.”

Per allietare l’uditorio con un aneddoto il professore ha raccontato quello del 2015 a New York in occasione della cerimonia per il lancio della versione inglese di "Governance of China" di Xi Jinping quando c’erano difficoltà con la libreria che  doveva ospitare l’evento superate grazie all’intervento di una misteriosa signora ebrea amministratrice del distretto di Wall Street con doppia cittadinanza cinese e americana, cosa inaudita per via della religione, della carica e anche del divieto di doppia cittadinanza per i cinesi comuni.

Episodio curioso, però a far ridere gli spettatori è stato il commento del professore: “Non c'è niente che i dollari americani non possano comprare. Se una pila di soldi non è sufficiente, allora gettane due”.

È la lettera intermedia del celebre “Piano BGY” cinese per sottomettere gli USA, dove la “G” sta per “Gold”, oro, danaro per comprare e corrompere.

Dopo aver ricordato che tra il 2016 e il 2020 per quattro lunghi anni Trump aveva legato le mani ai “vecchi amici” di Wall Street il professore ha annunciato, come Badoglio, che finalmente la guerra era finita e l’uditorio ha applaudito entusiasta.

Sono state accolte con applausi in particolare queste parole ammiccanti: “Adesso con l’elezione di Biden si ritorna alla normalità, l’establishment precedente si riprende il potere, è una élite politica tradizionale, molto vicina a Wall Street, non so se mi spiego, vero?

Il tweet sulle questioni fiscali del figlio di Biden per una partnership commerciale con i cinesi è direttamente collegato a una battuta finale della relazione del professore chiacchierone: “Ma chi lo ha aiutato a creare la società? Vedete? Dietro vi sono stati accordi”, battuta piena di sottintesi che adesso, per diretta e pubblica ammissione del figlio di Biden, il procuratore fiscale degli Stati Uniti in Delaware intende chiarire.

Cosa c’entra in tutto questo lo stordimento provocato dall’informazione?

Semplice, blackout assoluto su tutto.

Congiura del silenzio però non per coprire i Biden che non ne hanno più bisogno, loro hanno vinto e non sono più sotto schiaffo, ma per nascondere imbarazzanti analogie del “modus operandi” illustrato dal professore cinese, indizi che potrebbero portare lontano.

Per esempio in Italia.

Ho cominciato a pensarlo dopo aver letto la testimonianza del CEO della società “Sinohawk Holdings” di Biden & Ye Jianming: “Mi sono reso conto che i cinesi non erano realmente concentrati sul ROI, cioè sul “Return On Investment” finanziario ma che lo consideravano un investimento politico o di influenza”.

E ho finito ricordando “Mani Pulite” dopo aver letto il seguito: “Una volta che mi sono reso conto che il figlio di Biden voleva usare l'azienda come suo salvadanaio personale semplicemente prelevandone i soldi non appena provenivano dai cinesi, ho preso provvedimenti per evitare che ciò accadesse.”  

Il professore cinese non ha fatto nomi per non diventare un whistleblower kamikaze suicida, io da vecchio democristiano mi limito a pensar male.

Lascio il seguito a chi è arrivato a leggere fino a qui.