L’algoritmo di Facebook nel suo tragitto lungo il parametro cronologico ogni volta che incontra il nomignolo di “Giggino ‘o Statista” mi riconosce la qualità di biografo controluce del personaggio in questione e mi segnala il relativo post tra i ricordi del giorno. Oggi è il 27 dicembre 2020 e un anno fa, il 27 dicembre 2019, postavo un profilo dedicato ai palloncini rossi e gialli ai quali “Giggino” è appeso nella strabiliante trasvolata dal San Paolo alla Farnesina. Eccolo.

 

Accadde oggi, un anno fa 27 dicembre 2019, Bruno Giri sta ascoltando “Senza guapparia”.

Tempo di archivi desegretati e di scoperte e testimonianze che provocano crisi di coscienza e che impongono la revisione critica della Storia, a partire dalle Crociate e dalla evangelizzazione delle civiltà indigene delle Americhe per passare alla colonizzazione dell’Africa e avanti tutta fino ad approdare alla nostra guerra civile di liberazione.

Sull’unità d’Italia, invece, non c’è più nulla da rivedere e di cui pentirsi e chiedere scusa.

L’archetipo è quello e non si tocca, i Santi sono sugli altari e Demoni all’Inferno, e nel nostro Presepe patriottico e laico di via Gregorio Armeno le statuine di Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II° sono il contraltare laico di Giuseppe e Maria, i Re Magi, Gesù Bambino, il bue e l’asinello.

Insostituibili e cristallizzate nell’immaginario collettivo sono invece le statuine del “popolino”, loro non cambiano mai, sono sempre quelle, religiose o laiche, il loro paradigma antropologico e culturale è polivalente, e come il tubino nero “si portano su tutto”.

Purtroppo per noi, è quello il popolo italiano, il “popolino” di Giuseppi, di “Giggino ‘o Statista”, di “Mortadella” e degli altri personaggi della “Commedia all’italiana”, una coreografia bucolica rovinata da alcune pecore nere, Salvini, Meloni e il lupo Berlusconi che cambia il pelo e adegua il vizio agli ormoni.

Brutto segno, perché la realtà non la correggi col photoshop e neppure commercializzandone la caricatura, come ha fatto Saviano col paradigma criminale e sociale della camorra.

Vuol dire che il popolo ha smarrito la propria identità.

Però oggi chi lo dice diventa populista, nei casi estremi è bollato come identitario blasfemo, se ha nostalgia di remoti nazionalismi e di perduti regni si trasforma in apologeta criminale e se desidera riscattare servitù straniere è un pericoloso sovranista.

Tutto ciò premesso, quando il futuro “Giggino ‘o Statista” al grido di “Vaffanculo!” era già al servizio del populismo ribelle, il suo profilo adolescenziale, mutatis mutandis, deve essere stato l’equivalente di quello che nel paradigma di Saviano è il ritratto del “guagliune ’e   mala   vita che sape fa pure buono ’o dduvere sujo”.

Deve avere un’aria precoce di alterigia, di efferatezza e di cinismo, svelto e intelligente, guarda   e   parla   con   la sfrontatezza e l’audacia dei vecchi affiliati; negli scrollamenti del capo, nelle alzate di spalle, nello strizzare   gli   occhi, in   tutti   gli   atti   rivela   l’individuo che non si educa, ma diviene più astuto e più formidabile, al contatto della società”.

Sempre in parallelo, nei cinque anni successivi l’aplomb di vice-Boldrini, con look appropriato negli abiti, nella postura e nel linguaggio si adatta benissimo al ritratto di un moderno “guappo di sciammeria” alla Viviani, un profilo che lo rende irriconoscibile ai guaglioni della stagione precedente.

Irriconoscibile ma non irriconoscente, come deve essere un guappo 2.0 nei riguardi di chi gli ha dato una mano ad arrivare ‘ncoppa a Montecitorio e a rimanervi per l’intera legislatura.

Adesso “Giggino ‘o Statista” è arrivato da 18 mesi ‘ncoppa al Governo, svolazza appeso per aria a palloncini verdi, gialli e rossi e va dove lo porta il vento, ogni tanto se ne ammoscia uno e Giuseppi, il suo personal trainer, interviene con la bomboletta di elio.

I palloncini a maggior rischio sono quelli gialli, Ilva, concessioni autostradali, reddito di cittadinanza e grandi opere, subito dopo minacciano di sgonfiarsi quelli azzurri, il colore di “Italia Viva”, che rimangono gonfi “salvo intese”.

I soli a reggere sono i rossi, nella speranza di fare bingo con “Mortadella” al Quirinale.

Ma sarà dura perché i palloncini gialli sono pieni di ossimori che prima o poi li faranno esplodere.

Gli ossimori “realpolitik” e “riconversione economica” sono quelli più vicini a far esplodere l’Ilva, perché la contrapposizione non è tra pragmaticità e ideologia e neppure tra opposti modelli produttivi ma tra mantenere oppure staccare la spina.

Se la stacchi ci sono 3,4 miliardi da trovare per la bonifica e per la cassa integrazione ad innescare il detonatore, se invece non la stacchi ci sono la decarbonazione “full immersion” e la cassa integrazione a innescarlo anche loro.

Medesima cosa per le concessioni autostradali: se stacchi la spina ad Atlantia ci sono 23 miliardi di indennizzo/risarcimento previsto dall’articolo 9 bis comma 2 della Convenzione, in più devi finanziare la provvista ad ANAS e fai scoppiare un palloncino azzurro, se invece non la stacchi con il ponte Morandi crollato e 43 vittime sotto le macerie fai una colossale figura di merda e perdi tutti gli elettori al sud “di qua e di là del Faro”.

 

Insomma, palloncino dopo palloncino “Giggino ‘o Sciupagoverni” sta perdendo tutta la “cazzimma” e presto lo sentiremo singhiozzare con Merola: “Mo, ch'aggio perzo tutt' 'a guapparia, cacciatemmenne 'a dint' 'a suggità!”