A Cuneo in via Barbaroux n.°3 c’è la targa commemorativa di Carolina Invernizio, una prolifica scrittrice nazional-pop che quand’ero piccolo e senza televisione riempiva le serate di mia Mamma con i suoi romanzi d’appendice.

È stata una “onesta gallina della letteratura popolare”, così l’ha definita Gramsci nei suoi “Quaderni”, una gallina che di uova ne ha fatte ben 123 e oggi se ritornasse tra noi farebbe la 124esima ispirandosi alla triste storia del Sindaco di Lodi.

Un feuilleton a puntate magari come inserto settimanale a colori di un quotidiano popolare che solo una penna come la sua potrebbe riempire, o altrimenti la penna di un Carlo Emilio Gadda redivivo a condizione però che “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” sapesse ambientarlo nelle aule della Giustizia e in compagnia di boia, giacobini e giustizieri festosi e sghignazzanti sotto la ghigliottina.

Quanto al titolo, proporrei un monito da stampare sullo zerbino degli inquirenti: “Recordeve del poaro fornareto de Lodi” che, umanamente e politicamente, cinque secoli dopo ha fatto la stessa fine di quello di Venezia.

Sul Consiglio dei Dieci che lo ha condannato il “Fornareto” veneziano aveva lanciato un anatema: “No pasarà un ano che de tuti quei che me ga condanà, no ghe sarà più nissun” e di anni invece ne sono passati cinque prima che il “poaro” Sindaco di Lodi riconoscesse in un Di Maio penitente e genuflesso l’ultimo dei Dieci, vicino anche lui a sparire però salvandosi l’anima, appunto, grazie al tardivo ravvedimento e alle scuse.

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Come incipit del romanzo nazional-pop la voce narrante dovrebbe ricordare un tragico e doloroso episodio, il suicidio con la cintura dell’accappatoio stretta al collo e la porta di casa chiusa dall’interno, scoperto un anno fa ad oggi, il 3 giugno 2020, in via Cavour a Lecco.

È il gesto estremo del Magistrato donna che, per dovere d’ufficio e obbedendo a ordini superiori, aveva forzato la propria indole dolce e gentile nel portare il pesante fardello delle indagini preliminari su una odiosa delazione confezionata da sicofanti e figli di Caino che ha condotto a San Vittore il “poaro” Sindaco con il ferro ai polsi.

A seguire, ecco le pagine che raccontano con espressioni truci e brutali la pubblica gogna e il marchio di infamia impresso sul Sindaco “reo confesso”, beccato con le mani nel sacco mentre era intento a consumare una “turbativa d’asta”, reato veniale, bagatellare e desueto che sconfina nell’illecito amministrativo, tecnicamente impossibile per come è strutturato il precetto penale e di fatto raramente applicato nella comune e ordinaria prassi giudiziaria.

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L’episodio successivo è dedicato alle proteste scatenate a Roma a Palazzo dei Marescialli dove -ironia della sorte- nel Consiglio Superiore della Magistratura uno a fianco all’altro siedono come membro togato l’ex marito della futura suicida e come membro laico in quota PD l’ex sindaco di Arezzo, nipote di Amintore Fanfani il quale, tra lo scandalo dei presenti, si è riservato con un comunicato stampa di chiedere alla prima Commissione disciplinare di aprire un fascicolo “per verificare la legittimità dei comportamenti tenuti e dei provvedimenti adottati” a Lodi e in particolare dell’arresto da lui ritenuto “ingiustificato e comunque eccessivo”.

La sua intenzione è accolta dai presenti con orrore e indignazione come “interferenza indebita nella giurisdizione e sulla autonomia e serenità dei magistrati che rischia di delegittimare il loro impegno”.

Addirittura viene percepita come bestemmia da riparare con la scomunica di Fanfani e con la sua cacciata dal Tempio della Giustizia dove è sacrilegio anche il solo immaginare che qualcosa possa essere andato storto a un magistrato requirente nell’esercizio della giurisdizione, un po’ come il prete che non può commettere un peccato quando si sbaglia nel dir Messa.

Tra l’altro in questo specifico caso la titolarità, la regia e il coordinamento gerarchico sono stati affidati, per dirla con Cossiga, a una “ragazzina” di 38 anni, collocata nella sede vacante di Lodi in posizione di facente funzioni direttive di Procuratore avendo all’attivo il solo superamento della prima prova di professionalità a decorrere dal 5 agosto 2014, come dire a una che in carriera era ancora alle prime armi.

E a proposito di Francesco Cossiga, Presidente emerito della Repubblica, la rediviva Carolina Invernizio chiuderebbe questa puntata del feuilleton nel ricordo dell’epitaffio di “associazione sovversiva di stampo mafioso” da lui rivolto all’ANM, che è il sindacato dei magistrati che tiene in pugno il CSM loro autonomo organo di governo e che (leggendo il libro-intervista di Sallusti “Il sistema”) era un nido di cobra all’epoca incantati e adesso ricattati da Palamara.

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Segue la terza puntata che si apre all’insegna di una curiosità davvero inedita e singolare: tutti i protagonisti del romanzo sono del PD renziano, addirittura del “Giglio Magico”, a partire dal “poaro” Sindaco di Lodi erede e successore in quella carica di Guerini, vice-Segretario Nazionale del Partito, per arrivare a Fanfani jr, avvocato della famiglia Boschi e di Banca Etruria.

Lo stesso Bersani, nemico giurato di Renzi, si è precipitato in appoggio a Fanfani nella battaglia al CSM e ha dichiarato alla stampa: “Non credo [che Uggetti] abbia fatto qualcosa di sporco” lasciando intendere che i magistrati hanno incarcerato un innocente, mentre Legnini -vice presidente PD del CSM e sostituto di Mattarella PD in quella carica- gettava acqua sul fuoco con i giornalisti dicendo: “Mi piace un Csm vivo e plurale”.

Ma è una illusione ottica perché in realtà questa puntata del feuilleton non riguarda affatto il PD o qualsiasi altro Partito ma è antipartito e antisistema e si sviluppa all’insegna di due eversioni parallele, quella di Grillo, alla testa della sua creatura politica, il M5S, e quella di Davigo alla testa dell’ANM, di cui è presidente, sindacato unico anticamera del CSM e, come dicevo, crocevia delle carriere, degli incarichi e dei provvedimenti disciplinari.

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La quarta puntata del romanzo è dedicata a come la scrittrice nazional-pop a fine Ottocento e primi anni del Novecento avrebbe ambientato l’epopea del giustizialismo con le espressioni forti, truci e orripilanti tipiche dei suoi romanzi e come l’avrebbe colorata a tinte fosche mettendo al centro Grillo, l’eroe positivo a fianco di Davigo l’angelo vendicatore.

Un eroe, Grillo, che difende masse anonime di mezzecalzette e di mezzemaniche in servizio e in pensione, il popolo maschile dei contadini, degli operai, dei minatori, degli artigiani, dei garzoni, dei bottegai e dei manovali ma soprattutto un eroe che protegge le femmine, popolane, portinaie, ingenue fanciulle, orfanelle, dattilografe, sartine e commesse irretite dal malvagio e perverso Potere che usa la politica partitocratica politicante prima per ammaliarle, sedurle e rubar loro la virtù e poi per abbandonarle gravide, disonorate, sempre più povere e disperate

Sul versante della vendetta l’altro eroe positivo è Davigo, reduce della campagna di “Mani Pulite” e protagonista di mille altri rastrellamenti giudiziari, me lo immagino ritratto con la spada in mano come San Giorgio nell’atto di uccidere il drago della Politica, un mostro corrotto e corruttore che permea la società in ogni sua articolazione, e che infetta la stessa famiglia come le sanguinarie rivoluzioni francese, sovietica e cinese ci hanno fatto scoprire grazie alle confessioni sotto tortura e davanti al plotone di esecuzione.

Sono migliaia le teste dei politici finite sulle alabarde dei seguaci di Grillo con i loro scalpi appesi alla cintola, giustiziati alla corte di Davigo alimentata per un decennio dal “Sistema Palamara” che le ha fatto affluire energie sempre nuove, tra le quali la sanculotta fresca di concorso che ha mozzato la testa a quel “poaro” Sindaco di Lodi.  

Prima di lui, per esempio, era toccato a Milano, la città della Colonna Infame, con il sindaco Pisapia PD indagato da magistrati PD e archiviato in istruttoria mentre il suo sodale Vito Gamberale sarà assolto in giudizio per una analoga faccenda di turbativa d’asta a seguito della vendita a un concorrente unico del 29,75 per cento della SEA concessionaria di Malpensa e Linate.

Ancor prima nella rete della turbativa d’asta era incappata la Iurato, commissario all’Aquila dopo Bertolaso e Gabrielli, per una fornitura alla logistica della Polizia di Napoli, e ne era uscita prosciolta ma sbattuta per settimane sulle prime pagine dei quotidiani come il mostro di Londra.

Ricordo un’altra turbativa d’asta molto sputtanata nel medesimo periodo, quella di Bari per l’assegnazione di forniture sanitarie a Finmeccanica da parte dell’ASL e ricordo anche quella di Soru in Sardegna pure lui colpito ingiustamente dal maligno sospetto di aver turbato l’aggiudicazione della pubblicità turistica della Regione a una società inglese.

Con questo non penso che i governatori PD fossero stinchi di santo ma solo ribadire quello che dicevo prima a proposito della eversione giustizialista che si è abbattuta sul Partito che fino ad allora aveva tenuto in pugno il monopolio delle toghe e cito a memoria i nomi di quelli travolti dall’onda, Soru, Loiero, Bassolino, De Filippo, Vendola e Del Turco.

Non è che i Partiti sul fronte opposto, se la passassero meglio, tutt’altro! per esempio ricordo quelli coinvolti nelle inchieste sulle gare del terremoto, dei Grandi eventi e del G8 della Maddalena, e nella Lista Anemone, ma anche gran parte di loro ne è uscito assolto o condannato con tre Pater-Ave-Gloria per dei peccati veniali.

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La quinta puntata è in pratica il preambolo e l’antefatto di un Auto-da-fè inquisitorio celebrato coram populo per estirpare il “bubbone della corruzione impersonificato (sic!) dal sindaco di Lodi” come il quotidiano locale definiva la turbativa d’asta per la gestione di due piscine scoperte di un paesone di 45.000 anime.

Il copione è sempre lo stesso: un’opera megagalattica da 13 milioni e mezzo di euro con la quale l’ambizioso Politico rampante di provincia (sindaco Guerini) desidera erigere da vivo il proprio monumento e consegnarsi così alla Storia cittadina; si tratta di un Polo polisportivo con piscina coperta che il suo squattrinato Comune costruisce in project financing sulla base di un piano finanziario cervellotico e tramite una cooperativa rossa destinata a fallire poco dopo.

Gli subentra e raccoglie il testimone incandescente il “poaro” sindaco Cireneo costretto a fare i conti con la Banca Popolare di Lodi che deve rientrare del capitale anticipato per la costruzione e riportare in nero i conti in rosso della gestione pubblico-privata in forte disavanzo.

Non potendo vendersi un rene l’unico modo per non veder fallire la società che gestisce il Polo è affidarle quella di due piscine comunali scoperte a un canone remunerativo e qui “casca l’asino” diviso tra il “fieno” dell’affidamento diretto al medesimo gestore pubblico-privato del Polo per compensarne le perdite di esercizio e l’“acqua” dell’affidamento all’asta al miglior offerente imposto dalla legge.

La turbativa d’asta è semplicemente l’“annacquamento del fieno” a beneficio di un colabrodo per il 50 % pubblico comunale per impedirgli di finire per anni nella massa attiva fallimentare della società mista e mandare i lodigiani a tuffarsi nell’Adda.

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All’Auto-da-fè e al rogo nella sesta puntata si arriva direttamente e senza bisogno di scomodare Carolina Invernizio, perché basta e avanza il linguaggio feroce e altisonante alla Robespierre usato dalla “ragazzina” con la toga del Pubblico Ministero sulle spalle e dalla stessa sua collega in veste di GIP con espressioni tipo “condotte nefaste”, “atteggiamento allarmante, disinvolto e disarmante”, “spregiudicatezza nel delinquere e protervia nei fini”, “tradimento dell’alta funzione e dell’incarico ricevuto dai cittadini”, “gestione  della cosa pubblica del tutto arbitraria e prepotente”, “violazione del mandato politico, di tutela, perseguimento e attuazione del primario bene collettivo e pubblico”.

Gli ovvii e scontati rapporti istituzionali e perciò anche personali tra Sindaco e privato, soci al 45 % ciascuno nella società che gestisce il Polo Polisportivo, sono “stretto legame e collusione” da investigare e disvelare come il terzo segreto di Fatima, il colloquio con il Comandante provinciale della Guardia di Finanza per avere chiarimenti diventa un artificio “per carpire informazioni” evidentemente da un sempliciotto in divisa, e la conclusione dell’asta con l’aggiudicazione prova la “prosecuzione imperterrita dell’attuazione di un programma criminoso anche quanto era stata denunciata pubblicamente la collusione tra gli indagati”.

Cotanto accanimento alla fine meriterà un premio il 28 gennaio 2017 quando il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano citerà la “ragazzina” per nome e cognome nella sua relazione all’Assemblea Generale per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2017 e lo farà per elogiare l’impegno “encomiabile” suo e dei magistrati della Procura di Lodi “a capo della quale il giovane magistrato ha saputo  dirigerla per molti mesi con particolare capacità professionale” con la precisazione che “a tal proposito va segnalato il procedimento per turbativa d'asta e il procedimento penale in corso di dibattimento” con evidente riferimento al “poaro” Sindaco finito ai Piombi.

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Il leitmotiv dei romanzi di Carolina Invernizio è l’eterna lotta tra il bene e il male e anch’io chiudo la bozza del suo ipotetico 124esimo romanzo con l’assoluzione in appello del “poaro” Sindaco di Lodi a conferma che tutto finisce bene, come col covid.

In realtà non è così perché come cinque secoli fa nessuno ha potuto rimettere la testa sul collo del “fornareto” anche oggi nessuno può cancellare cinque anni di tortura giudiziaria fine a sé stessa.

O meglio, tortura fine all’eversione giustizialista lanciata con la fatwa del M5S di Grillo fin dal 26 maggio 2014 con una segnalazione alla Procura Regionale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Lombardia poi seguita da un esposto alla Guardia di Finanza di una dipendente comunale trasferita ad altro ruolo dove si accusava il Sindaco di “pressioni indebite per confezionare un bando su misura”.

Oggi che il giustizialismo si ritorce su Grillo per il figlio e su Davigo per lo scandalo Amara tutti pensano al pentimento e al rimorso dei due “cattivi maestri” per il male inflitto a tanti innocenti.

Io invece preferisco frugare tra le righe del commento del Procuratore della Repubblica di Lodi dopo l’assoluzione del “poaro” Sindaco di Lodi, una dichiarazione piena di eufemismi come l’emergere della verità processuale da lui definita “normale dinamica processuale” che non “conferma un ipotetico errore”.

Oppure come “possibili diverse valutazioni di un medesimo fatto storico” e come “tesi non proprio campata per aria” e “il diritto non è matematica

Le parole “errore” e “campata in aria” sono le sue non le mie, lui le usa ad excludendum io invece per ricordare Fanfani jr che le ha pronunciate 5 anni fa e a tempo debito al CSM e ne è uscito lapidato dai Farisei.