Accadde oggi 8 novembre 2019, 2 anni fa.

Bruno Giri stava guardando “Crepusculo la saga: Eclipse” e annotava questo commento sul tema del giorno: l’acciaio italiano.

 

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“Per entrare nell’Ordine dei Veggenti, Indovini e Profeti non serve la sfera di cristallo, è solo questione di memoria e di spirito di osservazione.

In questa settimana è virale il tema del destino dell’Ilva di Taranto che ha oscurato perfino la telenovela della Finanziaria e del Decreto Fiscale.

Cosa accadrà all’Ilva? se lo chiedono i lavoratori dell’acciaieria e gli abitanti di Taranto, i politici e i sindacalisti, le borse e le banche, gli imprenditori della filiera metalmeccanica e l’indotto della distribuzione.

Osservo la realtà, interrogo la mia memoria rigida e ve lo rivelo.

Il coltello per il manico ce l’ha un giovanotto campano di 33 anni che a Napoli fino a ieri vendeva bibite a Fuorigrotta, a quattro passi da Bagnoli, su quello che è stato il teatro di un atto dell’omonima saga siderurgica alla quale però lui non ha preso parte perché aveva solo sei anni quando è terminata.

Come quella dei Nibelunghi anche questa saga è a episodi, Falck a Sesto San Giovanni concluso nel 1996, Ilva a Bagnoli sul litorale partenopeo di Coroglio concluso nel 1992, Riva a Genova Cornigliano concluso nel 2005 e infine Riva a Taranto arrivato ai titoli di coda.

Chissà se il paninaro predestinato ministro yuppie quando andava al lavoro al San Paolo ha sognato la sua Bagnoli come una piccola Pittsburgh, la micidiale e avvelenata “Steel City” miracolosamente riconvertita nella più vivibile città d’America.

E’ certo, comunque, che ignorava -e che tuttora ignora- la tragica fine dei primi tre episodi, lombardo, napoletano e genovese quando il ciclo a caldo si è esaurito e concluso, il privato ne è uscito, a volte accompagnato dai Carabinieri e sempre dall’Ufficiale Giudiziario, e la mano pubblica al grido che l’acciaio è strategico ha preso a far danni enormi e irreversibili all’Erario, all’Ambiente e soprattutto all’Economia e al Lavoro.

Ne sono convinto perché invece di punzecchiare la cordata multinazionale trovata col cerino in mano mentre si stava bruciando le dita per il sequestro giudiziario dei forni e per le criticità dell’area a caldo e invece di privarla delle guarentigie contrattuali con un gesto di pirateria parlamentare avrebbe dovuto venirle incontro e soccorrerla.

Non averlo fatto significa inaugurare la stagione della macelleria sociale come quella che nel 1989 con lo spegnimento degli altiforni ha falcidiato 5000 lavoratori a Bagnoli e poi -tre anni dopo- altri 3000 con la fine della lavorazioni a freddo e la chiusura del laminatoio.

Ma è anche macelleria finanziaria tipo quella che per Bagnoli nel 1981 al Ministero delle Partecipazioni è costata 1200 miliardi di lire per riconvertire gli impianti e poi nel 1985 altri 800 miliardi di lire per un treno a nastri, salvo smantellare e svendere tutti gli impianti a cinesi e indiani qualche anno dopo.

Realtà e memoria che è alla base della mia profezia: un disastro identico ma con effetti moltiplicati dalle enormi dimensioni dell’Ilva di Taranto e dalle sue caratteristiche tecniche e poi a cascata trasmessi sia all’indotto, sia alla filiera che utilizza l’acciaio semilavorato e sia infine all’immagine di affidabilità del Paese sui mercati finanziari e imprenditoriali mondiali.

Peserà come un macigno sulla coscienza di molti e sulla vita di tutti.”

 

POST SCRIPTUM: due anni dopo Invitalia di Arcuri è dentro fino al collo nella gestione finanziaria ma le danze sull’acciaio italiano le fanno gli indiani e prevedo che saranno danze macabre all’insegna del PNRR di Draghi con mille bocche da sfamare.