Ventimiglia, provincia di Verona.

Domani a Verona ci sarà il ballottaggio tra un sindaco uscente e un giocatore di calcio che ha appeso le scarpette al chiodo.

Tra un anno, invece, a Ventimiglia ci sarà il ballottaggio tra un sindaco uscito con le scarpette ai piedi e uno scommettitore che confonde l’amministrazione pubblica con il gioco d’azzardo. 

Al liceo Cassini tra i 14 e i 18 anni ho avuto come professore uno dei Padri Costituenti della DC in Liguria, Raul Zaccari, sindaco di Bordighera, senatore per quattro legislature e sottosegretario nel Governo Andreotti II e fuori dalla scuola tra le tante cose degli scritti e degli orali all’esame di maturità politica una riguardava l’arte dell’immedesimazione.

Certo, bisogna esserci predisposto, è come un dono di natura, ma senza gavetta, tirocinio e studio non riuscirai mai a sviluppare il senso di una comunità, dalla minima alla massima, a immedesimarti in una entità astratta e ideale come fosse una creatura reale e innamorartene per l’intera esistenza.

Chi ci riesce diventa un buon amministratore pubblico, può darsi che diventi anche un buon politico, a volte capita, però che possa diventare un buon uomo di Partito lo escludo categoricamente.

La differenza tra le tre cose serve per capire Verona, Ventimiglia e (a rifletterci sopra) anche un po’ l’Italia.

Mi spiego con un esempio: l’amministratore pubblico è il religioso-frate priore del convento, il politico è il chierico-prete-parroco addetto a battesimi, comunioni, cresime, matrimoni e funerali e infine l’uomo di Partito è il Padre Superiore che fino a ieri teneva la cassa e le chiavi di monastero e chiesa.

Fino a ieri, ho detto, perché oggi i Partiti sono morti, rimangono soltanto i loro fantasmi e gli scheletri negli armadi, e perché i preti non escono più dai Seminari ma dalle piattaforme e rubano il saio ai frati inventandosi i Partiti dei Sindaci e dei Governatori.

A Verona, a Ventimiglia e un po’ dappertutto le comunità si sentono orfane di buoni amministratori immedesimati nei loro problemi, la maggioranza si chiude in sé stessa e non va più a votare e quei pochi che ci vanno scelgono sempre più chi almeno ha un orizzonte civico e non un uomo di Partito alla ricerca di punti percentuali.

Rispetto a Verona in questo processo di decantazione Ventimiglia è un passo avanti perché qui la partecipazione civica è maggiore, ha meno scorie politiche e di Partito e forse soltanto un po’ troppo provincialismo, piccolezze insignificanti e beghe di condominio che hanno regalato un anno sabbatico al sindaco “fuori stanza” pronto a rientrare alla guida della comunità nella quale si è immedesimato.

Nella città di Romeo e Giulietta, invece, non v’è ancora certezza che prevalga un buon amministratore.

I Partiti non sono ancora evaporati del tutto e sotto il saio la politica sta continuando a dare il peggio di sé.

Al mercato e nelle botteghe i capi Partito intervengono come fossero in ballottaggio due cordate solide e strutturate, ognuna con azionisti in regola e tutti ben identificati, un po’ come “elettori della gleba”, tanto per capirci, oppure truppa agli ordini di un capitano di ventura.

Ma la lezione gli arriverà domani anche lì e sarà utile l’anno prossimo a Ventimiglia a far capire ai preti che non devono molestare i frati.