Il diavolo si nasconde nei dettagli ma spesso ne basta uno per scoprirlo.
Come nel caso dell’outlet in Valle Armea dove addirittura Belzebù mostra la coda e non servirebbe neppure l’esorcista a smascherarlo.
Però tutti la osservano e nessuno la vede, la coda.
Colpa del polverone sollevato dalle indagini giudiziarie su una sfilata di personaggi che sembrano usciti da un instant book di fantapolitica, un mix di psicodramma e di giallo, dove il personaggio centrale della Peyton Place toscana ha il pizzetto alla D’Artagnan e si nasconde sotto un cappellaccio da buttero maremmano.
Storie di ordinaria ciofeca, di quelle che si comprano sui banchetti dei rigattieri e che in questo caso confondono solo le idee e portano fuori strada.
La coda del diavolo, invece, si chiama D.I.A., acronimo di denuncia di inizio attività, una trappola che Lucifero ha inventato con la scusa di facilitare e velocizzare le pratiche edilizie e che, ribaltando il senso di marcia rispetto al canonico procedimento di rilascio della concessione, finisce con l’invertire l’onere della prova.
Nel senso che la procedura da inquisitoria diventa accusatoria perché mentre di norma è il costruttore a dover dimostrare di avere le carte in regola, in questo caso, invece, grazie all’escamotage della D.I.A., è il Comune che in soli 30 giorni deve provare il contrario, altrimenti col silenzio assenso i lavori possono tranquillamente iniziare.
Così l’antivigilia del Natale 2013 al posto della mela il Demonio tentatore, all’insaputa del sindaco Zoccarato, ha lasciato all’archivio comunale un “Big Mac”, il panino a due piani, urbanistico e commerciale.
Quando nel tempio di Vesta i furbetti del cartellino imperversavano ancora, una devota vestale dell’ufficio territorio teneva caldo il panino e passate le festività di Capodanno 2014 già il 28 gennaio inaugurava la liturgia urbanistica con una bella Conferenza dei Servizi interna dove fuori dal coro si è sentita una sola voce, quella dell’ufficio Patrimonio, che avvertiva una forte puzza di zolfo, segnalazione che confermerà anche nella seconda Conferenza dei Servizi del 9 giugno 2015, fatta in preparazione della “Missa Solemnis” in consiglio comunale che sarà celebrata da Biancheri neosindaco 17 settembre 2015, in pompa magna e col rito ambrosiano.
Ambrosiano perché arriva da Milano il serpente tentatore che nel companatico urbanistico nasconderà la trappola edilizia della D.I.A. n. 1155/2014 con un’esca che il 3 marzo dell’anno successivo saprà rendere ancor più appetitosa.
Così a Sanremo saranno in molti a cadere nella trappola, portati fuori strada dai due diversivi, commerciale e scandalistico, che poco o nulla hanno a che vedere con le astuzie di Satana.
Nessuno che abbia notato la sua coda ben visibile nelle carte urbanistiche e in particolare nelle norme tecniche di attuazione e nella relazione illustrativa che contengono disposizioni che definirei applicabili soltanto “a babbo morto” dove il babbo non è quello di Renzi.
Vi si legge, infatti, che la ristrutturazione urbanistica dell’ex Pantamarket può avvenire anche attraverso D.I.A. senza dover aspettare un permesso di costruire e si cita l’articolo 22, comma 3, lettera b) del Testo Unico n. 380/2001 come norma da applicare.
Senza aggiungere, però, che questa è una possibilità che la legge consente, appunto, “a babbo morto”, cioè una volta che il piano attuativo sia diventato esecutivo, vale a dire -testualmente- nel rispetto delle “precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti”.
Sappiamo bene che lo S.U.A. in variante è ancora in grembo a Giove e che dunque la D.I.A. avrebbe dovuto seguirlo e non precederlo, per tutta una serie di difformità tra come l’ex Pantamarket era e come sta diventando.
Ma soprattutto nei 30 giorni di contumacia della D.I.A. qualcuno in Comune a Sanremo avrebbe dovuto saperlo e fatto sapere a Biancheri.
Nel dubbio costui avrebbe dovuto quanto meno notificare l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informare l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza, come prescrive il comma 6 dell’articolo 23 successivo.
So bene che a questo punto uno dei tanti “giganti del pensiero”, (come Gino Napolitano amava definirli), obbietterà che la D.I.A. dell’ex Pantamarket poteva essere presentata “a prescindere”.
Verissimo, ma qualsiasi Bertoldo di passaggio pensa: “Sì, ma non a prescindere dalle norme urbanistiche che, nelle zone D1-7, D1-8 prevedono la destinazione d’uso artigianale e industriale, inclusi gli stoccaggi e limitano la commercializzazione ai soli prodotti interessati dagli insediamenti ivi previsti. L’ex Pantamarket è stato condonato, ma il condono riguarda quel preciso edificio e quello specifico cambio di destinazione d’uso, non l’intera zona urbanistica nel quale è stato realizzato”.
E poi da quando con una D.I.A. è ammesso derogare ai limiti di altezza massima, o traslare parte dei volumi in altra zona, o demolire e ricostruire un edificio al di fuori dal sedime originario e senza rispettare la sagoma e i volumi originari in aperta violazione dell’articolo 10, comma 2, lettera e) del T. U. dell’edilizia l. r. n. 16/2008?
Nulla di personale, intendiamoci, ma a me il Diavolo non è mai piaciuto e nemmeno la puzza del suo sterco.