A proposito di legalità, questa notte, 25 marzo 2017, ritorna l’ora legale e le lancette dell’orologio vengono portate avanti di 60 minuti.
La cosa non mi riguarda, e neanche l’altra misura del tempo, il calendario, perché nel diagramma del ciclo vitale cosciente ho fermato le lancette e l’anagrafe nel punto che segna il mio picco mentale e biologico personale, senza aspettare il rincoglionimento che inevitabilmente accompagna il declino fisico.
Se mi cadono i denti e i capelli non posso farci niente, se alla libido subentra la pace dei sensi neppure, e così per l’implacabile corteo di acciacchi, malanni e inconvenienti della senescenza.
Dentiere, tuppè, lifting, viagra e compagnia bella sono palliativi per ingannare più sé stessi che il prossimo, placebo per chi non si arrende al tempo segnato dall’orologio e dal calendario, cioè al tempo fisico.
Quello mentale, invece, uno può darselo, deve saperlo difendere attraverso l’esercizio continuo e soprattutto viverlo con dignità e coerenza.
Fisicamente sono un ultraottantenne, perché così è scritto all’anagrafe di Cumiana, provincia di Torino, ma mentalmente sono sulla sessantina perché a quel punto ho stabilito di fermarmi e di rimanere per il resto della vita.
Ogni tanto su FB qualcuno posta le parole di Seneca “Non si ferma il vento con le mani” alle quali nell’ottobre di sei anni fa Renzi ha imprudentemente intitolato la Leopolda, visto che (direbbe A.M., un maligno di mia conoscenza che era lì a Firenze) il tempo ha trasformato quel vento in una scoreggia.
Se la metafora non funziona neanche per la politica, attività gommosa, geneticamente refrattaria ai “redde rationem”, figuriamoci per il resto quando il tempo presenta il conto!
Per la mente invece è tutto diverso, sempre che -ovviamente- qualche malanno fisico con colpisca il cervello che è la bicicletta sulla quale pedala.
Un patto di questo genere, alla Mefistofele, dovrebbe farlo anche la politica che coniuga i verbi al passato per polemizzare e al futuro per abbindolare e dimentica il tempo presente ed i problemi dell’attualità.
Tornando ancora a Renzi, questa volta nella mia Torino, al Lingotto, è toccato alla Madia ricordarglielo col suo “mentre” ripetitivo: “Mentre rottamavamo il tempo passato e mentre facevamo riforme destinate al tempo futuro, abbiamo trascurato il tempo attuale e l’emergenza degli effetti collaterali e indotti da curare subito”.
Le parole sono le mie ma il “mentre” è suo.
La politica dalla mie parti, e specialmente a Sanremo, è immune dal rischio di cadere in errori di questo genere e di dover recriminare alla Proust sul tempo perduto, perché trascorre in una dimensione surreale dentro una bolla senza tempo interpretando una fiction retrospettiva della serie: “Come eravamo” che, personalmente, correggerei in “Come avremmo dovuto essere.”
C’è un passo dell’Elogio della follia di Erasmo che le si adatta perfettamente: “L’intera vita umana non è altro che uno spettacolo in cui, chi con una maschera chi con un’altra, ognuno recita la propria parte, finché, ad un cenno del capocomico, abbandona la scena”, dove il capocomico è stato ogni volta un prefetto e il suo più che un cenno è stato un solenne e salutare calcio in culo.
Vengono i brividi a sentir parlare di sinergia pubblico-privato, di incubatore di idee, di startup da incentivare, quando sotto gli occhi degli ospiti, dei turisti, dei clienti, dei compratori e degli osservatori di questo tempo attuale marciscono problemi vecchi di decenni, cronicizzati, antichi, come Portosole, Pigna, Bussana Vecchia, ex SATI, Auditorium Alfano, bretella tra San Lorenzo e corso Inglesi e via elencando.
Fino a quando a rimettere indietro le lancette dell’orologio non arriva un altro capocomico magari con maschere diverse, ma lo spettacolo a Sanremo e dintorni è sempre lo stesso.