Cambiano i sindaci e tutto rimane uguale a prima, sempre e dappertutto.
La gente si chiede: dove sta l’inghippo?
Me lo chiedo anch’io e la risposta la trovo nel confronto tra podestà e sindaco.
Il primo aveva carta bianca, pieni poteri e la sua discrezionalità era ampia ed incondizionata.
Sulla carta del secondo, invece, gli spazi di discrezionalità sono molto ristretti e tre fantasmi li comprimono ulteriormente.
Il primo fantasma è l’incompetenza che impedisce di fare ciò che sarebbe possibile ma che non si conosce.
Per esempio, un sindaco otorinolaringoiatra non è tenuto a conoscere l’urbanistica o la ragioneria pubblica.
Il secondo fantasma è la responsabilità contabile che rende prudente chi potrebbe fare ma evita il rischio di finire sotto le grinfie della Corte dei Conti.
Per esempio ordinare per necessità o urgenza un intervento o una occupazione col pericolo di sentirsi poi contestare uno dei due presupposti o entrambi.
Il terzo fantasma è il conformismo che sconsiglia di uscire dal gregge con iniziative possibili ma nuove, controcorrente, sgradite e/o impopolari.
Per esempio non prorogare la scadenza di un contratto di appalto o negare un contributo che col passare del tempo nell’opinione comune sono diventati “atti dovuti” o diritti acquisiti.
Ecco perché i sindaci non riescono mai a cambiare le cose.
Di alibi per rinunciare all’esercizio del potere discrezionale ne trovano tanti.
Uno è finanziario e nasce dai vincoli del Patto di Stabilità sugli equilibri di bilancio.
Un altro è giuridico e nasce dalla separazione tra poteri di indirizzo e controllo e poteri di gestione.
Poi c’è quello, chiamiamolo, “psicologico mediatico” che nasce dalla presenza fissa e inamovibile di almeno una emergenza, da quella idrogeologica alla immigrazione, dalla vendita di griffe false alla prostituzione diffusa, dal divieto di balneazione al blocco del traffico, dalla soppressione di un treno alla crisi idrica e così via.
La rinuncia a fare scelte, chiamiamole, “politiche”, va a beneficio della burocrazia, dagli uscieri ai dirigenti, passando dai giardinieri, dai travet e da “oves, boves et omnes pecudes”.
L’apparato burocratico come reagisce?
Da par suo, come è uso fare da secoli e millenni, che diamine!
Scriba e amanuensi ciceroniani, agostiniani, e poi mezzemaniche stendhaliane, gogoliane, sveviane, fantozziane, dickensiane, fino a quelle informatizzate dei giorni nostri.
Il motto dominante è “quieta non movere” nelle due sue facce, di non agitare ciò che è fermo e di fermare ciò che si muove.
Per non correre rischi, tanto il 27 del mese arriva sempre.
Adesso la Madia vuol licenziare i dirigenti che si muovono “male” ma il loro cattivo comportamento non dipende dai risultati di un auditing interno inesistente e non è stabilito dai cittadini ingannati o dai sindaci rinunciatari bensì dal giudice penale con sentenza definitiva, cioè mai, neppure se ammazzano il sindaco e fanno strage di consiglieri comunali, perché siamo sicuri che ogni volta interverrà provvidenzialmente una prescrizione.
Questo vale per i sindaci che non cambiano le cose.
Poi ci sono quelli che invece le cambiano ma in peggio, perché invece di abbandonarsi tra le braccia della burocrazia comunale si affidano al Dottor Mabuse di turno, al genio del male in versione cazzara.
In certi casi si tratta di un “maitre à penser”, in altri di un manager, o di un politico rampante o di un esperto della materia spesso grand commis in quiescenza o, da qualche tempo in qua, di un magistrato.
Spesso la motivazione elitaria ed esclusiva della scelta accresce ulteriormente la già ridondante autostima degli individui in questione, trasformandoli in malvagi ma dotti megalomani più dannosi per la comunità di una indigestione collettiva di amanita phalloides.
I pochi sindaci che riescono a sottrarsi a questa maledizione virale direttamente collegata alla fascia tricolore vengono bersagliati dagli avversari politici che si trovano spiazzati dal loro attivismo.
Poi ci sono i media ai quali tolgono lavoro e merce in vendita sotto forma di polpette avvelenate tipo intercettazione di Crocetta.
Poi arriva il poliziotto zelante che attiva il magistrato affetto da protagonismo e allora parte l’avviso di garanzia.
Poi i cittadini scontenti e insoddisfatti per ragioni del tutto estranee ai compiti del sindaco non trovano di meglio che sfogarsi con lui.
E così alla fine anche i pochi sindaci che prendono decisioni “politiche” smettono di farlo, rientrano nei ranghi e si adeguano senza aver capito come faceva Ferrini, il venditore di pedalò, di quelli della notte di Arbore.
Lui era un comunista doc e ubbidiva ciecamente alla disciplina di Partito, ma oggi si sarebbe rifiutato di farlo perché la fede è una cosa diversa dall’imbecillità, la prima la perdi la seconda no, mai.