In fin dei conti, diciamocelo, ritrovarsi segregati in casa è come essere finiti ai domiciliari e in queste condizioni qualsiasi esercitazione dell’intelletto è buona per conservare un minimo di lucidità, compresi i soliloqui sui social dove si può praticare la masturbazione mentale senza rischiare la cecità.

 

Nel mio caso la certezza di parlare solo a me stesso proviene dall’argomento che ho scelto oggi, la “Fase Due”, un tema sul quale anche il portinaio dell’ultimo vice-Ministro ha già detto la sua su “Skype”.

 

La “Fase Due” è come una partita a tennis che si gioca sul terreno della globalità tra due finaliste, gli USA e la Cina, mentre tutti gli altri assistono a bordo campo in attesa di portare in trionfo il vincitore.

 

La pandemia funziona da rete divisoria stesa tra le due metà campo e l’8 aprile scorso la Cina l’ha superata con un drop shot di 76 giorni che ha tagliato le gambe a Trump dopo che il tycoon si era aggiudicato il primo punto giocando d’anticipo con lo slice dei dazi protezionistici.  

 

Adesso a fondo campo alla battuta c’è Xi-Jinping che nel ranking mondiale dell’economia reale precede l’avversario non ostante il calo trimestrale del 6,8 % del PIL per un valore di 1,44 trilioni di yuan corrispondenti a 203,4 miliardi di dollari.

 

E’ vero che Trump a sua volta lo precede nel ranking dell’economia finanziaria dove la posizione in classifica dipende dal profitto netto del capitale monetario nominale pesato in dollari (valuta che si stampa negli USA), però la palla in mano ce l’ha la Cina che, appunto, dal 9 aprile 2020 è già in “Fase Due”.

 

Il vantaggio cinese è doppio, strategico e politico, perché da un lato sfrutta gli atout del suo ranking economico e dall’altro lato mette in mare le scialuppe in vista del Big Bang finanziario innescato dalla recessione.  

 

Elencare i punti di forza di Xi-Jinping sul terreno dell’economia reale sarebbe impossibile, sono troppi e sono disseminati ai quattro angoli del pianeta, e per rendersene conto è sufficiente ricordare l’impatto di marzo sull’industria mondiale dell’auto del lockdown cinese nel settore dei semilavorati informatici.

 

Ma non esiste solo la tecnologia innovativa, anzi c’è molto altro.

 

Troppi infatti sono i settori manifatturieri a basso profitto e alto impiego di mano d’opera che gli USA hanno abbandonato fin dagli Anni Ottanta, ai tempi dell’edonismo reaganiano, quando rincorrevano un plusvalore finanziario che puntava all’infinito.

 

Un esempio vale per tutti, quello di New York, che subito dopo allargo a quello delle forniture mediche in genere, fonte oggi della maggiore preoccupazione sullo scenario mondiale.

 

 E’ un caso, quello della Grande Mela, veramente da manuale perché ha lasciato Trump sotto rete mentre la palla ben angolata di Xi Jinping finiva alle sue spalle.

 

Lì nella megalopoli i pazienti in agonia boccheggiavano come pesci fuor d’acqua e il Presidente scopriva di non disporre della quantità necessaria di respiratori N95 e di ventilatori polmonari perché da molti anni la GM in Ohio aveva chiuso la linea di produzione e soprattutto perchè i business plan industriali della 3M e della Honeywell non lo avevano previsto.

 

Sono le due società USA tuttora leader mondiali del settore che distribuiscono i dividendi a Wall Street ma che fatturano in gran parte all’estero, dappertutto nel mondo, Cina e Italia comprese, ed è lì che sviluppano materialmente la produzione, l’assemblaggio e la commercializzazione.

 

Tutte attività che col COVID-19 sono diventate strategiche, equiparate a quelle degli armamenti, e quindi soggette a misure protezionistiche rigide, in questo caso umanitarie, prese dallo Stato che le ospita, il che le ha messe in aperto conflitto col “Defense Production Act” di sapore vagamente razzista che Trump ha emanato per incanalare negli USA l’import e per bloccare l’export dagli USA verso il Canada e il Sudamerica.

 

L’esempio riguarda anche e soprattutto le mascherine FP2 ed FP3 sulle quali Trump non se la passa meglio mentre Xi-Jinping a fondo campo e con la racchetta in mano sta studiando il servizio in “Fase Due”.

 

La Cina, infatti, dopo la sindrome respiratoria acuta grave di coronavirus (SARS-CoV) del 2002 e dopo la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) –CoV del 2014 è diventata monopolista storica e consolidata in questo campo con una produzione che fino a ieri si aggirava intorno ai 9 miliardi di unità all’anno con una media giornaliera di circa 25 milioni.

 

Quantitativi che a distanza di un mese dallo scoppio dell’epidemia a Wuhan si sono moltiplicati per 12 con 116 milioni al giorno a partire dalla fine di febbraio grazie alla riconversione di oltre 2.500 aziende, non tutte necessariamente manifatturiere ma 700 di loro altamente tecnologiche e attive nelle applicazioni del tessuto soffiato a fusione in campo automobilistico, aeronautico e ferroviario.

 

Sulle prime la decisione di Xi Jinping era apparsa temeraria perché in controtendenza rispetto all’andamento piatto del mercato, favorito dall’OMS che fin dagli inizi dell’epidemia aveva escluso ogni potenziale beneficio dell’uso generalizzato delle mascherine salvo poi ai primi di aprile ammettere che “ci possono essere situazioni in cui l'uso di maschere può ridurre la velocità con cui le persone infette possono infettare gli altri” e poco dopo ai primi di aprile fare una inversione a U del suo giudizio iniziale e raccomandarle caldamente.

 

Nelle prime settimane della pandemia Xi Jinping per tutelare il miliardo e 400 milioni di cinesi aveva frenato e poi addirittura impresso un brusco “Dietro front!” alla offerta estera di mascherine, mentre la domanda pian piano aveva preso a crescere tra i rimanenti 5,6 miliardi di persone finché ad aprile la parola d’ordine generale del resto del mondo diventava un affannoso “Avanti tutta!”.

 

Ed è sotto quella pressione internazionale sia economica che politica dei Paesi amici che alla fine l’export cinese si è riaperto a tutti, però con quantitativi insufficienti rispetto alla domanda, il che ha scatenato una feroce guerra commerciale (e non soltanto per le forniture sanitarie) con stop and go e asimmetrie inimmaginabili solo pochi mesi prima.

 

Si pensi al Canada e a Trudeau che a dicembre per fare un piacere a Trump e su sua richiesta di estradizione a Vancouver aveva arrestato un alto dirigente della Huawei e che tre mesi dopo come ringraziamento si prendeva la racchetta in faccia col Defense Production Act” che vietava l’export delle maschere e dei respiratori N95 della 3M in Canada mentre l’altro rivale bloccava l’import in Cina dei prodotti agricoli canadesi, in particolare dei semi di colza.

 

Per non parlare della Germania che ha accusato di pirateria gli americani per essersi impadroniti di un cargo di mascherine cinesi in transito a Bangkok e destinate a lei e della Francia che ha paragonato al selvaggio west la guerra dei prezzi al rialzo scatenata sul mercato delle forniture sanitarie dagli emissari di Trump che avevano “scippato” una partita di DPI cinesi destinata a Parigi.

 

In realtà -è facile constatarlo scorrendo i listini di Wall Street- vale per le mascherine il medesimo principio dei respiratori, espresso nell’acronimo dell’economia finanziaria “B2B”, cioè “Business-to-Business”, gli affari sono affari, una “commixtio nummorum” che per gli americani è un vero e proprio canone religioso e che in questo caso ha messo insieme i capitali di Cina, USA e India in fondi “melting-pot” ai quali affluiscono enormi profitti in crescita esponenziale.

 

Cosa che però non va confusa, assolutamente, con l’altro acronimo “B2C” dell’economia reale, cioè col “Business to Customer”, gli affari si fanno al dettaglio, (“articolo quinto, chi l’ha in mano ha vinto”) con la produzione saldamente in mano a Xi Jinping che applica anche il terzo acronimo, “B2G”, cioè “Business to Government”, gli affari si fanno tra Stati, ma lo fa soltanto con quelli amici o per trovarne di nuovi lungo la “Via della Seta” di Marco Polo.

 

Insomma, mentre Xi Jinping e Trump stanno disputando più o meno sportivamente la loro partita di tennis, nel “parterre” dei Paesi ricchi a bordo campo è in atto una feroce guerra sotterranea che è sanitaria ma soprattutto economica per non retrocedere tra i Paesi poveri, e tutto questo avviene al cospetto degli altri Paesi già poveri (vecchi e nuovi) che assistono impotenti in tribuna e ai quali non rimane che scegliere tra due catastrofi.  

 

Sul court globale è unanime tuttavia la convinzione che il servizio di Xi Jinping nella “Fase Due” non sarà il “match point” che chiude e aggiudica la partita ad uno dei due giocatori perché COVID-19, il giudice di gara, cambia di continuo le regole del gioco mentre la partita è in corso.

 

Un vaccino mortale che lo faccia fuori non esiste e temo non esisterà mai, un farmaco per sedarlo neppure, lui allaccia di nascosto e dappertutto una cintura esplosiva intorno alla pancia di masse sempre diverse di persone asintomatiche con dentro una carica virale elevata pronta a scattare con la puntualità implacabile di un timer.

 

Con un giudice di campo di questo genere, un essere malvagio che ha steso tra i due finalisti una rete sempre più alta e insidiosa, è impossibile prevedere in questo momento il seguito della partita.

 

E’ possibile invece cominciare a disegnare gli scenari futuribili della finale del torneo, l’endgame del confronto tra i due colossi mondiali.

 

Si potrebbe farlo sulla scia dell’omonimo film dei fratelli Russo, sequel di “Avengers: Infinity War”, che a luglio dell’anno scorso è stato incoronato re del box office di tutti i tempi, battendo “Lo Squalo”, “Guerre Stellari”, “E.T. l'extraterrestre”, “Titanic” e “Avatar

 

Qualche mese dopo quello straordinario successo cinematografico nessuno poteva anche solamente pensare che sul terreno del kolossal la realtà della pandemia avrebbe superato la fantasia della “Infinity Saga” e che a compiere l’impresa fosse un microscopico virus criminale in veste di giudice di gara di una partita di tennis.

 

L’accostamento ad “Avengers Endgame” nasce a San Francisco da un topo che inavvertitamente in un magazzino calpesta i comandi del dispositivo che riattiva il “Tunnel del Quantum” nascosto dentro un furgoncino, così riportando Scott Lang indietro dal “Regno Quantico” e in vita gli eroi scomparsi che alla fine riusciranno a decapitare Thanos e a salvare l’Universo.

 

Tutto questo nella fantasia cinematografica, ma nella realtà del nostro Universo per salvarci potremmo chiedere a un topo di laboratorio di immolarsi per testare un vaccino che faccia uscire dal “Tunnel Pandemico” l’umanità e la riporti indietro nel tempo, a prima dello “Snap”, lo “Schiocco” di Thanos quando COVID-19, il “Titano Pazzo”, ha distrutto le “Gemme dell’Infinito”, metafora del genoma di “Madre Natura”.