Ieri, se ricordate, ho chiuso il III° capitolo di questa storia americana con l’Executive Order 13959 of November 12, 2020 dal titolo “From Securities Investments That Finance Communist Chinese Military Companies”, una misura legislativa con la quale, nove giorni dopo il voto, Trump ha avvertito la nuora “finanziaria” perché la suocera “politica” intendesse.

Su “chi è stato?” e sul “come lo ha fatto?” il suo “Legal Team” ufficiale l’altro giorno a Gettysburg, se ricordate, ha puntato il dito accusatore su un terzetto di Stati sovrani che dall’estero hanno interferito nella politica interna degli Stati Uniti, l’hanno minacciata e promosso la loro minaccia fino a farle raggiungere il livello massimo di “emergenza nazionale” e ultimamente lo hanno fatto in recidiva nel corso della Campagna Elettorale 2020.

Però sappiamo benissimo che a tirare le fila di tutto questo è un unico Stato, la Cina, e sappiamo pure che la suocera destinataria dell’avvertimento è il “Deep State” patriottico americano che adesso deve intendere e trarre le debite conseguenze.

Ma l’interferenza straniera ostile “quando” è cominciata? 

Bella domanda ancora senza risposta.  

È calato il sipario su “Russiagate”, la fiction che doveva incastrare Trump, e l’ultimo attore di quel “cast”, il generale Michael Flynn, ne è uscito innocente e addirittura l’altro ieri è stato graziato e riabilitato dalla stessa persona che nel copione di Obama e Hillary avrebbe dovuto essere ammazzata da una sua testimonianza in giudizio.

Dietro quel sipario di cartapesta c’era però una minaccia effettiva e grave raccolta dall’Executive Order of the President 13848 of September 12, 2018 e minuziosamente descritta dal suo supporto informativo e legale, il “Community Assessment 2017”.

Si tratta di un rapporto dal titolo eloquente: “Assessing Russian Activities and Intentions in Recent US Elections: The Analytic Process and Cyber Incident Attribution” redatto congiuntamente dalla “Central Intelligence Agency (CIA)”, dal “Federal Bureau of Investigation (FBI)” e dalla “National Security Agency (NSA)” e con l’apporto di numerose altre Agenzie e fonti informative.

Si trova lì, su quelle pagine, il “quando” si è verificata la mutazione dell’interferenza straniera ostile, passata da russa a cinese e precisamente nel corso delle “Recent US Elections” cioè delle elezioni presidenziali 2016 nelle quali i “liberal” di Obama e Hillary sono stati disarcionati dal cavallo di Troia russo da Trump mentre i “democrats” di Biden puntavano sullo scalpitante destriero cinese e la fanteria appiedata di Sanders e della Harrys stava a guardare.

Da analfabeta cibernetico lì per lì ho pensato che quattro anni dopo la Cina avesse interferito direttamente contro Trump con qualche diavoleria tecnologica, ma mi sono ben presto ricreduto di fronte a una versione dei fatti molto convincente e solidamente comprovata anche se non è “straniera” ma “domestica” e ricorda vagamente i film di Fantozzi.

Ciò non toglie, tuttavia, che a tirare le fila dietro le quinte si nasconda sempre il gigante asiatico, e a farmelo pensare è Andreotti quando scommetteva sui propri cattivi pensieri e io adesso sul comportamento di Xi Jinping ne ho maturato un paio.

Lui ha conosciuto Joe a Washington l’anno prima delle elezioni 2016 di fine mandato, quando Joe era vice-Presidente di Obama e in quella occasione avevano libato e alzato i lieti calici davanti alla stampa internazionale, e da allora il feeling non si è mai più interrotto, qualche volta alla luce del sole, sovente -si sospetta- per procura e col favore delle tenebre.

Così tutti si aspettavano che il 7 novembre quando l’Associated Press ha dichiarato vincitore Biden Xi Jinping salisse sul suo carro e si unisse al coro delle congratulazioni con in testa la Merkel, Johnson, Papa Bergoglio e molti altri leader mondiali che lo hanno salutato e insistono a chiamarlo “Presidente Eletto” fregandosene del comunicato degli uffici della Camera dei Rappresentanti che hanno escluso tale qualifica ufficiale prima della elezione del 14 dicembre e anche dopo in caso di contestazione non ancora conclusa.

Lui invece muto come un pesce fino a mercoledì 25 novembre, perché -penso io-anche in Cina la gallina che canta ha fatto l’uovo.

Per cantare Xi ha aspettato che il “Presidential Transition Act 1963” del 7 marzo 1964 costringesse Emily Murphy, capa dell'amministrazione dei servizi generali, a scrivere una lettera al “The Honorable Joseph R. Biden, Jr. 1401 Constitution Avenue, N.W. Washington, D.C. 20230” in materia di rimborso spese.

Ma è una foglia di fico e lo dimostra il confronto con la stessa lettera di 12 anni prima, datata 5 novembre 2008, frettolosamente spedita da Williams 20 giorni prima al ““The Honorable Barack H. Obama President-Elect of United States – Obama for America P.O. Box 802798 Chicago IL, 60680” che iniziava con “Dear President-Elect Obama” mentre 12 anni dopo la Murphy si rivolge a Biden con un freddo “Dear Mr. Biden”, ligia alla legge che in caso di contestazione usa a discrezione dell’Amministrazione il termine “apparent President” e l’espressione “incumbent President” senza che questo incida sull’esito della contestazione (...apparent successful candidates for the office of President…).  

E ne sono convinto perché il coccodè di Xi Jinping è troppo diplomatico, generico, sfumato e vago per non far pensar male, cioè che l’uovo con dentro il pulcino “fantozziano” lo abbia fatto lui.

Ma questa sarà materia del Capitolo successivo della telenovela.