Altro che “cazzimma”!  

Mercoledì scorso 2 dicembre dopo un paio di minuti mi ero appena formato un’opinione (salvo sorprese) sul “Goodbye!” di un Presidente “derubato” (a suo dire) della Vittoria mentre se ne andava sbattendo la porta senza riconoscere la sconfitta, e oplà! ecco che la Cupola finanziaria (proprietaria dei più influenti media americani) nei restanti 44 minuti ha isolato la carica virale del TRUMPID 20, ne ha sequenziato il genoma e lo ha esibito su uno specchio deformante per poi distribuirlo sugli specchietti per le allodole delle reti “vergini & indipendenti” e dei loro ospiti “freelance” sempre bisognosi e a caccia di aiutini.

La solennità dell’evento interrompeva un mutismo della Casa Bianca che si protraeva da quattro settimane ma è stata immediatamente annullata e spenta dalle sentinelle della Cupola con l’iniziale consegna del silenzio dopo di che la faccenda è stata buttata nella caciara scatenata da un ubriacone all’osteria.

Alla lettera, credetemi, proprio così, perché il discorso di congedo di Trump è stato paragonato a quello di insediamento pronunciato al Senato il 4 marzo 1865 dal vice Presidente Andrew Johnson, bevitore e alcolista, che in quel momento solenne era ubriaco fradicio al punto da dover essere interrotto e costretto a nascondersi 40 giorni per la vergogna per poi diventare dopo qualche mese il 17° Presidente in conseguenza dell’assassinio di Abramo Lincoln.

L’artiglieria pesante mainstream ha davvero maramaldeggiato e infierito sul povero Donald, descritto come un tapino piagnucoloso e frastornato che insiste a sostenere senza prove una versione dei fatti oscena, cacofonica, zeppa di bugie e di rimostranze e che vede malvagi democratici, giornalisti conniventi e giudici in fuga impegnati a rubargli l’elezione.

È seguita una proluvie di ingiurie sanguinose e di insulti gratuiti, un furore dissacrante e uno sfogo liberatorio che hanno il sapore della vendetta però “foreign”, straniera, come se si stesse realizzando un progetto iconoclasta covato sotto la cenere contro gli Stati Uniti fuori dai loro confini da quasi un secolo.

Trump, penso io, non è uno zimbello qualsiasi ma il simbolo di una Nazione da lui rappresentata al più alto livello e nella pienezza dei poteri che la legge e la Costituzione gli attribuiscono e mi è difficile accettare che chi ha una certa valigetta in mano e può premere un determinato tasto abbia un profilo mentale come quello che emerge dai media mainstream.

Questa osservazione mi porta a trasferire l’analisi dal piano del diritto a quello superiore della politica intesa come “Vestale” che interpreta, custodisce e protegge i principi fondamentali che sono alla base di ogni Nazione e che troviamo scritti nella sua Costituzione.

Quando sento dire dagli avanguardisti del “Great Reset” che nulla sarà mai più come prima viene spontaneo chiedermi: “Ma tutto, proprio tutto, comprese le libertà costituzionali primarie e ancestrali consacrate dalla Costituzione?”  

E in occasione delle elezioni americane 2020 aggiungo: “Non è che laggiù i pasdaran si sono portati avanti nel lavoro con un tacito e implicito “reset” della Costituzione che ha sospeso in attesa di azzerarlo non nei numeri ma nei principi il diritto di ogni americano di eleggere il suo Presidente con voto libero e segreto?”.

Per loro il patto sociale perderebbe la propria efficacia o per consunzione o per uno shock e la “tempesta perfetta” provocata da pandemia, digitalizzazione, clima e crisi economica rientrerebbe in questa seconda ipotesi.

Lo “Stato di necessità” creato da questa emergenza ha generato mostri come il negazionismo di chi lo rifiuta, la bestia mediatica che lo azzanna e lo divora e l’interferenza straniera veicolata da finanza, economia e tecnologia globali.

La vivisezione di un Trump sull’uscio della Casa Bianca è simbolica ed esemplare, un sabba e una gogna che mi ricordano “El gran cabrón” del Prado.

Da una parte perché i media dipingono il Presidente come Satana e dall’altra parte perché il diavolo potrebbe essere invece il “Great Reset” che sfrutta la paura degli uomini, la rivalità delle economie e la discordia dei popoli per azzerare la società umana e per disumanizzarla, cancellando i tratti individuali delle persone, miscelandole e fondendole metaforicamente come nel quadro di Goya “in un grappolo grottesco di visi deformi e terrorizzati”.

La grandezza di una Nazione, penso, non dipende solo dalla forza militare e dalla potenza economica ma soprattutto dalla energia mentale che nei momenti straordinari la porta a reagire con armi straordinarie e al grido di “Portae inferi non praevalebunt!”, in senso laico beninteso e senza bisogno di stato d’assedio o di crociate.