Facebook mi ricorda un post di un anno fa che dedico a chi ha paura delle divise.

Accadde oggi

1 anno fa

Bruno Giri sta leggendo Peppino Impastato.

Tutti

L’abito fa il monaco, eccome!

Lo sa il popolo in camice bianco mandato al massacro in corsia e lo sa il popolo in divisa costretto a contravvenire chi evade dal lockdown in violazione di ordinanze sibilline e schizofreniche.

E lo sa anche il popolo anonimo delle toghe senza colore, sia sul fronte orfano della prescrizione e sia sull’altro fronte inchiodato dalle cervellotiche istruttorie tecnico-amministrative che condizionano le proprie responsabilità in materia di giurisdizione volontaria, di esecuzione e di sorveglianza.

Respect per i camici quando muoiono, insulti per le divise quando fanno il loro dovere e ammuina giudiziaria per entrambe le toghe.

Quando una divisa moriva vittima del dovere, fino a ieri lo Stato gli appuntava sul petto una Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria e non la insultava.

Da oggi non è più così per il popolo in divisa della Polizia Penitenziaria perché uno di loro è stato assassinato nel 1994 da un killer della SCU e l’assassino condannato all’ergastolo è tornato in libertà senza braccialetto elettronico nella stessa località dove ha commesso l’omicidio.

Per il sindacato nazionale è un insulto alla divisa perché i capimafia della SCU la pistola non l’avevano puntata proprio contro quella povera vittima che aveva soltanto 24 anni ma perché come “atto di intimidazione verso le forze dell’ordine, era stato deciso che sarebbe stato ucciso il primo agente uscito dall’istituto a fine turno”.

Per loro era la divisa a fare il bersaglio.

Qarantadue anni ad oggi, il 9 maggio 1978 a Cinisi moriva un altro uomo che indossava anche lui una divisa, quella ideale di Falcone e di Borsellino, si chiamava Peppino Impastato, era un giornalista, attivista antimafia e poeta.

Anche lui assassinato per intimidire uno Stato che fino a ieri non aveva consentito a nessuno di farlo.

Fino a ieri.